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Attacchi mediatici: la risposta e’ la comunicazione

L’intensificazione nell’ultima settimana degli attacchi mediatici volti a gettare ombre e delegittimare le vittorie della Juventus hanno riacceso il dibattito circa il comportamento che la società dovrebbe tenere in questi casi. Ci si divide tra “interventisti” e non, tra chi vorrebbe che si prendessero posizioni ufficiali e chi ritiene sia giusto che la società continui a non dare peso a polemiche e attacchi che si ripropongono periodicamente. Un interessante contributo al dibattito è arrivato sulle pagine di Juventibus dall’opinionista di JTv Paolo Rossi, per ruolo e convinzione personale un non “interventista”.

Secondo me nel valutare l’opportunità di una forma di intervento si fanno almeno un paio di errori, uno che definirei storico e l’altro metodologico.
Quello storico è legato alla contemporaneità del calcio italiano, alla sua sempre più esasperata mediaticità e al ruolo che riveste in questo contesto la Juventus: un ruolo di sfogatoio collettivo, quello che Buffon ha efficacemente sintetizzato nell’espressione “l’alibi di chi non vince mai” e che il ciclone di calciopoli non ha di certo attenuato ma se possibile moltiplicato e amplificato. Richiamarsi allo snobismo dell’Avvocato, che riteneva da provinciali farsi tirare dentro alle polemiche, oltre ad essere antistorico è un esercizio che si scontra purtroppo con una banalissima evidenza: l’Avvocato, col suo carisma personale e l’alone protettivo che portava con sé, non c’è più.
Dal punto di vista metodologico, invece, si tende a fare l’errore di credere che intervenire per difendersi da attacchi beceri e volgari comporti essere a propria volta beceri e volgari, “non possiamo scendere sullo loro livello” si sente spesso. Ma chi lo ha detto che la via debba essere quella? Non si tratta di vedere “Agnelli contro Taormina”, come dice Paolo Rossi.

È, invece, un problema tutto di comunicazione, che investe a pieno questo settore determinante che nella Juventus, duole rimarcarlo, continua a essere trattato con lo sguardo puntato solo sul lato commerciale, tralasciando e vedendo quasi con snobistica insofferenza il versante della gestione delle polemiche interne. Polemiche che, per la continuità e la virulenza che le caratterizzano, sono idonee a creare danno al marchio e all’immagine della società ben più di una campagna commerciale sbagliata.
La specificità della Juventus nel calcio italiano, il suo ruolo di facile bersaglio e vittima delle frustrazioni altrui, impone a mio avviso un ruolo attivo della società nel fronteggiare i periodi nei quali si trova ad essere sotto attacco. Nell’epoca della velocità supersonica offerta da internet non è nemmeno indispensabile che ci sia una figura che parta a testa bassa sui media tradizionali e risponda a ogni refolo di vento che si alza. Non sarebbe fattibile e forse nemmeno particolarmente producente.

Proprio in questi giorni vediamo un Presidente del Consiglio che comunica in maniera immediata e puntuale tramite le nuove tecnologie, spiazzando un ambiente abituato ai vecchi schemi comunicativi. Ecco, in questa settimana sarebbe stato utilissimo avere nella Juventus un Renzi che da dietro le quinte utilizzasse il sito ufficiale e i due social network più diffusi per far giungere con puntualità la voce della Juventus. C’era un episodio a sfavore nel derby da enfatizzare, un elenco di decisioni arbitrali sfavorevoli subite durante la stagione nelle tante partite vinte da ricordare (come fatto dal sottoscritto e altri blogger nel web bianconero): pensate ad esempio che effetto dirompente avrebbe avuto un video con questi episodi montati in sequenza che in brevissimo tempo avrebbe fatto il giro della rete fino a invadere i media tradizionali. Abbiamo visto addirittura un tentativo di trasformare il dito indice di Vidal in quello medio che poteva essere ridicolizzato con leggerezza, la stessa leggerezza con la quale si poteva ironizzare sulla improvvisa iperattività di qualche politico in cerca di titoli sui giornali. Un tweet, un breve stato su facebook, messaggi che oggi viaggiano con una forza dirompente. Il tutto senza perdere stile o mettendosi sul livello di qualche becero avvocato o giornalista politico prestato al calcio, ma semplicemente partecipando al gioco della comunicazione, svolgendo un ruolo da protagonista e non lasciando campo aperto alle scorribande dell’antijuventinismo militante.

E invece cosa è successo? Che l’unico segnale di vita che si è visto è stata la giusta dissociazione del Presidente Agnelli rispetto agli striscioni su Superga. Col risultato di raccogliere l’apprezzamento di tutti quelli bravi a indignarsi quando gli idioti sono di parte juventina, ma che la stessa indignazione la tengono sotto una campana di vetro quando a essere oltraggiata è la memoria delle vittime dell’Heysel, di Scirea, dell’Avvocato o il dramma umano di Pessotto. Un intervento del Presidente o chi per lui anche in tutti questi casi, avrebbe aiutato. Allo stesso modo, vista la rapida presa di posizione post derby, avrebbe avuto poi tutto il diritto di sottolineare i cori sull’Heysel sentiti a Firenze giovedì e auspicare identica condanna da parte della dirigenza viola. Così si fa comunicazione in maniera intelligente nel 2014, si gioca un ruolo da protagonista nel dibattito e lo si indirizza, si dà prova della propria esistenza, si difende una Storia, un marchio e l’orgoglio di una tifoseria. E, ripeto, lo si può fare senza scadere nella volgarità che si vuole combattere, con ironia, toni leggeri quando serve, ma con puntualità e senza far scorrere sempre tutto osservando dall’alto della propria presunta superiorità. Così facendo, il risultato è che continuano a darci degli arroganti, magari perché Conte ogni tanto fa da sé e sbotta, e intanto l’acqua del sentimento popolare continua imperterrita a scavare la roccia. E scava scava, abbiamo visto poi come è andata a finire otto anni fa.

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