

Ho iniziato questo mio “percorso” parlando di stelle, di quelle che la Juventus ha voluto affiggere sulla volta dell’Allianz Stadium.
“Nel perimetro immediatamente adiacente l’esterno del secondo anello dello stadio, posto ad un’altezza di circa 18 metri rispetto al campo da gioco, è stato realizzato il cosiddetto “Cammino delle stelle”, ovvero una sorta di Walk of Fame bianconera in cui sono onorati i più grandi giocatori della storia della Juventus. In questa zona dell’impianto, la pavimentazione è stata suddivisa in 50 settori al cui interno trovano posto altrettante grandi stelle dorate celebrative, ognuna delle quali reca al suo interno il nome di un calciatore che ha fatto la storia del club.”
La selezione è avvenuta su base statistica (presenze e reti segnate) e del palmarès durante il periodo di militanza nella società bianconera (sia a livello personale, di club e delle nazionali); ecco l’elenco ufficiale dei 50:
Anastasi, Baggio, Benetti, Bettega, Bigatto, Boniperti, Borel, Brio, Buffon, Cabrini, Calligaris, Camoranesi, Capello, Causio, Charles, Combi, Conte, Cuccureddu, Davids, Del Piero, Deschamps, Del Sol, Di Livio, Ferrara, Furino, Gentile, Montero, Hansen, Nedved, Orsi, Parola, Peruzzi, Pessotto, Platini, Rava, Ravanelli, Rosetta, Rossi, Salvadore, Scirea, Sentimenti IV, Sivori, Tacconi, Tacchinardi, Tardelli, Torricelli, Trezeguet, Vialli, Zidane, Zoff.
Io ne ho visti giocare almeno 35-36 di questi, e su alcuni nomi non posso non essere d’accordo. Scirea, come dico sempre, dovrebbe essere materia di insegnamento: mai cattivo negli interventi, mai una parola fuori posto, difensore quando difendeva, centrocampista quando costruiva e attaccante vero quando segnava, per me è stato l’esempio che tutti i padri dovrebbero portare ai propri figli che vogliono diventare calciatori.
Però, e c’è sempre un però a questo punto, qualcuno manca. D’altronde, con dei criteri rigidi di scelta e con un numero definito di nomi, ci sarà sempre qualcuno scontento.
Io ho provato, in questi ultimi mesi, a porre rimedio ad alcune esclusioni, costruendo una sorta di squadra “ideale” di “stelle dimenticate” (ma gli juventini li ricordano bene, stando ai commenti): in porta Rampulla, in difesa Birindelli, Morini, Carrera e Fortunato, a centrocampo Brady e Galia, e in attacco Vignola, Giovinco e Zalayeta. Chiudo oggi questo “11” (ma le monografie continueranno, ce ne sono ancora tanti) con la storia del “Principino”.
Entrato nel vivaio bianconero all’età di 7 anni, Claudio Marchisio è nato a Torino il 19 gennaio 1986.
Dopo la trafila delle giovanili, nelle quali cambia ruolo passando da attaccante a centrocampista, è nella Primavera che si prende le migliori soddisfazioni: Torneo di Viareggio 2005 e Campionato Primavera 2006.

Claudio in Primavera
Nel 2006, a causa della “B”, la Juve inserisce molti giovani nella prima squadra, tra i quali Giovinco, De Ceglie e appunto Claudio Marchisio.
Che ci mette molto poco a convincere Deschamps: esordio (anche se solo i sei minuti finali) il 19 agosto 2006 in Martina-Juve di Coppa Italia, allo stadio San Nicola di Bari.
Alla fine del trionfante campionato cadetto, Marchisio chiude con 25 presenze. L’anno successivo, in prestito all’Empoli per farsi le ossa, esordio in Serie A. Quell’anno l’Empoli è anche in Coppa Uefa, ma, nonostante l’apporto dei prestiti juventini, non può evitare la retrocessione in B.
Ma il destino di Claudio è a casa, nella sua Torino.
Le prime stagioni sono di crescita costante, con soddisfazioni personali: viene inserito dal sito web dell’UEFA tra i dieci giovani che si sono messi in luce alla loro prima esperienza nella massima competizione continentale, mentre il Times lo inserisce al decimo posto, come miglior italiano, nella lista dei 50 astri nascenti del calcio internazionale.
La prima volta da Capitano è uno dei momenti più bassi della Juve, l’11 marzo 2010 contro il Fulham, ma dall’anno successivo, la crescita sarà comune.

Marchisio capitano
Arriva l’anno della rinascita, stagione 2011-2012, di un centrocampo con Pirlo e Vidal, di partite indimenticabili, come l’esordio allo Stadium, con gol, la doppietta al Milan, il gol all’Inter, lo scudetto alzato con 36 presenze e 9 gol.
È stato inoltre inserito per due anni consecutivi (2011 e 2012) nella squadra dell’anno AIC e nella squadra della stagione della UEFA Champions League nel 2014-15.
L’anno dopo ancora scudetto, più la Supercoppa, sempre da protagonista, poi un infortunio ai legamenti nel 2013 gli fa saltare l’inizio della stagione: da quel momento, soprattutto sui media, ma mai nei cuori dei tifosi, Claudio parte sempre come prima riserva di un centrocampo molto forte, ma alla fine riesce sempre a essere indispensabile e protagonista.
Anche il primo anno di Allegri, diventa titolare inamovibile e insieme ai compagni porta la squadra in finale di Champions, oltre a vincere Scudetto e Coppa Italia.
Superate le 300 presenze in bianconero, è ancora lui il cuore di un centrocampo che cambia tutti gli anni, che ogni anno lo vede partire come ultima scelta, ma che ogni anno lo vede titolare e protagonista.
“Da bambino amavo giocare in attacco, poi sono diventato un centrocampista. E sono felice di essere una delle bandiere bianconere, era il sogno che coltivavo fin da bambino, è stato un cammino incredibile, fino a oggi. Sono orgoglioso io e lo è tutta la mia famiglia… È stato talmente bello questo percorso che mi sembra ancora di essere dentro a un sogno, anche se sono passati tanti anni e sono stati vinti tanti trofei.”
Elegante in campo, e anche fuori (Balzaretti lo chiamava “il Piccolo Lord”), Claudio Marchisio ha sempre rappresentato la juventinità in modo esemplare.
“Ho interpretato tanti ruoli in questi anni, vivendo situazioni differenti, adesso alla mia età posso inserirmi con serenità in qualsiasi parte del campo, e lo devo a tutti gli allenatori che ho avuto e che mi hanno aiutato. Leadership nel gruppo? La acquisisci solo con l’esperienza, leader non ci nasci. Io sono cresciuto con grandi campioni a fianco a me che mi hanno trasmesso valori importanti, e ora provo a fare lo stesso.”
Il 17 aprile 2016, contro il Palermo, il Principino si rompe il legamento crociato anteriore, cosa che lo costringe a rimanere fermo sei mesi. Oltre al rientro dall’infortunio, l’acquisto del regista Pjanic e l’età che avanza, fanno sì che le presenze inizino a diminuire.
Anche se con Barzagli, Buffon, Chiellini e Lichtsteiner è tra i cinque protagonisti dei 7 scudetti consecutivi degli anni 2011-2018, sia per i problemi fisici che iniziano ad aumentare, sia per la concorrenza a centrocampo, dopo 25 anni di bianconero, 389 gare ufficiali, 37 goal e 15 titoli, il 17 agosto 2018 rescinde consensualmente il contratto che lo legava alla Juve.
Lascia due messaggi ai social, uno per salutare tutti, e il secondo dedicato in particolare ai tifosi.
“Ho passato gli ultimi 25 anni della mia vita ad immaginare quello che sarei voluto diventare ed i sogni che avrei voluto realizzare insieme alla Juventus, ma non c’è stato un solo attimo durante il quale ho pensato che avrei dovuto vivere un momento come questo. A prescindere da quello che saranno le prossime tappe della mia vita, professionale e non, sarebbe inutile e scorretto nascondere che il mio cuore e il mio DNA hanno e avranno sempre e solo due colori. Ho indossato per la prima volta la maglia della Juventus all’età di 7 anni e da quel momento non l’ho mai tolta, neanche per un istante. Sono cresciuto con la sua filosofia ed ho cercato prima di assorbirla e poi di esserne ambasciatore, sia sul campo che nella vita di tutti i giorni.
Si dice che alla Juventus: “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”. Dietro questa frase, all’apparenza così semplice ma così amata da noi tifosi (sì perché anche se continua a sembrarmi impossibile, oggi io sono questo), detto dal Presidente Giampiero Boniperti, si cela il significato più profondo del nostro modo di vivere.
Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta.
Quando un bambino con un sogno, un bambino fra tanti. Sai che per quella maglia dovrai essere il migliore. Sempre.
Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta.
Quando cresci, quando il tuo sogno dietro la collina è quasi realtà, ma non ti monti la testa e lavori duro all’ombra dei tuoi idoli di sempre. E dai il meglio di te ogni giorno, per quella maglia, perché quelle strisce una volta cucite addosso sono orgoglio, gioia e responsabilità.
Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta.
Quando quegli idoli diventano finalmente i tuoi compagni e devi essere più forte delle gambe che tremano all’idea di entrare in campo in fila indiana, come uno di loro, in mezzo a loro. Del Piero, Nedved, Buffon, Trezeguet, Camoranesi e tutti gli altri. Perché ognuno sa che, per onorare questa maglia, deve fare la propria parte. E questo discorso non vale solo per noi calciatori ma anche per ogni singolo tifoso. La Juventus vince perché è più forte in campo e fuori.
Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta.
Quando tieni fede al patto con te stesso di fare tutto il possibile per non deludere mai quei tifosi, i più fedeli, i più sinceri, i migliori che ci possano essere al mondo”.
E questo è quello per noi tifosi:
“Mille pensieri e mille immagini mi hanno accompagnato per tutta la notte. Non riesco a smettere di guardare questa fotografia e queste strisce su cui ho scritto la mia vita di uomo e di calciatore. Amo questa maglia al punto che, nonostante tutto, sono convinto che il bene della squadra venga prima. Sempre. In una giornata dura come questa, mi aggrappo forte a questo principio. Siete la parte più bella di questa meravigliosa storia, per questo motivo tra qualche giorno ci saluteremo in modo speciale. D’altronde l’8 non è altro che un infinito che ha alzato lo sguardo”.
E Claudio Marchisio da Torino sa benissimo che la storia tra noi tifosi e il suo essere giocatore della Juve, e soprattutto uomo, non finirà mai.