

È la domanda che mi ronza in testa da qualche tempo, più o meno da quando è scoppiato il bubbone ‘Ndrangheta – Juve. Bubbone tutto teorico, costruito sui si dice e sui “non poteva non sapere” sulla falsariga di qualche anno fa, un casus amplificato dai media perché – inutile girarci intorno – di mezzo c’è la Juve e c’è un Agnelli, garanzia assoluta di risonanza e di seguito anche e soprattutto da parte del tifo juventino, divenuto un po’ troppo apprensivo e giustificabile solo in parte con gli eventi del 2006. Ma a partire dal bordello iniziale il mio stato d’animo è passato attraverso queste fasi:
1) AIUTO! MORIREMO TUTTI 2) Un’altra volta no dai! 3) Aspetta, fammi capire un attimo… 4) Di cosa stiamo parlando?
Devo dire che l’effetto dei punti 1) e 2) è svanito dopo poche ore; giusto il lasso di tempo necessario per riacquistare un minimo di lucidità, rivestire i panni di persona civile e, assieme al frullamento delle parti basse, è cominciata la fase delle domande, del voler informarmi, dell’indagare, del capire cosa stava succedendo. E cosa stava succedendo? Cosa è successo in definitiva? Di cosa stiamo parlando?
È successo che la Procura della Repubblica ha svolto un’inchiesta, denominata “Alto Piemonte”, al fine di individuare i meccanismi con i quali la ‘ndrangheta si è infiltrata nel tessuto economico delle province di Torino, Vercelli, Biella e Novara, riuscendo a instaurare un sostanzioso giro d’affari grazie allo sfruttamento della prostituzione, al traffico di droga, al pagamento del “pizzo” e in misura inferiore al bagarinaggio, anche allo Juventus Stadium. Al termine dell’indagine sono stati rinviati a giudizio 23 soggetti per un totale di 84 capi di imputazione, tra cui un solo ultrà bianconero, Rocco Dominello. Dopo tre anni di intercettazioni su varie utenze telefoniche, tra le quali quelle di Andrea Agnelli, a fronte di un fascicolo costituito da circa 5.000 pagine, la Procura di Torino non ha rilevato alcun elemento che potesse in qualche modo costituire ipotesi di reato a carico di nessuno tra i dipendenti della Juventus. Quindi nessuno tra i dipendenti della Juventus è stato rinviato a giudizio nell’ambito del procedimento penale, anzi il quadro che emerge è quello di una società sotto scacco da parte degli ultras, capaci di imporre tramite i vari leader scelte relative alla politica di gestione della curva (biglietti, striscioni eccetera).
E fin qui…
Il Procuratore Federale, au contraire, una volta acquisiti ed esaminati gli atti, ha ritenuto di dover deferire la Juventus (per responsabilità diretta), il Presidente Andrea Agnelli, il security manager Alessandro D’Angelo, il manager della biglietteria Stefano Merulla e l’ex direttore commerciale Francesco Calvo (oggi al Barcellona). L’aspetto grottesco è rappresentato dalle motivazioni contenute nel deferimento, soprattutto nella parte relativa ad Andrea Agnelli, il quale secondo Pecoraro “non ha impedito a tesserati, dirigenti e dipendenti della Juventus di intrattenere rapporti costanti e duraturi con i gruppi ultras, anche per il tramite e il contributo fattivo di esponenti della malavita organizzata e ha partecipato personalmente, in alcune occasioni, a incontri con esponenti della malavita organizzata”. Insomma, rispetto a quanto emerso dalle indagini della Procura della Repubblica il quadro è totalmente ribaltato, perché un Procuratore della giustizia sportiva si permette, non si sa bene a quale titolo, di accusare il Presidente bianconero di essere di fatto colluso con la ‘ndrangheta.
La faccenda arriva sul tavolo della Commissione Antimafia, la quale convoca i vari soggetti coinvolti a riferire in merito e Pecoraro, in un’audizione il cui verbale è secretato, fa riferimento a un’intercettazione in cui viene comprovato il rapporto tra Andrea Agnelli e gli esponenti della malavita. Successivamente viene sentito Chiappero, avvocato della Juventus, al quale viene chiesto il conto di quanto affermato da Pecoraro, pur senza poter accedere ai relativi atti, in quanto appunto secretati. L’intercettazione non si trova da nessuna parte, sicuramente non risulta agli atti trasmessi dalla Procura di Torino, ciononostante il presidente della commissione, Rosy Bindi, si espone e viste le risposte evasive di Chiappero – che cadeva letteralmente dalle nuvole – si dichiara preoccupata, poiché da parte della Juventus viene a suo dire “negato il fenomeno”.
Qualche giorno dopo, sull’Huffington Post, compare un’intercettazione (che sarebbe quella che “inguaia Agnelli”) in cui il numero uno della Juventus e D’Alessandro parlerebbero di Dominello e Agnelli direbbe a D’Angelo: “I fratelli sono arrestati: parliamo con Dominello che è incensurato”. I fatti gravi in questo caso sono tre:
- IL DIALOGO NON AVVIENE TRA ANDREA AGNELLI E D’ANGELO MA TRA FRANCESCO CALVO E D’ANGELO. Pecoraro ha compiuto un grossolano scambio di persona (mettiamola così) confondendo l’ex manager con il presidente, dichiarando il falso di fronte alla Commissione Antimafia.
- L’INTERCETTAZIONE RISALE AL 5 AGOSTO 2016, data successiva alla chiusura delle indagini e soprattutto all’arresto di Dominello, per questo motivo non risulta agli atti trasmessi dalla Procura di Torino alla Procura Federale e alla Commissione Antimafia.
- LA FRASE “INCRIMINATA” È STATA SCRITTA IN MANIERA ERRATA (IN BUONA FEDE?). La frase corretta è “Hanno arrestato due fratelli di Rocco. NOI ABBIAMO SEMPRE PARLATO CON LUI. Lui è incensurato”.
È evidente che dopo l’arresto di Dominello i due dirigenti siano preoccupati riguardo all’accaduto e si confrontano sulla condotta tenuta fino a quel momento. Mentre, a quanto sembrerebbe, Pecoraro avrebbe strumentalizzato questa frase in primis attribuendola ad Agnelli, in seconda istanza collocandola in un contesto temporale totalmente diverso (prima della chiusura delle indagini) e infine stravolgendone il significato. Perché si passa da “I fratelli sono arrestati: PARLIAMO (come dire da qui in avanti n.d.r.) con Dominello che è incensurato” a “ABBIAMO SEMPRE PARLATO (in passato n.d.r.) CON LUI. Lui è incensurato”.
La Juventus ha ammesso sia davanti alla giustizia sportiva, sia davanti alla Commissione Antimafia, di aver commesso irregolarità nella vendita dei tagliandi ma nega nella maniera più assoluta la collaborazione con la criminalità e rinuncia al patteggiamento proposto dal PF (si parla di una proposta di ammenda e un anno di inibizione per Andrea Agnelli). Quali colpe possono essere attribuite alla società bianconera? Intrattenere rapporti con gli ultras non mi pare che costituisca alcun tipo di reato, come hanno stabilito i pm. Parlare con i capi ultras, incensurati o meno, non costituisce reato. Sicuramente la Juventus può aver gestito con una certa leggerezza la vicenda, perché i nomi venuti fuori dall’inchiesta a me non dicono nulla, ma certo qualcosa avrebbero potuto dire al responsabile della sicurezza della Juventus, il quale, come emerge da una delle intercettazioni, cerca su Google chi fosse Rocco Dominello. Inoltre stando a quanto emerge dall’ennesima intercettazione senza alcun valore probatorio, anche questa avvenuta a indagini abbondantemente chiuse tra Agnelli e Chiappero, fu Conte a chiedere ad Agnelli di tener buona la curva per avere una spinta ulteriore dalla famosa “bolgia”.
Cosa avrebbe potuto fare la Juventus per evitare tutto ciò? Avrebbe potuto negare i biglietti in più rispetto a quelli consentiti, comunque venduti e non regalati, ai leader dei gruppi organizzati, ottenendo in cambio come minimo scioperi del tifo. Ma tutto ciò, ripetiamo non costituisce reato nella maniera più assoluta perché qui l’unico indagato è Dominello, il quale dovrà dimostrare davanti a un tribunale la propria innocenza e non è certo compito della Juventus stabilire se questi soggetti si siano resi protagonisti di attività illecite o meno. La Juventus non può sostituirsi allo Stato nella lotta alla criminalità, così come nessuna società sportiva, ma se la Commissione Antimafia arriva a prendere per buone le dichiarazioni di Pecoraro senza accertare se queste si basino su fatti acclarati c’è ben poco che la Juventus possa fare per difendersi.
A meno che…
A meno che l’audizione di Pecoraro non venga desecretata, così come chiesto da Chiappero e dalla società, che ha addirittura lanciato su Twitter l’hashtag #DesecretatePecoraro. Perché, arrivati a questo punto, la Juventus vuole sapere da quali accuse sarà costretta a difendersi, visto lo stillicidio di intercettazioni pubblicate in questi giorni per assecondare la sete di sensazionalismo, funzionale magari a qualche campagna elettorale; intercettazioni che sanno tanto di gossip (quella in cui Conte viene chiamato in causa su tutte) e nulla di probatorio. E magari, quando tutto verrà esposto alla luce del sole, qualcuno sarà costretto a chiedere scusa. In tutto ciò viene come al solito accantonato il vero nocciolo della questione, cioè l’utilizzo della responsabilità oggettiva come arma di ricatto in mano alle frange più estreme della tifoseria. Senza un intervento forte dello Stato – magari in chiave anglosassone – le società sportive non avranno mai strumenti di autotutela e anche in questo caso è stata applicata una “giustizia sperimentale” che non ha lo scopo di estirpare il fenomeno ma solo di danneggiare la Juventus in un momento fondamentale della stagione. Sì, perché ribadiamo ancora una volta quali siano i “rischi” a cui va incontro la Juve: ammenda e, forse, inibizione di alcuni dipendenti.
Il Pecoraro avrebbe voluto celebrare la sua personale Pasqua, ma a farne le spese avrebbe dovuto essere un agnello che però ha tutte le intenzioni di non finire sull’altare del sacrificio.
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