

Il bilancio 2015/16 della Juve è già stato analizzato da più parti, per cui mi limiterò a segnalarvi alcune curiosità emerse dalla lettura dello stesso.
- I ricavi sono cresciuti di 39,7 mln €. Di questi, 22,9 mln derivano da maggiori proventi della gestione calciatori (plusvalenze), a cui si aggiungono altri ricavi netti non ricorrenti per € 8,9 mln. Ciò significa che il bilancio, al netto di questi ricavi “straordinari”, si sarebbe chiuso in negativo, anche se di poco. Chiudere il bilancio leggermente negativo o con un utile di 4,1 mln €, al di là della soddisfazione che può portare chiudere il bilancio in attivo a fronte dello sfacelo generale del calcio italiano, cambia poco. La gestione è comunque in equilibrio e le risorse sono impegnate “a tappo”: tutti i danari che si potevano spendere per la parte sportiva sono stati spesi, di più non si poteva fare senza compromettere l’equilibrio gestionale.
- I costi operativi sono cresciuti di 36,2 mln €: 18,9 mln per gli ingaggi dei tesserati, 4,2 mln per il personale non tesserato (l’aumento di questa voce è dovuto all’acquisizione di Juventus Merchandising, società appartenente al gruppo Nike, avvenuta il 30 giugno 2015. La struttura interna che si è così venuta a formare, a cui sono affidate le attività di licensing, retail e soccer school, è oggi composta da 47 persone), 5,6 mln per servizi esterni, 9,2 mln per maggiori ammortamenti dei cartellini dei calciatori. Tutti questi costi si ripresenteranno (aumentati) anche l’anno prossimo.
- Tra le nuove voci di ricavo sono comparsi 13,5 mln € relativi a “Ricavi da vendite di prodotti e licenze” (c.d. merchandising). A questi però bisogna sottrarre costi per 4,3 mln, relativi ad “Acquisti di prodotti per la vendita”, e una parte di quelli relativi al personale non tesserato; verosimilmente i 4,2 mln di cui parlavo sopra. Resta un ricavo netto (stimato!) di circa 5 mln. Valeva la pena gestire direttamente il merchandising, quando Adidas ci avrebbe garantito comunque 6 mln l’anno? Apparentemente no, ma io dico di sì. Nel medio periodo i ricavi da sponsorizzazione e merchandising potrebbero diventare la prima voce di introito per la Juventus, esattamente come è già oggi per le altre big europee: mi sembra pertanto una scelta strategicamente corretta gestirli in proprio. Questo era l’anno zero: sarà il tempo a dirci se sarà vincente.
- L’indebitamento finanziario netto ammonta a € 199,4 milioni ed evidenzia un incremento di € 10,5 milioni rispetto al dato di € 188,9 milioni del 30 giugno 2015. Livello di preoccupazione a seguito di questo incremento? Zero. 10,4 milioni (netti) fanno riferimento a “investimenti in altre immobilizzazioni” (leggasi genericamente: Progetto Continassa) e 40,2 milioni netti sono relativi alle campagne trasferimenti: ossia sono costi “non ricorrenti”, che la Juventus può modulare a suo piacere, mentre la gestione operativa è positiva per 43 milioni. Come sempre, l’ammontare del debito in sé è scarsamente significativo: quello che rileva è la capacità di rimborsarlo, e oggi la Juve appare perfettamente in grado di ripagare i suoi debiti.
- Sempre in merito ai debiti finanziari segnalo l’allungamento delle scadenze: al 30 giugno 2015 il 77,6% dei debiti (146,6 mln) scadeva entro l’anno; oggi il 75,6% (150,7 mln) ha scadenza successiva al 30 giugno 2017. Tutto questo è bene, perché debiti con scadenze più lunghe nel tempo consentono di gestire meglio la liquidità, programmare gli investimenti e organizzare con calma i rimborsi.
- “Nel luglio 2016 Juventus ha esercitato l’opzione per il riscatto dello Juventus Training Center di Vinovo ed ha acquisito da Unicredit Leasing S.p.A. la proprietà dello stesso sottoscrivendo il relativo atto di compravendita e versando il corrispettivo di € 7,7 milioni.” Mi pare non ci sia molto da aggiungere.
- Continassa, J Village, J Medical, ampliamento del J Museum, Scuola Internazionale, Hotel, nuovo Training and Media Center, nuova sede sociale di Juventus, Concept Store e tutto il resto di cui spesso sentite parlare: per l’inizio della stagione 2017/18 dovrebbe essere tutto pronto. Ovviamente tutto questo consolida enormemente la società Juventus a livello patrimoniale, allarga ulteriormente la voragine (“solco” mi pare riduttivo) che si è creata col resto della Serie A e rafforza l’immagine della squadra a livello internazionale; mi corre però l’obbligo di raffreddare l’entusiasmo a livello di ricavi: sicuramente porterà un risparmio di costi, ma a livello di ricavi molto difficilmente genererà flussi di cassa rilevanti.
- Plusvalenze dalle cessioni: nella stagione 2015/16 ne sono state registrate per 36,5 mln netti. Quest’anno (2016/17) ne sono già state registrate per 115,6 mln.
- La campagna acquisti 2016/17 ha portato un aumento del capitale investito di € 121,9 milioni: acquisti per 156,2 milioni meno cessioni per 34,3 milioni (valore contabile netto dei diritti ceduti). L’impegno finanziario totale, da distribuire nel corso delle prossime stagioni, è di 45,4 milioni, di cui 37, 4 per commissioni ad Agenti. Ebbene sì, in questa voce è compresa la commissione di Raiola per la cessione di Pogba al Manchester United. Come previsto a suo tempo, niente TPO o altri magheggi strani. Si potrà discutere sull’opportunità morale di riconoscere certe cifre ai procuratori, si potrà dissertare su quali siano i veri padroni del mercato calciatori o su quanta parte abbia avuto Raiola a convincere il suo assistito a migrare a Manchester, ma non si può dir nulla sulla correttezza dell’operato della Juventus S.p.A.
- Per la prima volta da quando Andrea Agnelli è alla presidenza della Juventus, alla voce “Evoluzione prevedibile della gestione”, invece del solito prudenziale “chiuderemo in perdita, fatti salvi risultati sportivi eccezionali”, troviamo scritto: “i proventi già generati dalle cessioni perfezionate nel corso della stessa e l’incremento di altri ricavi operativi consentono di prevedere che anche l’esercizio 2016/2017 evidenzierà un risultato economico positivo”. 115,6 mln di plusvalenze infatti consentiranno di avere un utile di bilancio, indipendentemente dai risultati sportivi.
Prima che riparta la solita litania assortita di: “ci stava il centrocampista”, “a centrocampo schieriamo la plusvalenza”, “la Champions si vince coi calciatori, non con i bilanci” e altre amenità varie, ribadisco per la centesima volta che non sono le plusvalenze a determinare la spesa sostenibile per i calciatori, bensì l’ammontare dei ricavi ordinari. Come abbiamo visto prima, la Juve è “a tappo” per quanto riguarda il bilancio 2015/16 e per il futuro scrive: “nell’esercizio 2016/2017 è previsto un significativo incremento dei costi relativi al personale tesserato e agli ammortamenti derivanti dalle acquisizioni”. Tradotto dal bilancese: ci siamo caricati di costi in misura importante, contando su una crescita futura dei ricavi altrettanto importante. Se ci sarà, bene, altrimenti useremo gli utili di quest’anno per compensare le perdite degli anni futuri (questo ovviamente non c’è scritto nel bilancio e non ho spifferi dall’interno della società: uso solo la logica ed il buon senso per trarre queste conclusioni).
E questo è tutto. A giorni uscirà il bilancio definitivo e se ci sarà qualcosa di interessante ve lo faremo sapere.
Consentitemi però un’ultima amara riflessione. Se in Italia non c’è paragone, tanta è la differenza col resto della Serie A, anche in Europa non c’è paragone, tanta è la differenza con gli altri top club che partecipano (e non) alla Champions League.
Neanche a farlo apposta, in contemporanea con la pubblicazione del progetto di bilancio della Juve è uscito anche quello dello United, che pochi giorni fa ci ha sottratto Pogba, e fare un confronto mi è venuto naturale.
Lo United ha registrato ricavi superiori ai 600 mln €, ha un costo del personale di 280 mln circa e ammortamenti per più di 100 mln.
Al netto dei proventi derivanti dalla gestione dei diritti dei calciatori, i ricavi della Juventus ammontano a 340 mln; 197,7 mln il personale tesserato (221,5 tutto compreso) e 67 mln gli ammortamenti.
260 milioni di differenza nei ricavi e più di 100 nella potenza di fuoco (questo prima dell’incremento dei costi della campagna acquisti condotta da Mourinho): questi i numeri della superiorità economica delle big europee. Non solo il grande divario esistente è già motivo di preoccupazione, ma quel che è peggio è che loro crescono più di noi, quindi questo divario è addirittura destinato ad ampliarsi. Senza una svolta brusca e repentina nei ricavi non riesco a immaginare come sia possibile colmare il gap; forse solo la creazione di una SuperLeague europea potrebbe aiutarci nell’impresa.
Nel frattempo una profonda riforma della Serie A non è più un’opportunità di crescita: è diventata la condizione necessaria per la sopravvivenza ad alti livelli del calcio italiano.