

Tutti eravamo più o meno consapevoli del fatto che, prima o poi, questa squadra avrebbe avuto bisogno di sostanziali cambiamenti dal punto di vista tecnico. Le motivazioni sono molteplici e vanno dal doveroso svecchiamento dell’organico alla necessità di inserire forze fresche all’interno di un gruppo logoro, composto da calciatori ormai sulla corda da quattro anni, sia a livello fisico che psicologico. Se da una parte le vittorie contribuiscono ad accrescere l’autostima e la forza di singoli e collettivo, dall’altra esse comportano un notevole dispendio di energie mentali ancor prima che di sudore e fatica (e infortuni).
Ne eravamo consapevoli noi tifosi, ne erano consapevoli a maggior ragione i dirigenti della Juventus. Possiamo solo supporre che a un certo punto Marotta & C. abbiano messo il progetto relativo al cambio di rotta nello schedario alla voce “Cose da fare” e che, visti i risultati, il fascicolo non sia stato preso in esame con le giuste tempistiche. In passato abbiamo elogiato i dirigenti per la grandissima capacità dimostrata nel muoversi con anticipo rispetto alla concorrenza, per la capacità di “acquisire profili compatibili con le esigenze tecniche ed anche economiche della società”, per la capacità di programmazione delle strategie future, per la visione di insieme che hanno contribuito a rendere la Juventus 2011-2015 una corazzata a livello nazionale ed una possibile outsider in campo internazionale, subito dietro le tre-quattro grandissime d’Europa. Ad oggi è se non lecito almeno ammissibile affermare che queste qualità sono in larga parte venute meno, non solo nei tre mesi di calciomercato, ma anche e soprattutto nei mesi che sarebbero serviti a predisporre le mosse giuste e i colpi da piazzare al momento opportuno per riuscire ad ammortizzare più possibile l’inevitabile contraccolpo che la rivoluzione avrebbe (ed in effetti ha) causato.
In poche settimane è stato azzerato quel gap incolmabile in termini di personalità ancor prima che in termini tecnici: chi lo ha colmato non è stata nessuna delle avversarie, come dimostra un campionato abbastanza livellato, è stata la Juventus stessa, nel compiere scelte quanto meno cervellotiche. La squadra costruita in estate non è certamente da decimo posto (sia chiaro) ed il fatto che trascorsi oltre due mesi la confusione regni sovrana è una lacuna evidentemente riconducibile all’allenatore. Si sa che la filosofia della Juventus è sempre stata quella di comporre le squadre senza necessariamente assecondare le esigenze del tecnico, puntando ad individuare calciatori che disponessero di qualità morali, fisiche e tecniche “da Juventus”, ma questo non significa che tale strategia risulti vincente con tutti gli allenatori. Allegri ha dimostrato di essere un ottimo gestore di gruppi collaudati, sia al Milan che alla Juventus. Addirittura è riuscito a gestire le tre competizioni meglio di Antonio Conte, vincendo il quarto scudetto di fila, conquistando la decima Coppa Italia e smentendo lo stesso Conte riuscendo ad arrivare in finale di Champions, laddove proprio il salentino aveva pronosticato che non sarebbe arrivata nessuna squadra italiana per molti anni a venire.
E’ però altrettanto vero che il livornese ha palesato grossi limiti allorquando per la Ragion di Stato ha dovuto rinunciare alle proprie certezze tattiche. Come la giri la giri questa rosa non calza su nessun modulo e ciò non aiuta, poiché nel momento in cui si è presentata la necessità di sostituire qualcuno (vedi infortuni) si è dovuto giocoforza variare il modulo stesso. Qualsiasi sistema di gioco venga adottato prevede degli adattamenti più o meno forzati ed allora ecco che Allegri, nella situazione di colui che non sa che pesci pigliare, si rifugia nei numeretti che conosce meglio, ovvero 4-3-1-2. Non abbiamo trattato un trequartista. Allegri non ha chiesto un trequartista. Ma giochiamo con il trequartista. Allegri non è stato messo nelle condizioni ideali per svolgere il suo compito poichè sono stati innestati giocatori che male si coniugano con la sua idea di calcio, ma questo alibi (è bene sottolinearlo) lascia il tempo che trova vista una qualità generale tutt’altro che inadeguata.
Tuttavia vanno analizzate le gravi mancanze della società ed esse stanno nel fatto di non aver avuto una chiara idea sul “come” sostituire i ceduti avendo solamente la percezione di doverlo fare a tutti i costi. Ecco allora che abbinare le cessioni di Tevez e Pirlo a quella di Vidal (tutte e tre, a quanto pare, già preventivate da tempo) senza lavorare per l’acquisizione di almeno un “profilo” che assieme a Khedira potesse compensare il conseguente impoverimento di leadership in mezzo al campo è stata una scelta che eufemisticamente si potrebbe definire poco brillante. Tevez (molto utile a centrocampo, moltissimo) si è dunque dimostrato un colpo estemporaneo, geniale nell’immediato, non certo dal punto di vista economico e conseguentemente tecnico al momento della partenza a parametro zero (Vadalà attualmente non è in grado di fare la differenza nemmeno nella Primavera di Grosso). Addossare il peso della mediana sulle giovani spalle di Paul Pogba si è rivelato controproducente, in quanto il francesino non è quel tipo di giocatore in grado di cantare e portare la croce, prova ne siano i recenti miglioramenti nelle prestazioni dovuti al ritorno di Marchisio e dello stesso Khedira. Pogba con Marchisio e Khedira è una cosa, Pogba con Padoin e Sturaro è un’altra.
Il fatto che i sopra citati volessero andare via regge per Pirlo (ormai a fine carriera), Vidal (comunque ceduto a cifre considerevoli e desideroso alla soglia dei trent’anni di altri stimoli) e fino a un certo punto per lo stesso Tevez, non regge nel caso di Coman perché una società si dimostra grande anche nel saper trattenere i propri giovani talenti, nel trasmettere loro le giuste motivazioni, nel renderli partecipi che stanno facendo parte di qualcosa di grandioso come la Juventus. Altro calciatore molto importante e spesso sottovalutato per quanto riguarda il contributo apportato alla cementificazione del gruppo è stato Llorente, in ogni caso uomo di spessore oltre che utilissimo in campo. Da mesi Marotta sapeva di essere praticamente obbligato ad acquistare Zaza (altro che prelazione morale) e non è riuscito a piazzare per tempo il basco, che pure avrebbe avuto un discreto mercato, arrivando al punto di regalarlo al Siviglia.
Alcuni singoli, seppur di ottimo valore assoluto (può essere il caso di Alex Sandro) se inseriti in un contesto senza spina dorsale e problematico vengono messi in condizione di fare male. L’acquisto di Hernanes in tal senso è assolutamente emblematico: il brasiliano non certo autore di prestazioni esaltanti e spesso oggetto di critiche è stato fortemente ed inspiegabilmente sminuito dallo stesso Marotta, evidentemente in preda ad un lapsus comunicativo. Un Hernanes preso per completare il reparto, magari in alternativa ad un trequartista più “importante”, come specialista sui calci piazzati, da utilizzare a partita in corso, avrebbe avuto tutto un altro senso. Al contrario su questo calciatore (in parabola discendente da qualche tempo) Allegri sembra aver puntato le ultime fiches utili a riuscire nella difficile ricerca di una quadra tattica che ancora stenta a dipanarsi.
La personalità non si compra, e non è facile sostituire gente come Tevez, Pirlo e Vidal da questo punto di vista, ma proprio per questo dovevano essere ponderate in anticipo e con maggiore oculatezza le conseguenze derivanti dalle loro cessioni, considerando anche l’eventuale rischio di non partecipare alla prossima Champions League: la Juventus può permetterselo? Ammettere che questo sia un anno di transizione non deve costituire una giustificazione perché si trasformi in un anno di resa incondizionata, si passerebbe facilmente in quel momento ad Annus Horribilis: il gioco vale la candela?
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