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Allenatori e dintorni

Il recente pareggio casalingo con l’Atalanta credo abbia messo sotto gli occhi di tutti l’evidenza che, al di là del nome di chi siede in panchina, la Juve ha un grosso problema ad affrontare squadre che pressano alte e che sono pronte a metterti in difficoltà quando vuoi uscire palla al piede dalla tua area: pareva di vedere la fotocopia della partita con l’Ajax, là si diede la colpa ad Allegri qui si dovrebbe darla a Sarri ma probabilmente il risultato riuscirà a far dimenticare che per gran parte della partita i bergamaschi hanno avuto il controllo del gioco nella nostra metà campo (la famosa supremazia territoriale che ultimamente è così trendy). Anzi, se vogliamo mettere il carico da 90, i dati whoscored dicono che non solo l’Atalanta ha avuto al suo attivo 572 passaggi contro i 563 nostri (quindi sostanziale parità) ma nel terzo offensivo di campo la situazione è stata di 176 a 134 per i bergamaschi, quindi un dominio offensivo senza se e senza ma, se valutiamo gli aspetti del gioco tramite il possesso e i passaggi effettuati nelle zone in cui si possono creare pericoli agli avversari. È pur vero che nel 2° tempo le cose sono andate leggermente meglio ma è altrettanto vero che Malinovskiy ha avuto due ottime occasioni, tra il 74′ e l’80’, entrambe su due palle perse in uscita dai nostri: la prima l’ha messa fuori di poco, la seconda l’ha infilata a fil di palo, quindi il problema grossissimo di sbagliare troppo spesso l’uscita dalla nostra area si è ripetuto allo stesso modo nel 2° tempo, malgrado come squadra la Juve tenesse meglio il campo rispetto ai primi 45′ dove è stata dominata in lungo e in largo.
È quindi evidente che questo problema tattico non è stato minimamente risolto da Sarri così come purtroppo non è stato risolto nemmeno il problema di vedere troppi giocatori andare in difficoltà mentale e tendere a mollare da un punto di vista caratteriale quando le cose vanno male: il famoso gesto di CR7 alla fine della partita con l’Ajax di Torino era stato interpretato da molti come un atto di accusa verso Allegri ma è ormai chiaro che CR7 si riferiva a troppi compagni che mancano della grinta di saper ribaltare con personalità le situazioni che in campo diventano complicate.

Ieri l’altro forse la presenza di De Ligt in difesa e un Bentancur che è cresciuto molto nel 2° tempo hanno permesso alla squadra di restare a galla. C’è un altro dato che mi pare interessante, quello dei contrasti: l’Atalanta gioca principalmente sui contrasti con marcature uno contro uno a tutto campo che non hanno nulla da invidiare a quelle dei Gentile degli anni ’80 (e giustamente non se ne vergognano). Se ne vuoi uscire vivo devi scendere sul loro piano e “menare” quanto loro, infatti a livello di contrasti l’Atalanta ne ha fatti 34 di cui 18 nel 1° tempo e 16 nel 2°. La Juve è invece cresciuta dai soli 8 del 1° tempo ai 13 del 2°, praticamente pareggiando quelli degli avversari, e infatti Bentancur con 7 e Matuidi con 5 sono stati coloro che hanno dato maggior apporto a questo dato.
Fatta questa disanima credo sia ormai un dato accertato che al momento attuale l’Atalanta sia la squadra italiana (e non solo) con il gioco più riconoscibile e soprattutto in grado di replicarlo su ogni campo e in ogni situazione. Inoltre, fattore ancora più significativo, questo gioco viene mantenuto allo stesso livello, con piccolissime variazioni, pur cambiandone gli interpreti: ieri gli ingressi di Pasalic, Muriel, Malinovskiy, Tameze e Caldara, non hanno minimamente abbassato il livello del gioco, anzi in fase offensiva hanno dato nuova linfa anche perché chi aveva iniziato la gara iniziava ad essere in debito di ossigeno.
Già qui si nota una differenza notevolissima ad esempio con squadre come il Napoli di Sarri che aveva 11 titolari, un paio di cambi uomo su uomo (Zielinski-Hamsik non era nemmeno quotato dai bookmakers) e l’impossibilità di fare turnover, pena il notevole decadimento delle prestazioni, tanto è vero che quella squadra uscì con lo Shakhtar dalla CL (toh, la stessa squadra eliminata nel girone dai ragazzi di Gasp) e col Villareal dall’Europa League.
C’è però un punto che collega in modo molto interessante quel Napoli con questa Atalanta, ed è un punto che spesso si tende a sottovalutare, e che vorrei sviscerare nella seconda parte dell’articolo.

Nella conferenza stampa di presentazione del giugno 2019 Sarri disse una cosa molto importante, poco rimarcata: “se vuoi cambiare le caratteristiche dei giocatori a disposizione devi allenare i dilettanti. Quando hai a che fare con giocatori con caratteristiche ben definite che li hanno portati a essere a livelli altissimi non puoi cambiarli: se tu vuoi cambiare queste caratteristiche non sei più seguibile, giustamente! Quindi devi essere tu ad andare incontro ai giocatori” (se cercate il video trovate testualmente queste parole).
Ovviamente il concetto è portato all’estremo per poterlo comunicare ai giornalisti ma è un dato di fatto inoppugnabile che sia più facile impostare un gioco corale e di dominio con giocatori che non siano al top mondiale, in quanto sono quelli più disponibili a seguirti negli allenamenti e nelle indicazioni tattiche che gli dai. Il Napoli di Sarri e l’Atalanta di Gasp sono i 2 principali esempi degli ultimi anni, con alcuni giocatori tecnicamente molto dotati ma che in carriera non avevano mai sfondato ad altissimo livello (ricordiamo che lo stesso Higuain preferì andarsene dal Real perché era sostanzialmente la riserva di Benzema).
Sarri l’abbiamo visto al Chelsea e ora alla Juve e vediamo che il gioco è cambiato poco rispetto ai predecessori, possono essersi modificati alcuni aspetti tattici ma i principali difetti della Juve di Allegri sono ancora tutti lì, ben presenti nella Juve di Sarri: il primo di tutti è l’incapacità di uscire palla al piede dalla propria area con squadre molto aggressive. Allegri aveva il famoso piano B che era la palla lunga e alta a Mandzukic, Sarri questo piano B non ce l’ha, come non ce l’hanno quasi mai gli allenatori di questo tipo, troppo spesso innamorati del piano A per prevederne uno B.
Gasperini non l’abbiamo mai visto in una squadra top e probabilmente nemmeno lo vedremo mai (l’inter del 2011 non lo era certo), visto alcune spigolosità caratteriali che in certi club potrebbero non essere molto gradite.
Per ampliare il tema e analizzarlo anche in ottica Juve potremmo dire che i principali allenatori a livello internazionale che hanno un gioco ben definito e che lo impongono nelle loro squadre sono Guardiola e Klopp, mentre quelli che maggiormente sono capaci ad adattarsi alla rosa a disposizione e farla rendere al meglio (li vogliamo chiamare gestori per comodità lessicale?) sono Allegri, Zidane e Simeone. Conte è forse una via di mezzo, molto bravo quando c’è da tirar fuori il top dal punto di vista fisico e caratteriale ma ci riesce se può allenare tutta la settimana senza le coppe di mezzo, che lui obiettivamente digerisce molto poco: sia a Torino che a Londra vince al primo anno senza avere coppe europee da giocare, all’Inter invece fallisce miseramente sia in campionato che in CL, vedremo come concluderà l’EL. Pochettino non lo considero perché uno che in 12 anni di carriera è riuscito a non vincere nemmeno uno straccio di trofeo ho la netta sensazione che non lo consideri nemmeno la dirigenza della Juve.

Quindi analizziamo questi 2 gruppi di allenatori e cerchiamo di capire meglio il profilo di allenatore ideale per la Juve, partiamo dagli “schemisti”, per differenziarli dai “gestori”.
– KLOPP: vince 2 volte la Bundesliga col Borussia e poi arriva in finale di CL nel 2013. Per i 2 anni seguenti c’è un calo, forse anche fisiologico, e nell’ottobre del 2015 viene ingaggiato dal Liverpool dove arriva a una finale di EL dopo 9 mesi e una finale di CL 2 anni dopo. Dopo piazzamenti non esaltanti in PL e 3 eliminazioni ai primi turni di FA, arriva nel 2019 a vincere la CL e nel 2020 la PL.
Da segnalare che in queste 5 stagioni la società ha speso 450mln sul mercato, per comprargli gradualmente giocatori adatti al suo credo calcistico. Tutti gli altri sono stati ceduti, a volta anche a prezzi stracciati, un esempio per tutti: Luis Alberto ceduto 24enne alla Lazio nel 2016 alla ridicola cifra di 4 milioni. Chiaro che la società si è completamente affidata al manager (in Inghilterra è più normale che da noi) e malgrado 3 anni assai deludenti non ha avuto problemi a rinnovargli la fiducia, per poi esserne ripagata alla 4a e 5a stagione.
– GUARDIOLA: nasce come allenatore in un ambiente dove la filosofia olandese del calcio di possesso era di casa da decenni, fin dai tempi di Cruyff, poi ripresa da Van Gaal e di seguito anche da Rijkaard, che vince una CL nel 2006 con Messi Iniesta e Xavi già in squadra seppure giovanissimi. Guardiola richiede e ottiene gli acquisti di giocatori adatti al suo gioco come Dani Alves, Piquet, Mascherano e sappiamo bene i risultati che arrivano in quegli anni, con una squadra fantastica.
Passa al Bayern nel 2013 dove prende in eredità una squadra che aveva appena vinto Bundesliga e CL e in 3 stagioni convince la società a comprare giocatori adatti al suo credo calcistico, 2 su tutti: Tiago Alcantara e Xabi Alonso; più vari altri top di quegli anni, da Goetze a Lewandosky, da Benatia a Vidal e Douglas Costa. In 3 anni però rivince la Bundesliga ma non riesce nemmeno ad entrare in finale di CL, mentre altri colleghi come Allegri e Simeone vanno 2 volte.
Passa poi al City dove trova la società forse più spendacciona d’Europa, che infatti in 4 anni investe sul mercato la bellezza di 776 milioni di acquisti, in pratica in 4 stagioni hanno comprato 7 volte CR7, tanto per restare con un riferimento biblico che richiama un livello numerico stratosferico. Al primo anno però viene battuto da un altro esordiente, Antonio Conte, che, come detto, quando non ha le coppe a infastidirlo tira fuori il meglio dalle sue squadre. Vince poi 2 PL e una FA cup, trofei che in ogni caso al City erano stati vinti anche da Mancini. Resta anche qui il problema della CL: in 3 stagioni nessuna vittoria, nessuna finale e nessuna semifinale, esattamente come al Bayern, vedremo come andrà la 4a stagione dove la fase finale è alle porte.

Tra i “gestori” inutile parlare di Allegri, lo conosciamo benissimo, sappiamo come ha lavorato e quali sono le sue caratteristiche, compresi presi e difetti. In ogni caso un suo ritorno credo sia assai improbabile quindi non lo prendiamo in considerazione.
ZIDANE: è forse quello più enigmatico in quanto è vero che ha preso una squadra fantastica ma è anche vero che quello che ha fatto lui in 2 stagioni e mezza col Real a livello internazionale resterà nella storia. Prende la squadra nel gennaio 2016 da una gestione Benitez che l’aveva affossata, da quel momento e fino alle dimissioni al 31 maggio 2018, riesce a vincere TUTTI gli scontri a eliminazioni diretta in CL, in pratica 2 anni e mezzo senza essere mai eliminato. Quando un allenatore arriva a record di questi livelli non può essere un caso, vuol dire avere sicuramente grandi giocatori ma non c’è alcun dubbio che le sue capacità di gestione degli stessi siano superlative. In ogni caso anche dal punto di vista tattico appena arrivato innestò un paio di mosse (Casemiro davanti alla difesa e Isco trequartista pronto a scalare sulla linea del centrocampo) che diedero un impulso decisivo a livello di equilibri. Restano poi nella mente alcuni 15/20′ a ritmi impressionanti in cui sapevano schiantare chiunque costruendo una palla gol ogni 2 o 3 minuti. Anche le gestione della partita di quel Real, con un sapiente dosaggio di ritmi e energie, era un marchio di fabbrica di Zidane.
Da segnalare che nelle 2 stagioni e mezza in cui Zidane può aver dato ai dirigenti indicazioni per il mercato, il saldo acquisti/cessioni del Real si è chiuso in positivo, cioè hanno venduto di più di quanto hanno comprato: gli unici 2 acquisti sopra i 30mln sono stati Courtois (35) e Vinicio (45) nell’ultima stagione, quindi certo non si può dire che con Zidane in panchina il Real abbia sperperato chissà quali cifre, anzi!
In questa stagione è tornato sulla panchina dei blancos e sta per prendersi un’altra Liga dopo una bella rimonta sul Barça, mentre in CL pare con un piede e mezzo già fuori ma col Real di Zidane non c’è mai da dare per scontato nessun risultato fino all’ultimo minuto.
SIMEONE: sta per chiudere la 9a stagione all’Atletico e in questi 9 anni ha vinto una Liga, che il club non vinceva dal 96 (d’altronde con la concorrenza dei due mostri sacri è impresa improba), una coppa del Re, ben 2 Europa League, condite in entrambe le occasioni dalla vittoria pure nella Supercoppa europea. Inoltre, anche se per molti conta solo chi vince, ha fatto 2 finali di CL perdendone una ai rigori e venendo raggiunto al 94′ nell’altra per poi perdere ai supplementari.
Anche quest’anno è nei quarti avendo battuto il Liverpool detentrice, mantenendo quindi un livello internazionale di tutto rispetto, tanto è vero che a oggi è 2° nel ranking UEFA dietro solo ai cugini del Real Madrid, risultato che definire di tutto rispetto è eufemistico.
A livello di gestione il club in questi 9 anni ha chiuso il saldo acquisti/cessioni quasi sempre vicino alla parità, più spesso in positivo che in negativo, infatti buona parte dei giocatori che arrivavano al top sono stati ceduti dal club per ottenere ottime plusvalenze o anche solo per diminuire il monte ingaggi. Tra gli altri ricordiamo Falcao a 43mln al Monaco nel 2014; D.Costa e F.Luis al Chelsea per 58mln totali nel 2015; Arda Turan e Mandzukic nel 2016; Miranda, Carrasco e Theo Hernandez per 24mln al Real (sì, quello del Milan) nel 2017, fino all’en plein della scorsa estate con Griezmann (120mln al Barça), Lucas Hernandez (80 al Bayern) e Rodri (70 al City) con ben 313 totali incassati dalla cessioni, equilibrate solo in minima parte dai 126 spesi per l’astro nascente Joao Felix.
È evidente che la filosofia dell’Atletico nella gestione Simeone è del tutto diversa da tutti gli altri top club, qui infatti prima si pensa a vendere e poi a trovare buoni giovani da lanciare nel calcio che conta, lo stesso Griezmann arrivò a Madrid come un esterno di ottime prospettive, ma solo con Simeone è diventato una seconda punta di altissimo livello per essere venduto al quadruplo del suo prezzo di acquisto.

Fatta questa analisi sui principali competitors europei e gli allenatori migliori sulla piazza è il caso di tirare le conclusioni venendo alla Juve e alle sue modalità di impostazioni del mercato e della gestione tecnica.
Dall’anno di arrivo di Allegri (14/15) la Juve ha sempre chiuso il mercato con poche decine di mln di saldo negativo, fatta eccezione per l’estate dell’arrivo di CR7 che sappiamo rispondere a dinamiche più ampie di un semplice acquisto di mercato. La particolarità della Juve è che quasi tutti gli anni ha venduto uno o due pezzi pregiati che permettevano sicuramente di riequilibrare il bilancio degli acquisti ma che erano a pieno titolo facenti parte del progetto di squadra dell’allenatore, da Vidal a Pogba a Bonucci, tanto per citare i più noti. In questo il mercato della Juve è stato forse più simile a quello dell’Atletico Madrid che a quelli del City o del Liverpool, o almeno una via di mezzo tra le due impostazioni.
Quindi prima ancora di porsi il problema se vada bene Sarri o se si vuole investire su uno degli altri allenatori top d’Europa le domande da farsi sono le seguenti: la Juve potrebbe spendere 770mln in 4 anni come il City e senza comunque avere nessuna certezza sulla vittoria della CL? La Juve potrebbe aspettare 3 stagioni senza vincere nulla, accontentandosi di una finale di EL come massimo risultato come ha fatto il Liverpool?
Chi pensa che la risposta sia positiva fa bene a sognare Guardiola o Klopp sulla panchina della Juve, chi pensa che la risposta sia negativa ovviamente capirà che le probabilità che resti Sarri o che arrivi un altro magari anche più “gestore” di lui sono ben più alte.

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