

Il calcio è uno sport molto semplice: giochi in un rettangolo, 11 contro 11 e devi buttare la palla dentro la porta avversaria.
Quante volte? 1, 10, 100, 1000 volte, l’importante è che la butti dentro 1 volta in più del tuo avversario.
Se fai così, vinci.
Questa è la regola base, il principio intorno al quale ruota tutto l’ingranaggio.
Lo impari subito, sin da quando con gli amici da bambino giochi quelle partite in campi improvvisati, senza erba, con i giacconi a fare da palo, la traversa immaginaria: quando si fanno le squadre e fai pari o dispari speri di vincere per cominciare a scegliere tu i compagni, ovviamente per scegliere lui, quello più forte del gruppo, quello che scarta tutti ed entra con la palla in porta e ti fa vincere la partita.
Poi cresci, cominci a giocare a livelli più alti, diventi professionista, il calcio diventa un lavoro, devi allenarti, imparare i movimenti, gli inserimenti, tutto quello che ti insegnano gli allenatori, ma alla fine la regola è sempre quella: devi segnare un gol in più dell’avversario e se hai in squadra uno che la palla la butta dentro tu devi dargli la palla.
C’è una scena in “Fuga per la vittoria”, quando Michael Caine spiega ai giocatori i ruoli ed i compiti che devono svolgere quando Pelé va alla lavagna, prende il gesso, comincia a disegnare delle serpentine dalla metà campo fino alla porta avversaria dicendo di farsi dare la palla che ad andare in porta ci pensa lui.
Facile, no?
Ma perché tutta questa introduzione?
Che c’entra con la partita appena conclusa?
C’entra, perché se c’è una cosa che a volte non capisco di questa squadra (a inizio stagione era diventato un vero e proprio chiodo che non mi voleva uscire dalla testa), è la scarsa propensione (talvolta, sottolineo talvolta) a cercare lui, Gonzalo Higuaìn, il primo vero centravanti fuoriclasse dai tempi di David Trezeguet che veste la nostra maglia.
Un bomber, uno che vede la porta come pochi altri al mondo, che segna con una regolarità impressionante e che ti toglie le castagne dal fuoco anche quando non giochi alla grande: ecco, dite la verità, quante volte avete imprecato in questa stagione con i vari Dybala, Cuadrado, Hernanes (a proposito, buona fortuna profeta!) o chi volete voi perché tentano delle conclusioni velleitarie o improbabili invece di cercare Higuaìn?
Io lo ammetto, svariate volte e stasera ero sulla strada giusta per rinverdire il trend: partita approcciata non molto bene, pressati dal Cagliari desideroso di vendere cara la pelle e regalare una gioia ai propri tifosi (e mi sta bene, magari se la prossima volta decidesse di avere questo piglio anche contro altre squadre che ben conosciamo ci farebbe una figura migliore, ma tant’è…), poche idee ma confuse da parte nostra e Higuaìn fuori dalla partita. La classica partitaccia, tra l’altro giocata con un forte vento che ha condizionato i giocatori per tutti i 95 minuti, che poteva e doveva essere sbloccata da un colpo estemporaneo.
E così è stato, quando il buon Marchisio (decisamente fuori forma, ma è normale dopo l’infortunio) si è ricordato di essere Marchisio e ha visto quel corridoio immaginario lungo il quale lanciare la palla sapendo che lui, il rapace, l’avvoltoio dell’area di rigore ci si sarebbe buttato.
1-0 per noi a pochi minuti dalla fine del primo tempo, partita e avversario stroncati senza pietà.
Ecco a cosa servono i grandi attaccanti e come diceva qualcuno poche settimane fa, alla fine 90 milioni si riveleranno pure un prezzaccio di saldo per uno come lui!
Comincia il secondo tempo, pochi secondi e già te lo vedi vicino alla nostra area di rigore a dare una mano, e godi!
Ma non è mica finita qui, la palla mica la butta fuori, la passa a Marchisio che lancia Cuadrado che imbecca Dybala che sente arrivare da dietro Higuaìn, gli passa la palla in avanti e lui di punta segna il 2-0.
Ho messo più tempo io a scrivere questa frase che loro a portare avanti questa azione, un vero e proprio contropiede da manuale e tanti saluti anche a questa partita e alle “avversarie”, subito rimesse in riga con il risultato e con il gioco: abbiamo fatto sentire qual è la voce del padrone.
Noi parliamo così, le altre squadre no e la differenza tra noi e loro sta tutta qui.
E così se ne va un’altra partita in cassaforte, ennesima vittoria per questa squadra che non conosce la parola pareggio da un anno (a parte due eccezioni alla regola in Champions League quest’anno e una la scorsa stagione) e che, dopo la sconfitta di Firenze, si sta abbonando alle vittorie con 2 gol di scarto e a una evidente manifestazione di superiorità che annichilisce gli avversari: di Higuaìn abbiamo già detto, così come di Marchisio, per il resto buona prova di tutta la squadra, con una piccola curiosità.
All’inizio la squadra dietro ballava, e neanche poco, poi la sostituzione di Chiellini e l’entrata in campo di Rugani ha cambiato tutto: molto più solidi e compatti dietro, da lì in avanti, a parte un paio di tiri concessi nel secondo tempo (più per calo di concentrazione che altro) non abbiamo concesso più niente e mi viene da dire che non è un caso.
Il ragazzo, che ricordiamolo ancora non ha compiuto 23 anni, ha passato brillantemente il periodo di ambientamento in una grande squadra, ha imparato a essere più deciso e meno timido e ha fatto il definitivo salto di qualità: di suo ha un senso della posizione pazzesco, è perennemente in anticipo sugli avversari e sa come renderli inoffensivi senza commettere fallo.
Non voglio dire chi mi ricorda, perché sarebbe un paragone immane, ma se penso all’età che ha e a come sta bruciando le tappe direi che in casa abbiamo un difensore forte come non lo avevamo dai tempi di Scirea (l’ho detto).
Capitolo a parte merita Dybala: non è il suo periodo migliore alla Juve, si vede che cerca insistentemente il gol, la giocata ad effetto, il numero per incantare i tifosi, ma si tranquillizzi.
Sappiamo tutti chi è, sappiamo che un periodo del genere è fisiologico dopo un’annata come quella appena trascorsa, che al fianco ora ha uno come Higuaìn e sappiamo che ne uscirà ancora più forte, quindi non cerchi per forza il gol a tutti i costi (e poi che non è il periodo giusto lo capisci quando il portiere ti compie un vero miracolo su un colpo di testa che normalmente sarebbe entrato dentro) e se necessario faccia le cose semplici. Nel frattempo le punizioni le lasci a Pjanic.
Sugli altri… solita ottima prova di Khedira (ribadisco che sono contento di essermi sbagliato nei miei giudizi su di lui dopo Firenze), vero leader di centrocampo, un po’ indecisi gli esterni ma va bene così.
Un ultimo pensiero ad Allegri e alle sue 100 panchine in bianconero in serie A: è entrato in punta di piedi in un momento terribile, ha accettato serenamente le critiche (leggi insulti) dei tifosi, ha accettato anche di lasciar giocare i ragazzi con il vecchio modulo portando pian piano le sue modifiche. Ha portato la calma in una squadra abituata ad andare sempre a 1000 all’ora, predicando sempre la pazienza anche quando le partite non si sbloccavano e potevano diventare maledette: dopo 100 panchine è una Juve completamente diversa, farcita di campioni che lui riesce a fare convivere tra loro e a cui ha fatto accettare il sacrificio di non stare mai fermi per tutta la partita, mettendo di fatto in campo 11 tuttocampisti.
Ah, i numeri: su 100 partite (in serie A) 75 vittorie.
Insomma, io spero che rimanga ancora a lungo, poi vedremo.
Keep the faith alive e forza Juve!
PS. Il titolo è anche un omaggio a Giusto Pio, grande musicista e compositore, prezioso collaboratore di Franco Battiato nei suoi anni migliori, che oggi è morto. Non c’entra niente con il calcio, ma quando ci lascia qualcuno che c’ha donato qualcosa di bello mi sembra giusto ricordarlo.
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