Prendiamo spunto dalle recenti esternazioni di Andrea Agnelli, intervenuto alla conferenza “Leaders in Football” tenutasi a Londra, per provare a tracciare un piccolo bilancio sul calcio italiano. La frase, per così dire, “incriminata”, quella che i media hanno enfatizzato maggiormente, è la seguente: “Se ricevessimo un’offerta strepitosa per qualcuno come Pogba, saremmo in grado di trattenerlo? Non lo so”.
Ovviamente giornali e siti internet hanno colto la palla al balzo soprattutto dal punto di vista “mercataro”, perchè si sa, tira di più un pelo di Raiola in salita… tuttavia alcuni hanno dato spazio alla chiave di lettura più intelligente e di ampio respiro (secondo noi) contestualizzando questa dichiarazione e, ad esempio collegandola ad altre interessanti riflessioni del numero uno bianconero come ” la Serie A non è più il traguardo finale, ma una destinazione di passaggio” oppure “Se guardiamo a quello che la Serie A rappresentava 10, 15 anni fa vediamo che era il campionato in cui i calciatori internazionali sognavano di giocare” o ancora “si può essere un club attraente, ma si deve anche disporre della forza economica per competere”. Insomma dopo il monito abbastanza esplicito contenuto nella lettera agli azionisti del 3 ottobre, arriva un’altra bella punzecchiatura da parte del “giovin signore” a chi gestisce il calcio italiano. La disamina fatta dal Presidente Agnelli è ampiamente condivisibile e solo interpretandola con occhio da tifoso non si coglie lo spirito con cui vengono sottolineati aspetti molto importanti per l’industria del pallone. Ancora una volta Agnelli sembra predicare nel deserto, sottolineando l’importanza dello stadio di proprietà nel calcio moderno quale asset fondamentale per cercare di tenere alta la competitività in campo internazionale, ma entro i nostri confini deve scontrarsi con la “logica dell’orticello” propria del Pulvirenti di turno (il quale definì Andrea Agnelli una “zitella isterica” a margine dell’elezione nel consiglio di Lega), finalizzata ad arraffare il malloppo finchè si è in tempo senza doversi preoccupare di programmare alcuna strategia per il futuro.
Questa “logica” ha portato all’enorme sperpero di Italia ’90 o, per altri versi, al 2006 quando la vittoria dei Mondiali non è stata di nessun aiuto al calcio e all’Italia a causa di “Calciopoli” o per meglio dire “Farsopoli”. Il calcio italiano, come sottolinea Agnelli, ha perso gran parte del suo fascino (appeal però fa più figo), quello del campionato più bello del mondo a cui prendeva parte gente come Platini, Zico, Maradona, Van Basten, Batistuta, Zidane, Ronaldo, Kakà, Shevchenko, Nedved. Quello di cui ha bisogno questo grande malato (io direi moribondo) per risorgere è semplice, ed Agnelli lo va predicando più o meno velatamente ormai da qualche anno:
1) governance intelligente, moderna e dinamica, che sappia guardare al futuro, evolversi e uscire dallo stagno;
2) regole certe e valide per tutti, giustizia vera che impedisca al Carobbio di turno di arrecare danni economici e di immagine solo per salvare la pellaccia;
3) revisione delle leggi in materia di contratti dei tesserati ormai obsolete, promulgate per un calcio che nel frattempo è diventato un altro sport.
Il tifoso avversario vede dietro tutto ciò l’Agnelli indispettito per essere stato estromesso dai piani alti del calcio, ed in parte è anche vero, ma è da ottusi accantonare queste problematiche per ragioni di campanile: assieme alla Juventus anche il Napoli, l’Inter e la Roma non hanno rappresentanti negli organismi decisionali e con esse il 60% dei tifosi che si portano dietro. E’ ovvio che negli anni post-farsopoli il potere politico di una certa parte del calcio abbia cercato il consolidamento delle proprie posizioni. Non parliamo di campo, solo di tornaconto economico. Occupare un seggio in Lega o in Federazione significa avere maggiore visibilità, maggior potere contrattuale per la propria squadra, maggior peso politico, con tutto ciò che ne consegue. Tutto questo stride con quello che è diventato il calcio, ovvero un business vero e proprio, dove a livello sportivo emerge chi è virtuoso a livello economico-finanziario (i tedeschi in primis) o chi ha alle spalle un serbatoio inesauribile di quattrini (sceicchi e russi). In ogni caso tutti i club europei più importanti hanno solide fondamenta costituite da stadi di proprietà, strutture di allenamento all’avanguardia e più in generale una organizzazione societaria ben strutturata.
Torniamo al caso Pogba. E’ oggi possibile trattenere in Italia un superstar, seppure in erba, come il talento francese? I fatti dicono di no, se pensiamo ad Ibrahimovic, Thiago Silva, Lavezzi, Cavani e a tutto il talento saccheggiato dai club esteri negli ultimi anni a danno di quelli italiani. Quello che manca è la competitività economica derivata da tutti i fattori elencati in precedenza. La Juventus si è già mossa per migliorare la propria situazione, realizzando uno stadio, un centro sportivo con tanto di “college” per i ragazzi delle giovanili e approntando un progetto rivoluzionario (per l’Italia) come quello della Continassa. Il tutto rischia di essere vanificato dal contesto, perchè una fuoriserie per essere performante deve correre su un perfetto fondo stradale, mentre oggi rischiamo di avere una Ferrari lanciata a 300 all’ora su una mulattiera infestata dai predoni.