6 gennaio 1991, la Juve di Maifredi batte faticosamente il Napoli nel finale, dopo una lunga ma sterile superiorità numerica. Franco Costa (i vecchietti lo ricordano) intercetta Umberto Agnelli e gli chiede – è tutto su youtube – “a questo punto della stagione è presto per giudicare questa Juve (a gennaio!), insomma le piace?” E il Dottore, che sapeva di calcio più di quanto il fratello lo amasse, risponde, due volte, “Non la capisco!”
Ecco, non la capisco. Non capisco. Non da ieri, non da solo. Ma non capisco. “Ha dei buonissimi giocatori, è anche divertente qualche volta, ma ha delle ingenuità che non capisco proprio”, aggiunge Agnelli, parlando di trent’anni fa e di trent’anni dopo.
Il ricordo di quella stagione è di quelli da vendere al museo degli orrori, questa è sulla buona strada; ma mentre quella fu liquidata come una momentanea ubriacatura da champagne sofisticato (in senso alimentare) a questa sembra, da qualche giorno, doversi attribuire carattere pedagogico, didattico, iniziatico. Si sta, apprendiamo, “costruendo il futuro”.
Lo ha detto l’illustrissimo direttore che a questo futuro diede un robusto calcio d’inizio nel maggio di due anni fa e che oggi va teorizzando il risultato come una delle “tante cose da fare” come cantava Tenco (“Vedrai, vedrai” appunto: e vedremo, e un po’ abbiamo già visto).
Lo ha ribadito il proprietario della ditta reduce da un incontro onirico con l’illustre nonno, quello che amava il calcio come pochi ma ne capiva meno del fratello.
Lo dice ogni giorno il presidente, olimpicamente distaccato dalle volgarità del quotidiano e dedito a disegnare, in sedi più o meno solenni, scenari hi-tech e multicolor di strabilianti leghe finalmente libere, per riattrarre al calcio disamorati adolescenti gender fluid, dalle “partite non competitive”, quelle in cui la sua Juventus prende sistematicamente cenciate all’estero e da un paio d’anni anche in casa. Complici anche arbitraggi killer magari suscitati dalle leghe esistenti, inspiegabilmente restìe a farsi cancellare e svuotare i portafogli, dal visionario Andrea alla testa di un esercito di un solo uomo.
Quando la realtà è amara, quando è difficile pronunciarla, ci si rifugia nel sogno, appunto, o nel futuro; e in effetti, a un certo punto, non resta molto altro da fare.
Salvo, vedendone le basi così precarie, così fragili, così economicamente e sportivamente pericolanti, rivendicare un diritto e una considerazione:
il diritto, quello, di continuare a ripetere “non capisco”, aggiungendo che nemmeno ci si adegua, per quel che vale (poco: pace, il Pres non vuole vecchi brontoloni, insegue le transizioni digitali).
La considerazione, quella per cui una volta anche il futuro era migliore.
Forza Juve
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