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Ceccarini for ever

La magia del Calcio ci regala il ventennale dell’episodio Iuliano-Ronaldo nella settimana tra due partite d’importanza capitale e dall’alto valore simbolico: Juventus -Napoli, uno scontro diretto giocato in casa e d’importanza simile a quello del ’98, ma perso; e Inter-Juventus, un match contro il club che ci ha spianato la strada verso il primo titolo di questo ciclo, battendo il Milan nella penultima giornata del campionato 2011/12, e che potrebbe essere determinante nell’interromperlo sabato sera.

 

L’Inter di vent’anni fa era un club cui mancava il tricolore da nove anni e i due ultimi scudetti li aveva conquistati sempre a distanza di nove anni da quelli precedenti; sembrava un segno del destino quindi mentre si usciva da un triennio di trionfi della Juve, coincisi con i primi due anni e mezzo da patron di Massimo Moratti, in cui la squadra nerazzurra aveva conseguito un sesto, un settimo e un terzo posto in campionato, oltre a una finale di Coppa Uefa persa.

La fame di un ambiente che veniva da due miseri scudetti in 26 anni, la disponibilità economica di Saras e l’ingresso di capitali garantito da Pirelli, divenuto l’anno prima sponsor ufficiale e principale azionista di minoranza con una quota del 14%, portarono la proprietà ad intraprendere una campagna acquisti faraonica: oltre a Ronaldo preso dal Barcellona per 48 miliardi di lire, record dell’epoca, arrivarono a Milano tra gli altri West, Simeone e Moriero.

 

Nel campionato 1997/98, come nella stagione attuale, ci fu un testa a testa: fuga iniziale dell’Inter culminata con la vittoria nello scontro diretto di San Siro del 4 gennaio ’98, cui seguì il ritorno di un grande classico, l’interismo, con feste, bausciamenti e sconfitte che consentirono alla Juve il sorpasso giusto in tempo per laurearsi campione d’inverno; alla partita di ritorno l’Inter ci arrivò però di grande slancio, grazie a sei vittorie consecutive e ai contemporanei pareggi della Juve qualche domenica prima contro Napoli e Parma, portandosi a ridosso della capolista con un solo punto di svantaggio.

Il resto è storia.

E circo.

 

Ho visto entrambi i match dal vivo, in compagnia di amici interisti e in settori con tifoserie miste: uscii da San Siro con la sensazione che fosse il loro anno anche se dominammo, un paio di episodi arbitrali contrari che mi guardai bene dal menzionare con loro, una tranquilla serata di sport; l’uscita dal Delle Alpi mesi dopo fu invece più movimentata, che dire, si incrociavano occhi iniettati di sangue e grida rabbiose che al confronto la sortita di Craxi dall’Hotel Raphael nel ’93 fu una passeggiata di salute.

Ci sono vari filmati in rete sulle moviole di quell’annata sia favorevoli all’Inter che alla Juventus, e per chi non li avesse visti o non li rammentasse citerei due casi esemplari e simili, entrambi in trasferta con provinciali, perché fruttarono probabilmente due punti in più a ambedue le squadre in lotta: 1) Zanetti a Piacenza seppellì vivo in area Rastelli a tempo scaduto, sullo 0-1. 2) Peruzzi a Empoli respinse al 75° minuto un pallone che aveva oltrepassato la linea di porta al massimo di cinque centimetri, e il direttore di gara, che allora non disponeva della Goal Line Technology o di arbitri di porta, non convalidò.

La differenza tra i due episodi è presto detta: il primo me lo ricordo solo io mentre il secondo è entrato nell’immaginario popolare a tal punto che l’arbitro di quel match, Rodomonti, tempo dopo si trovò a passare da Tribunali penali, per poi uscirne completamente assolto; ma questa è un’altra storia, o forse no.

La mia chiosa su quel 26 aprile è la doverosa sottolineatura del fatto che il pericoloso e sciagurato fallo di sfondamento del cosiddetto “Fenomeno”, ai danni del povero Mark Iuliano, non venne neanche sanzionato con un sacrosanto cartellino giallo (arancione?); e sfortuna volle che il vantaggio concesso da Ceccarini non si tradusse poi nel raddoppio sul successivo rigore procurato e tirato da Del Piero.

 

Mentre Marianella e l’ex arbitro Chiesa in diretta SKY giudicavano il famoso intervento come un normale contrasto di gioco, il “telecronista tifoso” interista in quell’occasione cominciò a manifestare gravi problemi di incontinenza verbale e non.

Fu uno scudetto meraviglioso, contro il già scritto, contro i media che già vomitavano veleni, contro quei tre quarti d’Italia che tifavano per l’altra parte, un po’ come oggi.

Seguirono interrogazioni e risse parlamentari, insinuazioni e dichiarazioni da querela e quel giorno divenne il simbolo del vittimismo interista: il loro essere irrimediabilmente “piangina” aveva trovato la sua sublimazione in un brasiliano che ha buttato la palla da una parte per poi correre da un’altra addosso al difensore avversario.

Senza forzare con eccessive generalizzazioni l’ambiente nerazzurro era così trent’anni prima, lo era allora, lo è oggi e probabilmente lo sarà tra cinquant’anni.

Piero Ceccarini ha avuto il solo merito di essere involontario testimone dell’apice della loro cultura dell’alibi ma basta questo per avere un posto speciale, per sempre, nei nostri cuori.

 

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