Come tutti i bimbi italiani ho sempre sostenuto la Nazionale di calcio. I miei primi, vaghissimi, ricordi risalgono al Mundial del 1982: avevo solo 4 anni ma ricordo benissimo che il giorno della finale contro la Germania mi trovavo a Palermo. Mio padre all’epoca lavorava per l’Assitalia, la quale lo faceva scarrozzare un po’ in giro per l’Italia ed io e mamma lo andavamo a trovare ogni volta che ci era possibile. Ricordo il frastuono per le strade, ricordo la roba vecchia gettata dalle finestre come fosse Capodanno, ricordo i botti, il bagno di folla dentro il quale ci immergemmo e le braccia di papà che mi cingevano forte un po’ per la gioia un po’ per la paura di perdermi in mezzo a tanta gente.
Dei Mondiali del 1986 ricordo il primo album di figurine completato e Maradona, la mano de Dios e quel gol incredibile all’Inghilterra. L’Italia campione in carica venne eliminata dalla Francia anche grazie ad un gol del mio idolo di bambino, Michel Platini.
Il mio primo incontro fisico con l’Italia avvenne alla vigilia dei mondiali del 1990. Nel dicembre del 1989, per battezzare i restauri appena ultimati dello stadio Sant’Elia di Cagliari si disputò un’amichevole proprio contro l’Argentina di Diego Armando Maradona che poi ci eliminò in semifinale. Ricordo che andai allo stadio vestito in tuta ufficiale dell’Italia “vinta” accumulando i punti delle merendine. All’epoca sulla copertina del mio diario scolastico campeggiava Roberto Baggio in azzurro con l’ennesimo avversario messo a sedere grazie ad uno dei suoi deliziosi dribbling. Ricordo che finì a reti inviolate. Ricordo mio zio (milanista “occulto” perchè odiava Berlusconi) accanto a me che all’uscita di Vialli dal campo mi fece un cenno con la testa e disse “Guarda quello Angelo… costa 20 miliardi”. In realtà quando passò alla Juve nel ’92 venne valutato 30 miliardi di lire di cui 4 “cash” e gli altri in contropartite tecniche (tra cui Eugenio Corini e Michele Serena). I successivi mondiali costituirono una delle delusioni sportive più cocenti che abbia provato. La cavalcata degli azzurri sembrava doversi concludere in maniera trionfale ma si interruppe, come detto, sul più bello. A Napoli l’Argentina ci superò ai rigori e parte del San Paolo si schierò a favore della selezione albiceleste. Allora mi incavolai parecchio con i napoletani ma adesso, a posteriori, li capisco. Pensate a quella gente, abbandonata da uno Stato fantasma nelle mani della criminalità organizzata. Gli ultimi degli ultimi, dileggiati dalla restante parte del Paese per i motivi più disparati. Un uomo, da solo, è riuscito a portare Napoli, per una volta, in vetta sopra gli altri. Prima in Italia poi in Europa con la conquista della Coppa UEFA. In occasione della partita contro l’Italia non si sono sentiti rappresentati dagli uomini in maglia azzurra, hanno parteggiato per Maradona, il loro Dio del calcio. L’unico che è riuscito a fargli provare la gioia di essere primi in qualcosa almeno una volta nella vita.
L’Italia tornò a Cagliari durante le qualificazioni ai mondiali di USA ’94 ed immancabilmente papà ci portò tutti allo stadio, compresa mia madre (prima e unica volta). Avevamo i biglietti nelle prime file, abbastanza vicini ai nostri idoli. Si giocò di sera con la pioggia, ci inzuppammo ma eravamo felici. La partita si mise malissimo con l’Italia di Sacchi sotto per 0-2 al 20′ che riuscì a riacciuffare il pareggio negli ultimi 10 minuti con Baggio ed Eranio. Da allora non ho più visto la Nazionale dal vivo.
Ma arriviamo all’Anno Domini 2006. Una storia che tutti noi conosciamo. A quei tempi, però, molto era ancora confuso e nebbioso, tanto che lo stesso Luciano Moggi nel suo ultimo libro “Il pallone lo porto io” ammette candidamente di essersi sentito inizialmente colpevole a causa dell’atroce gogna mediatica alla quale è stato sottoposto durante quell’estate. Ed io ammetto candidamente di aver pensato che fosse realmente colpevole, anche se solo per un breve periodo. L’estate del mondiale tedesco, dolce e amara. L’Italia sul tetto del Mondo e la Juventus che a quella squadra ha prestato tanti giocatori, sia quell’anno che nella sua gloriosa storia, spedita nell’inferno della Serie B dalla Federcalcio. Un brutto colpo per me, un’amarezza senza eguali. Subito dopo vengono l’eliminazione della Nazionale da Italia ’90 e la Champions persa in finale contro il Milan. Da quell’estate ho smesso di tifare per l’Italia. Non tifo contro, mi è totalmente indifferente. La seguo ogni tanto sperando che i nostri giocatori non subiscano infortuni, così come faccio con il Cile di Vidal o la Francia di Pogba. Non la tiferò più finchè a comandare la baracca ci sarà gente come Giancarlo Abete, il quale ha lasciato che l’esposto della Juventus contro i misfatti dell’Inter marcisse in qualche cassetto della Procura Federale per poi venire riesumato giusto in tempo a far inervenire una benefica prescrizione per il reato di ILLECITO SPORTIVO. Non la chiamerò nemmeno più “Nazionale” o “Italia” nel nome di un’identità che di fatto non esiste. In caso di vittoria non voglio trovarmi seduto allo stesso banchetto (così evitiamo la parola carro, visto che la odio) con chi mi chiama “ladro”. Per me dal 2006 quella squadra in azzurro è il “Team FIGC“. Il team di coloro i quali pensano che la Juve “rubba” e che i bianconeri vincano perchè si drogano, tranne quando vanno a giocare per il Team FIGC, appunto. Mi sento tradito e per nulla rappresentato da una squadra che sulle maglie ha la scritta FIGC. Perchè quella scritta mi ricorda Palazzi, mi ricorda che una scritta sulle nostre di maglie, “30 sul campo“, è costata alla Juventus una vendetta trasversale con metodi che ricordano quelli di altri tipi di organizzazione. Parlo della squalifica di Antonio Conte, tirato dentro allo scandalo scommesse attraverso artifici spudorati e creati ad arte. Rompete le scatole con calciopoli? Avete fatto richiesta di risarcimento danni al TAR? State attenti, intanto vi squalifichiamo l’allenatore, continuate così e vedremo come va a finire.
E io dovrei continuare a tifare per una squadra gestita da questa gente? Una squadra alla quale, ripeto, la Juventus ha dato tantissimo, più di tutte le altre, e ha ricevuto in cambio una retrocessione e una serie di angherie inqualificabili. Il Team FIGC è gestito da Giancarlo Abete che assieme ai suoi collaboratori decide tutto ciò che riguarda gli aspetti sportivi e non, compresa la nomina dei giudici che hanno squalificato Conte, giusto per ribadire che non esiste nemmeno il più piccolo scampolo di terzietà nell’amministrazione della cosiddetta “giustizia” sportiva. Compresa la nomina di Sandulli quello che “a Conte è andata bene” col sorrisino stampato in faccia. Compresa la scelta del CT Prandelli, quello che spreme Pirlo per inutili amichevoli internazionali alla vigilia di importanti partite di coppa della Juventus. Quello che convoca Chiellini, pur reduce da un infortunio, per un’importantissima partita (inutile) e che fa infuriarelo stesso Conte.
Un giorno, speriamo non troppo lontano, quando un minimo di vera giustizia verrà ristabilita, quando magari il Team FIGC verrà gestito da gente “competente” e non più dagli attuali incompetenti (per loro stessa ammissione), forse potrò tornare ad interessarmi del colore azzurro. Fino ad allora griderò con tutto il fiato che ho in petto “amo soltanto due color”, il bianco ed il nero, l’unica vera fede sportiva che mi è rimasta, l’unica che mi appassiona, per la quale gioisco e mi incazzo. L’unica degna delle mie emozioni, l’unica mia Nazionale: fino alla fine forza Juventus.