A dicembre Gonzalo Higuain lascerà il calcio giocato. Tre stagioni con noi con un intervallo sgraditissimo, circa 150 presenze e una sessantina abbondante di gol, con tanti trofei. Numeri e circostanze importanti, certo, ma apparentemente non ciclopiche: come mai allora tanta commozione sincera, tanto affetto non rituale per il Pipita? Azzardo una spiegazione: perché è stato uno degli ultimi di una specie in pericolo, se non addirittura a rischio di estinzione (salvo scoprire di recente, anche certi Profeti del Nuovo, che il vecchio gaglioffo serve sempre). Il Centravanti.
Quello che sì, per carità, fa anche se è serio il “lavoro per la squadra” (e Higuain lo ha fatto da noi a volte anche a discapito dei suoi numeri), che “la deve far salire” (un montacarichi?), che il Collettivo e il pueblo unido, non si discute. Ma alla fine rimane un irriducibile individualista, un anarchico che s’ignora, il Riccio di Archiloco che, a differenza della volpe che sa tante cose, “ne sa una, ma grande”, vive per quel gesto, quell’atto: il gol.
Ora nessuno mette in dubbio che Higuain, calciatore di buone scuole e ottime frequentazioni, al gol arrivasse anche “modernamente”, anche “coralmente”, per carità, e che facesse buon uso di piedi pregiati.
Ma, in sostanza il fare gol per i veri Centravanti è una faccenda del tutto personale, da affrontare come un duello western, col vecchio buon bagaglio dei pistoleros: istinto, fame, senso del tempo – che è come lo swing nel jazz, se non sai cos’è è inutile spiegartelo, o ce l’hai o non ce l’hai, sono cose che non si insegnano. Come non si “apprende” quella gioia pura, viscerale, eccessiva che metteva nelle esultanze, anche quelle da vecchio bomber, da Inzaghi, da Schillaci, da bomberoni: senza coreografie o mossette studiate, piuttosto braccia mulinate, urlo deformante, corsa a casaccio. Il gol come orgasmo. Il bello del calcio. Anche se magari la partita non è di primissimo livello, se il gol è il secondo o il terzo, se è l’unico pallone che hai toccato, non importa, si esulta. E i tifosi con lui.
Per questo gli abbiamo voluto bene, era uno genuino, della vecchia razza, e pazienza se a ogni raduno estivo si notava che la fame non l’aveva solo di gol, e al diavolo, oggi, le analisi ex post sugli effetti del suo acquisto come primo anello di una catena finanziariamente finita male. Segnava, godeva e ci faceva godere. È stato uno che ci teneva, alla Juve, e che lo faceva vedere. Uno di noi. Buona fortuna Pipita.