

Nonostante i quasi 34 anni, ancora mi piace fantasticare su dialoghi e situazioni immaginarie e per lo più irrealizzabili come quando ero bambino: ed è proprio tra un misto di sarcasmo e decisionismo che immagino il commiato del Presidente Agnelli nei confronti di Maurizio Sarri. Una riunione per pianificare le strategie dell’anno venturo, subito interrotta dai complimenti per lo scudetto appena vinto e dall’invito ad abbandonare l’ufficio del Presidente e di conseguenza la panchina bianconera. Mi perdoni Mister, se immagino la scena senza una stretta di mano ma sa, in tempi di covid meglio evitare…
Bando alle ciance, che il tecnico neo-Campione d’Italia sia assolutamente inadeguato al ruolo che ricopre è argomentabile tramite una serie di ragioni che passano attraverso la semplice osservazione della storia passata e presente della Juventus F.C. Se poi la storia, l’identità, il DNA stesso di una società che va avanti così dalla notte dei tempi, non interessano e sono solo contorno per dire “coi piemontesi tosti abbiamo perso 7 finali di Champions”, allora è chiaro che su quanto sto scrivendo non ci capiamo e non ci capiremo mai. Perché questa squadra aveva un DNA storico, un’anima di cui andare fieri. Io almeno lo ero, anche se per alcuni era sterco puzzolente da cambiare perché identificato dalla “vulgata” come la causa delle nostre sconfitte nelle finali (bella minchiata), salvo poi averne perse due in questa stagione contro avversarie ben più deboli. Bene, ora quel DNA è stato cancellato, distrutto, evaporato. Al suo posto il nulla cosmico, perché non c’è nulla che identifichi questa squadra, al netto delle giocate estemporanee di Cr7 e Dybala. In conseguenza di ciò, abbiamo dovuto assistere a una squadra che, nonostante fosse più forte rispetto alle avversarie, subisse e non reagisse. L’abbiamo vista prendere gol e rimonte clamorose tre volte in quindici giorni nel momento clou del campionato, una roba che una qualsiasi delle Juve vincenti degli ultimi dieci anni non ha mai fatto, nemmeno per idea. Ma mai e poi mai, senza palle, cavallette o capriole su episodi sparsi qua e là per dimostrare il contrario. E a chi dice che l’anomalia di questa stagione ha inciso, vorrei chiedere quali anomalie ci fossero quando abbiamo subito le rimonte in casa del Verona, della Lazio, allo Stadium con il Sassuolo, a Madrid in Champions, o in casa contro il Napoli (e in quest’ultimo caso fummo salvati solo da un’autorete all’ultimo secondo). E aggiungo che, senza quella anomalia, avremmo dovuto giocare 13 giornate con la CL alle porte, e la Lazio in condizioni psico-fisiche strabilianti, che poteva allenarsi sette giorni tra un turno e l’altro di campionato.
Quel DNA intriso di componenti extra tecnico-tattiche, come la personalità, l’empatia dell’allenatore, la capacità di compattare il gruppo, di sapere resistere e gestire i momenti difficili, nell’economia di un top-team fanno tutta la differenza di questo mondo. E sotto questo profilo, l’attuale allenatore della Juve vale zero, zero. Zero. E lo ripeterò fino alla morte (o “fino alla fine”, se non appaio troppo piemontese, anche se il mio accento è più simile a quello di Lotito che a quello di Agnelli). E aggiungo il “carico da undici”: se si pensa di far fare il “salto di qualità” alla Juve, mica al Foggia, facendo a meno di questi valori extra-calcistici, non vi offendete: ma non avete capito una mazza né della Juve, né del calcio, né tantomeno di come si sta al mondo.
Siamo passati da ciò che storicamente è sempre stata la Juve a un magma indefinito e senza anima, giustificato spesso da “ma questo è un anno di transizione necessario per il cambio di mentalità”. Io sinceramente non so come si possa pensare che la Juve, dopo otto scudetti vinti consecutivamente e una media esatta di due trofei all’anno, con in rosa uno dei due giocatori più forti al mondo, con la volontà di aggredire i mercati orientali e americani dal punto di vista commerciale, possa affrontare un anno di transizione verso una tanto agognata svolta filosofica che 1) non ho ancora capito in cosa debba sostanziarsi 2) non c’è stata. E il fatto che non sia arrivata, è stata certificata pure da chi, come Arrigo Sacchi, intende il calcio come il nostro attuale allenatore e da anni ne tesse le lodi senza remore. Uno di quelli che da lustri vanno in tv a blaterare di quanto la Juventus sia sparagnina e priva di quella mentalità europea che è necessaria per affermarsi a livello internazionale. Uno di quelli cui andrebbe spiegato, non so se col supporto di disegnini, slide, tabelle o altro ancora che il Chelsea, con una qualità di gioco complessiva alquanto mediocre, ha vinto lo scorso anno l’Europa League, così come la Juve, con una qualità ancora più mediocre di quel Chelsea, ha vinto il suo 38esimo titolo nazionale, col minor numero di punti in classifica negli ultimi nove anni (anche con Pepe, Matri e Vucinic si erano fatti più punti di una stagione portata avanti con Dybala, Cr7 e uno tra Bernardeschi, Douglas Costa e Higuain): così forse è la volta buona che ci si mette tutti d’accordo, a eccezion fatta ovviamente, per la contabilità degli scudetti. Uno scudetto vinto a stracci e Ronaldo, senza un’idea offensiva che fosse una, con una fase difensiva irritante: paradossalmente, abbiamo funzionato meglio con la squadra bassa e il solista di turno, buttando nella pattumiera qualsiasi idea di rivoluzione (per giunta non necessaria, ribadisco) anche perché a livello tecnico-tattico di guida e conduzione, novità affascinanti non se ne sono visti. A meno di non voler considerare tali le tremende difese a zona e i terzini stretti che hanno ci hanno fatto prendere la bellezza di 43 gol (solo quattro in meno dell’annata di Delneri), oppure i lanci lunghi verso le ali in occasione della ripresa da metacampo. Tutta roba da Foggia anni 90 appunto, non a caso citata precedentemente, alla faccia dell’innovazione, del bel gioco e della mentalità. Il tutto condito da una condizione atletica quasi mai brillante: numero di infortuni pressocché identico agli altri anni, finale di stagione in apnea come negli anni scorsi. Solo che, per esempio, la vittoria acciuffata a San Siro contro l’Inter in dieci che poteva costarci il campionato è la prova della nostra debolezza di quella mentalità sparagnina, mentre quello bravo e furbo, col gioco europeo e la mentalità offensiva, l’indomani ne ha presi tre a Firenze e ha parlato di scudetto perso in albergo lasciando intendere che un po’ glielo hanno rubato i soliti poterti forti (mancato giallo a Pjanic) e un po’ per il crollo nervoso dei suoi davanti alla vittoria della Juve a Milano.
Quel DNA intriso di componenti extra tecnico-tattiche, come la personalità, l’empatia dell’allenatore, la capacità di compattare il gruppo, di sapere resistere e gestire i momenti difficili, nell’economia di un top-team fanno tutta la differenza di questo mondo. E sotto questo profilo, l’attuale allenatore della Juve vale zero, zero. Zero. E lo ripeterò fino alla morte (o “fino alla fine”, se non appaio troppo piemontese, anche se il mio accento è più simile a quello di Lotito che a quello di Agnelli). E aggiungo il “carico da undici”: se si pensa di far fare il “salto di qualità” alla Juve, mica al Foggia, facendo a meno di questi valori extra-calcistici, non vi offendete: ma non avete capito una mazza né della Juve, né del calcio, né tantomeno di come si sta al mondo.
Siamo passati da ciò che storicamente è sempre stata la Juve a un magma indefinito e senza anima, giustificato spesso da “ma questo è un anno di transizione necessario per il cambio di mentalità”. Io sinceramente non so come si possa pensare che la Juve, dopo otto scudetti vinti consecutivamente e una media esatta di due trofei all’anno, con in rosa uno dei due giocatori più forti al mondo, con la volontà di aggredire i mercati orientali e americani dal punto di vista commerciale, possa affrontare un anno di transizione verso una tanto agognata svolta filosofica che 1) non ho ancora capito in cosa debba sostanziarsi 2) non c’è stata. E il fatto che non sia arrivata, è stata certificata pure da chi, come Arrigo Sacchi, intende il calcio come il nostro attuale allenatore e da anni ne tesse le lodi senza remore. Uno di quelli che da lustri vanno in tv a blaterare di quanto la Juventus sia sparagnina e priva di quella mentalità europea che è necessaria per affermarsi a livello internazionale. Uno di quelli cui andrebbe spiegato, non so se col supporto di disegnini, slide, tabelle o altro ancora che il Chelsea, con una qualità di gioco complessiva alquanto mediocre, ha vinto lo scorso anno l’Europa League, così come la Juve, con una qualità ancora più mediocre di quel Chelsea, ha vinto il suo 38esimo titolo nazionale, col minor numero di punti in classifica negli ultimi nove anni (anche con Pepe, Matri e Vucinic si erano fatti più punti di una stagione portata avanti con Dybala, Cr7 e uno tra Bernardeschi, Douglas Costa e Higuain): così forse è la volta buona che ci si mette tutti d’accordo, a eccezion fatta ovviamente, per la contabilità degli scudetti. Uno scudetto vinto a stracci e Ronaldo, senza un’idea offensiva che fosse una, con una fase difensiva irritante: paradossalmente, abbiamo funzionato meglio con la squadra bassa e il solista di turno, buttando nella pattumiera qualsiasi idea di rivoluzione (per giunta non necessaria, ribadisco) anche perché a livello tecnico-tattico di guida e conduzione, novità affascinanti non se ne sono visti. A meno di non voler considerare tali le tremende difese a zona e i terzini stretti che hanno ci hanno fatto prendere la bellezza di 43 gol (solo quattro in meno dell’annata di Delneri), oppure i lanci lunghi verso le ali in occasione della ripresa da metacampo. Tutta roba da Foggia anni 90 appunto, non a caso citata precedentemente, alla faccia dell’innovazione, del bel gioco e della mentalità. Il tutto condito da una condizione atletica quasi mai brillante: numero di infortuni pressocché identico agli altri anni, finale di stagione in apnea come negli anni scorsi. Solo che, per esempio, la vittoria acciuffata a San Siro contro l’Inter in dieci che poteva costarci il campionato è la prova della nostra debolezza di quella mentalità sparagnina, mentre quello bravo e furbo, col gioco europeo e la mentalità offensiva, l’indomani ne ha presi tre a Firenze e ha parlato di scudetto perso in albergo lasciando intendere che un po’ glielo hanno rubato i soliti poterti forti (mancato giallo a Pjanic) e un po’ per il crollo nervoso dei suoi davanti alla vittoria della Juve a Milano.
Cambiare idea su un allenatore che mal si sposa con quei valori è per me impossibile, anche perché non sono legati all’umore (paradisiaco) che può darmi l’aver messo uno scudetto in più. La scelta di questa figura umana e professionale rimane una delle più raffazzonate che la coppia Paratici-Nedved potessero mai fare per l’idea di Juve che io ho in testa. E forse non solo dell’idea che ho io, se ripenso alle ambizioni e alle dichiarazioni di Agnelli, all’intelligenza artificiale, all’espansione legata ai supereroi: una volta che hai rinunciato a un vincente come Allegri e posto il veto su Conte, hai 5-6 nomi spendibili. Guardiola, Zidane, Mourinho, Deschamps…al limite, ma proprio al limite, Ancelotti. Sotto non ci si poteva e non ci si doveva andare. Tuttavia, per la stagione prossima si può ancora rimediare, con un commiato magari meno cinico di quello che ho immaginato, ma con la stessa identica conseguenza finale.
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