

Ci sono nodi da sciogliere? Chiariamolo subito, secondo il mio modestissimo parere ci sono eccome. Lo dico in maniera tale da liberare da una tediosissima lettura chi invece è convinto del contrario.
I nostri colori sono il bianco e il nero. Sono colori stupendi, accoppiamento da sempre identificato come sinonimo di eleganza e fortemente evocativi proprio perché richiamano cromaticamente l’opposto che tutto racchiude. Lo Yin e Yang filosofico tradotto in amore calcistico.
Ma nel dibattito, nell’analisi, nel confronto (calcistico e non) il bianco e il nero sono invece sinonimi di fossilizzazione di pareri, incapacità di sintesi, di chiusura all’opinione altrui.
Ecco, mai come quest’anno il confronto fra le varie anime del tifo bianconero, fra le varie opinioni della carta stampata, mi è sembrato arido e incapace di trovare “sintesi equilibrate”. È probabile se non ovvio che ciò scaturisca dall’aver pesantemente innalzato l’asticella degli obiettivi e, dunque, delle aspettative. Stress da prestazione opinionistica su mercato, rosa, scelte tattiche e quant’altro. Ora, la questione è andare oltre il bianco (la Juve ha fatto tutto il possibile, siamo stati e saremo fantastici) e oltre il nero (mercato incompleto, siamo senza centrocampo, abbiamo buttato a mare la possibilità di vincere la champions anche quest’anno).
I risultati? Su otto partite ufficiali , pur avendone vinte 6, pareggiata 1 (male , quella di apertura in Champions) e persa la rimanente, il gioco e la squadra non hanno ancora un’identità precisa e pienamente convincente. I tre punti sono il cuore del calcio, soprattutto alla Juve, grazie a Dio. Ma alla lunga sappiamo che, non risolvendo gli inghippi che frenano la fluidità del gioco, pagheremo prima o poi anche in termini di risultati. Vade retro catastrofismi, ma non ha molto senso neanche nascondere i problemi.
Prima di entrare nel merito, mi preme sottolineare che ogni considerazione va contestualizzata. Seguendo i vari “scontri dialettici” fra noi appassionati e amanti della Vecchia Signora, a mio avviso spesso non ci si è capiti poiché non si sono poste in chiaro le premesse. Ogni considerazione è figlia del contesto: mai come quest’anno bisogna chiarire a priori se una valutazione sul mercato, sul valore di un giocatore, sull’adeguatezza di una scelta tattica sia fatta in relazione all’obiettivo Champions o a quello del sesto scudetto consecutivo. Tali obiettivi, a scanso di equivoci, sono entrambi difficili e assolutamente non scontati; ma riguardo al primo, è innegabile che il margine di errore di ogni singolo fattore si restringa in modo impressionante e, quindi, le valutazioni diventino per forza di cose estremamente esigenti.
Come detto, quindi, ci sono nodi da sciogliere. In Champions abbiamo certamente molti degli ingredienti per andare fino in fondo ma deve essere chiaro che vanno risolte alcune questioni. Quali? Proviamo a sintetizzarle (e forse non è campato in aria presumere che questa volta ci sia anche un ordine di importanza nell’elenco che segue):
- La quadratura del centrocampo (probabilmente lo snodo cruciale della stagione)
- La tenuta fisico/atletica dell’attuale assetto difensivo
- La variabile “culturale” legata indissolubilmente alla Juventus: la priorità data alla fase difensiva.
Il centrocampo bianconero stagione 2016/17
L’attuale roster a disposizione di Allegri pone una serie di interrogativi a cui ancora bisogna dare delle risposte.
In Champions a mio avviso occorre assemblare un reparto in cui sia la tecnica, sia la forza fisica siano presenti in modo significativo. La mia opinione è che il centrocampo bianconero abbia solo in parte un problema numerico e in modo rilevante abbia invece un problema di assortimento di caratteristiche degli interpreti a disposizione. Il compito più arduo che Allegri ha quest’anno è infatti secondo me l’assemblaggio corretto degli interpreti, reso problematico dalla cessione (inutile girarci intorno) di Paul Labile Pogba.
L’ex 10 bianconero forniva infatti un contributo determinante a 360° nell’economia del gioco bianconero. E lo faceva in entrambe le fasi. Trovare sul mercato un altro giocatore con caratteristiche simili era praticamente impossibile. Certamente Pjanic assolve e copre gran parte del vuoto lasciato dal francese, ma non in modo esaustivo. Forse, se si voleva sostituire Pogba mantenendo inalterata la capacità competitiva del reparto, non c’era altra alternativa che “pensare” a una sorta di “due per uno”, cioè ingaggiare Pjanic (fatto) e un altro interprete con caratteristiche diverse e complementari (vi viene in mente qualcuno? Direi di sì…). Tutto ciò per ruotare gli interpreti diversi in funzione delle necessità tattiche del momento o, ancor di più, valutando la possibilità di cambiare sistema di gioco per avere un reparto di centrocampo “completo” in ogni variabile competitiva.
Chiudiamo il ragionamento con Pjanic. Il cinque deve essere libero, in campo e di testa. La mezzala nel 352, tatticamente, è una sorta di dottorato di ricerca calcistico: è richiesta costantemente una lettura del gioco in relazione alla propria posizione e a quella di almeno un paio di pedine, il regista basso e l’esterno di riferimento. Ho cercato di “leggere” le prestazioni del bosniaco in questo scorcio di stagione, l’ho visto dal vivo concentrandomi proprio su di lui. La mia impressione è che la sua collocazione nel 352 è estremamente complessa. Da regista basso, è a mio avviso uno spreco di risorse incredibile. Trovandosi spesso lontano dall’area avversaria, le sue capacità balistiche e di key pass non trovano uno sbocco adeguato. Inoltre, le caratteristiche dei rimanenti centrocampisti spingono spesso Dybala ad arretrare per aprire il gioco. Non bene, visto che liberare Dybala dalla costrizione di costruire gioco sulla linea di centrocampo era uno degli obiettivi tattici che ci si era posti all’inizio del mercato. D’altro canto, è parso evidente come da mezzala offre il fianco alle incursioni avversarie. Ora, finché l’avversario si chiama Palermo o Lazio, con tutto il rispetto, le possibilità che ci vada bene sono alte; in Europa forse non possiamo avere lo stesso livello di confidenza…
Pjanic richiede libertà di testa (finto esterno alto o mezzala in un 433, comunque un sistema in cui “qualcun’altro” è chiamato a preoccuparsi tatticamente coprendolo) oppure libertà di ruolo (vertice alto in un rombo di centrocampo, con compiti di copertura ridotti e, soprattutto, semplici). Visto il valore altissimo del giocatore, direi che una riflessione sull’opportunità di porlo nelle condizioni per rendere al meglio andrebbe fatto.
La tenuta fisico / atletica della BBC
Bonucci è l’unico dei tre ad avere meno di trent’anni. Barzagli è un ’81 e Chiello è un ’84; entrambi, vista l’età, con una storia di infortuni non preoccupante ma comunque da tener presente. Ora, nell’attuale sistema di gioco i tre costituiscono la pietra miliare attorno alla quale si è costruito l’intero impianto di gioco. Vale la pena riflettere se sia ancora il caso o meno esporsi a questo rischio. Chiaramente non si tratta di mettere da parte questo o quello, stiamo parlando di 3 fra i più forti centrali al mondo. Una rotazione più spinta fra essi (possibile solo variando il sistema di gioco) garantirebbe probabilmente un buon margine contro i possibili infortuni nonché performance più brillanti dei singoli.
La variabile “culturale”
Più volte, nel corso della stagione, abbiamo sentito mister Allegri e i calciatori commentare le prestazioni della squadra riferendosi alle occasioni concesse piuttosto che ai gol subìti come situazioni tragiche dalle quali emendarsi con supplizi nella pubblica piazza. Ora, lungi da me auspicare approcci zemaniani più o meno arzigogolati e fuori luogo, ma ci sarà una sintesi possibile fra il fregarsene in senso assoluto e vivere un gol subìto o, ancor di più, un’occasione concessa come quasi la deflorazione non consensuale di una propria congiunta. Per carità di Dio, nel calcio è impensabile avere come riferimento l’azzeramento del rischio.
Sappiamo tutti bene quali siano le caratteristiche precipue della nostra storia e quanto in termini di vittorie dobbiamo all’eccellenza dei reparti difensivi bianconeri che si sono succeduti nel corso degli anni, ma non tener conto dell’incredibile potenzialità offensive di questa rosa sarebbe delittuoso. Ecco, un equilibrio, anche in questo aspetto, in questa stagione andrebbe trovato. Soprattutto, lo ribadisco per l’ennesima volta, in chiave europea.
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Dunque, se è inutile ormai dire cosa si sarebbe dovuto o potuto fare, è invece necessario a mio modestissimo parere accettare il fatto che, stando così le cose, le soluzioni tattiche adottate sono perfettibili. È inutile sottolineare l’importanza di questa stagione ed il grado di difficoltà degli obiettivi che ci si è posti. Ecco, le soluzioni devono essere all’altezza. Sono finiti i tempi di De Ceglie sulle fasce, Padoin a centrocampo, Quagliarella in attacco. C’è ancora la necessità/opportunità di schierare un sistema di gioco che preveda, al netto dei centrali di centrocampo, un elevato adattamento degli interpreti in funzione del sistema di gioco? Piccola nota che personalmente mi preme molto sottolineare: ricordo a tutti che Dani Alves e Alex Sandro sono esterni di difesa, terzini come si diceva una volta. Uno è stato per anni il miglior esterno destro basso del mondo per distacco, l’altro è destinato a rientrare fra i migliori a sinistra (se non lo è già). Come qualcuno dice in questi casi, suvvia…
Per concludere, mi sembra del tutto evidente che le questioni aperte siano legate fra loro e richiedano approcci coordinati, condivisi negli aspetti tecnici ed equilibrati nelle ipotesi di soluzione. Allegri, tecnico vincente e italiano, è l’uomo perfetto per questo momento e per questa Juve. Non abbia quindi alcun timore, anche quest’anno, di essere Allegri.
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