Riceviamo e pubblichiamo: di Matteo Nuzzo
Lo ha annunciato con la solita faccia, la solita voce, come se fosse la cosa più normale del mondo. “A dicembre dico basta”, ha detto. E stavolta fa male davvero. Per Del Piero ce ne siamo fatti una ragione, in fondo Alex ci ha deliziato per 20 anni con addosso la maglia bianconera. Andrea Pirlo no, solo 4 anni. Troppo pochi, troppo brevi, eppure sufficienti a farcelo amare alla follia. La sua voce monocorde, la sua unica espressione seria ma non troppo, la sua barba, la sua classe. Il giorno in cui il Dio del calcio ha distribuito la classe, quest’uomo si è messo in prima fila e si è ingozzato senza ritegno. Lo dico subito a scanso di equivoci: ritengo Pirlo il più grande calciatore italiano degli ultimi 40 anni (quindi di sempre, perché ai tempi di Meazza e anche di Rivera e Riva era un altro sport). Più di Del Piero, più di Totti, più di Baggio. Campioni straordinari, ma replicabili, non unici. La prima caratteristica di Pirlo che viene in mente è invece proprio il suo essere unico, singolare, non replicabile. Vado addirittura oltre: il suo piede destro merita un posto di rilievo tra i più grandi della storia, tra i Maradona, Messi, Zidane, Platini, Crujiff, Ronaldo e pochi altri.
Qualcuno ci prova, ad avvicinarlo ad altri: il primo nome che sentiamo fare, per epoca e ruolo, è Xavi, icona del Barcellona. A mio avviso siamo lontani: lo spagnolo è stato un fuoriclasse ma era un maestro soprattutto nel gioco corto, di certo non aveva le giocate abbaglianti del maestro. Lo stesso Verratti, da molti indicato come suo erede, è molto più simile a Xavi che a Pirlo. Nessuno è simile a Pirlo, nessuno lo è mai stato. Perso lui, ci aggrappiamo con tutte le forze a Miralem Pjanic, sembra che Allegri con lui stia provando la clonazione impossibile del genio bresciano; il talento nel bosniaco c’è tutto, vedremo tra qualche anno. Il repertorio di Pirlo è stato infinito, da quel destro poteva uscir fuori un lancio millimetrico di 40 metri come uno scavetto su rigore, la “maledetta” senza effetto, un dribbling tra tre avversari, un tiro potente dalla distanza, 10 punizioni gol ogni stagione. L’incredibile personalità di chi si fa dare palla anche quando è pressato. Mi vengono in mente alcuni fotogrammi, tra le mille giocate che ci ha regalato: una punizione dal limite in un derby di Milano che sfida le leggi della fisica, forse il più bel tiro che io abbia mai visto; l’assist no look a Grosso, a zittire Dortmund e i tedeschi; il cucchiaio ad Hart contro l’Inghilterra nei quarti dell’Europeo 2012, con l’Italia sotto di un rigore (e ci sono cucchiai e cucchiai, andate a riguardarvelo, sembra di toccare il velluto); l’assist a Lichtsteiner, affilato come una lama, in un Atalanta-Juve; la bomba al minuto 93 nel derby col Toro. Da trequartista talentuoso quale era, relegato ai margini dell’Inter (ma guarda un po’, lì si che ne capiscono…), grazie alle intuizioni di Colomba e Mazzone alla Reggina e al Brescia, ha arretrato di 30 metri il suo raggio d’azione ed è diventato il n. 1 dei registi, acquisendo uno straordinario senso della geometria senza perdere un grammo del suo genio creativo, anzi accrescendolo ogni anno. Con Ancelotti al Milan è entrato nel gotha mondiale, da juventini lo abbiamo ammirato come avversario fino a ritrovarcelo sotto l’albero di Natale, gentile omaggio di Galliani. Conte è stato intelligente a snaturare subito il gioco che aveva in mente (4-2-4) per permettergli di rendere al meglio con due incursori al fianco. Lui lo ha ripagato, e ha ripagato la Juve, con 4 anni di abbagliante bellezza. Un vero gigante, un mix tra l’ordine di Paulo Sousa e la classe di Roberto Baggio. Uno che lo ha conosciuto forse meglio di tutti, Rino Gattuso, diceva sempre che in allenamento Pirlo correva più di lui, aggiungendo che quando lo vedeva giocare si vergognava e si chiedeva se loro due facessero lo stesso sport. No caro Gattuso, non vergognarti. Non solo tu, nessuno ha giocato allo stesso gioco di Andrea Pirlo.