“Il calcio è un grande rito che devi rispetar” recitava l’incipit di una canzone degli Elii di qualche anno fa.
Un grande rito, condito da una miriade di luoghi comuni e di frasi fatte come “L’attaccamento alla maglia”, “Questo giocatore X è da squadra Y”, “Il pubblico è il dodicesimo in campo” e via discorrendo.
Da bambino pensavo che un giocatore non dovesse mai cambiare squadra, crescendo rimasi malissimo per gli addii di Cabrini e Laudrup (porto ancora la fascia nera al braccio per il suo passaggio al Barcellona), oggi i trasferimenti dei giocatori non mi fanno né caldo né freddo.
Non ho battuto ciglio per l’addio di Pogba, per quello di Tevez e anche per quello più recente di Cristiano Ronaldo (tranne per il fatto che da quel momento ho cominciato a detestarli), attualmente seguo con lo stesso interesse con cui guardo un programma TV di Giacobbo la telenovela (o telenovena come diceva mia nonna) del rinnovo di Dybala.
Ieri sera però lo stesso Dybala, a parole attaccatissimo ai colori bianconeri, ama questa maglia e bla bla bla, dopo aver segnato il gol del vantaggio contro la temibilissima Udinese (dopo che contro l’Inter in Supercoppa in quasi un’ora non aveva dato segni di vita), non ha esultato e ha lanciato uno sguardo torvo verso la tribuna.
Evidentemente è un po’ alterato per questa vicenda del rinnovo, che è pronto da Ottobre 2021 ma che ancora non è stato firmato, quindi non vale un fico secco.
Un rinnovo a cifre esorbitanti (e pazienza se la squadra del cuore è in crisi finanziaria e si salva perché alle spalle ha un colosso come Exor che ripiana i buchi di bilancio), dopo che negli ultimi anni non ha dimostrato un granché né in Italia figuriamoci in Champions League (c’è quel MVP del campionato 2019-2020, la cui assegnazione sta diventando il quarto segreto di Fatima), è spesso infortunato e si allena come un Margheritoni qualsiasi.
Un rinnovo portato avanti grazie alla mediazione del suo procuratore Antun, che non ha i titoli per fare il procuratore ma evidentemente si è laureato all’Università della Vita e poi “Uno vale uno”.
Questa è la situazione, o almeno lo era, e alla Juventus ci stavano cascando.
Poi, il lupo cattivo, anche detto Arrivabene, mandato in società per dire “Da ora in poi senza lilleri ‘un si làllera” ai vari Remo (inteso come nipote della sorelle Materassi), ha perso la pazienza e il contratto pronto da Ottobre 2021 è in un cassetto a prendere la polvere, se vuole rinnovare chieda di meno sennò ciao.
Reazione di Dybala?
Quella di ieri sera, tra l’altro con la fascia da capitano al braccio.
Arriviamo al dunque.
Ha fatto bene a comportarsi così?
Non saprei, però mi piace citare il gesto di Liam Brady, un grande numero 10 della nostra storia, che ha indossato con tanta classe e merito la nostra maglia dal 1980 al 1982.
Pochi giorni prima della fine del campionato 1981-82, Brady viene a sapere che l’anno successivo non sarebbe rimasto alla Juventus, nonostante fosse il giocatore più forte della rosa. Motivo?
Nel giro di 48 ore la Juventus aveva acquistato Michel Platini e, visto che era già stato acquistato anche Boniek e c’era posto per due soli stranieri, il buon Liam doveva andarsene (tra l’altro continuò a dispensare ottimo calcio alla Sampdoria, all’Inter e all’Ascoli negli anni successivi).
Nonostante questo, Brady si comportò da vero professionista nelle partite successive e, nell’ultima decisiva partita a Catanzaro, quando si trattò di battere il rigore che avrebbe potuto farci vincere lo scudetto, non si tirò indietro.
Andò sul dischetto, mantenne la calma, spiazzò il portiere segnando il gol decisivo che ci fece vincere il campionato, il ventesimo, quello della seconda stella.
E, come se non bastasse, esultò, di rabbia e di gioia, ma esultò.
Un comportamento esemplare, da vero professionista, che fino all’ultimo secondo dà il massimo per la squadra dove gioca, nonostante questa squadra abbia già deciso di cederlo.
Vi ricorda qualcuno? No? Ok.
Tra l’altro il destino ci mise lo zampino, visto che l’anno successivo il campionato della Juve partì proprio da Marassi e Brady giocò una bella partita, conducendo la sua squadra alla vittoria, tanto inaspettata quanto meritata.
Potrei citare tanti altri grandi numeri 10 (e anche altri fuoriclasse) della nostra storia, da Platini che preferì smettere di giocare nonostante avesse tante richieste da altre squadre, a Baggio e Del Piero che sopportarono in silenzio le provocazioni degli Agnelli (Coniglio bagnato il primo, Godot il secondo) e salutarono la Juve senza fare polemica, a Zidane che dette il massimo fino all’ultima partita, a Nedved che rifiutò di andare all’Inter nel 2009 (e, detto tra noi, io non glielo avrei mai rinfacciato, visto che nel momento più difficile della nostra storia lui era rimasto), a Scirea che ha giocato fino alla fine con la maglia bianconera.
Potrei farlo, ma in questo caso mi pare più calzante l’esempio di Brady.
Un grande numero 10, lui sì, un grande mancino, lui sì, un grande professionista che ha avuto una sola sfortuna, chiamata Michel Platini.
L’eterno ragazzino Paulo Dybala, che in 6 anni e mezzo di Juve ne ha giocati da fuoriclasse solo 2 e gli altri ha vivacchiato di rendita, tra un allenamento blando e un festino con amici e parenti, chieda chi era Liam Brady e prenda esempio da lui.
Anche perché, purtroppo per noi, un Platini all’orizzonte non si vede.
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