

Dall’Olanda a Sacchi: la standardizzazione nel calcio moderno
Un tempo il calcio era molto semplice, gli undici giocatori in campo avevano ruoli ben precisi e per individuarli bastava il numero di maglia: 1 Portiere, 2 Terzino destro marcatore, 3 Terzino sinistro fluidificante, 4 Centromediano metodista, 5 Stopper, 6 Libero, 7 Ala destra, 8 Mezzala, 9 Centravanti, 10 Rifinitore, 11 Ala sinistra. E si giocava davvero in undici: le formazioni erano filastrocche da mandare a memoria, con rose composte mediamente da 16 giocatori, turnover pressoché inesistente, cambi ridotti al minimo e per lo più forzati da infortuni. Difesa a uomo con il libero a fungere da regista arretrato e compiti tattici ben precisi: il 5 e il 2 a marcare gli attaccanti più pericolosi (centravanti e ala sinistra rispettivamente), manovra affidata all’estro del 10 con il 4 a mettere ordine (e a coprire lo stesso fantasista), il numero 8 a tutto campo, le ali solitamente veloci e tecniche a imbeccare la punta. L’ala sinistra più seconda punta che esterno vero, in modo da favorire le discese del 3. La variante principale era il diverso atteggiamento delle squadre in campo e le modalità di interpretazione del modulo base, a seconda delle caratteristiche tecniche dei calciatori.
Poi, con l’avvento del “sacchismo”, successivo alla rivoluzione di marca olandese negli anni ’70, vi è stata l’introduzione di importanti novità tra le quali i numeretti di cui siamo diventati schiavi: 4-4-2, 4-3-3, 5-3-2 e via dicendo, cifre che sintetizzano il modulo di gioco, divenuto l’unico Dio da venerare. Da quel momento in poi, anche nelle scuole calcio, i bambini hanno lasciato da parte la tecnica e hanno cominciato a imparare “come stare in campo” sin dalla più tenera età. Basta con i palleggi, i passaggi e i tiri in porta, sotto con i reparti, le distanze, il pressing, le ripartenze e le diagonali. Un modus operandi che col tempo ha indubbiamente inaridito il calcio italiano, fino a quel punto il migliore a livello tattico seppur ricchissimo di talento.
Da allora anche noi tifosi ci siamo focalizzati sui numeri e, siccome per noi sedersi su una panchina o su un divano è indifferente, pontifichiamo su quale sia il modulo migliore come se i calciatori in campo non facciano la benché minima differenza. Come se Sacchi vincesse grazie al 4-4-2 e non grazie a Gullit e Van Basten. Come dire che il Real Madrid o il Barcellona vincono grazie al 4-3-3, non grazie a Cristiano Ronaldo o Messi. Affermare che “è meglio il 4-3-3 rispetto al 4-4-2” significa banalizzare fino al parossismo concetti molto più complessi, come se una squadra di dilettanti possa battere una nazionale solamente utilizzando un modulo più efficace; eppure per anni lo abbiamo fatto, rapportando proprio l’efficacia o il “bel gioco” al modulo.
A tal proposito, dal punto di vista juventino, ha contribuito non poco il triennio contiano: dal ventilato 4-2-4 passando per il 4-3-3 la Juventus è approdata al 3-5-2, mai più abbandonato. Tra i giudizi tagliati con l’accetta annoveriamo anche un celeberrimo “il 3-5-2 non è un modulo europeo” derivante dai grandi successi conquistati in campo nazionale non ripetuti oltre confine. E però anche dire che il 3-5-2 in realtà era un 3-3-4 è abbastanza fuorviante: il 3-5-2 con quel tipo di esterni in fase difensiva, per utilizzare un eufemismo, somigliava moltissimo a un 5-3-2 equilibrato che per diventare 3-3-4 in fase offensiva richiedeva troppi tempi di gioco per risultare efficace, soprattutto viste le caratteristiche degli esterni utilizzati.
Il calcio di Conte, abbastanza sacchiano, si basava sulla ripetizione ossessiva di schemi provati e riprovati in allenamento, su un’organizzazione maniacale a scapito dell’imprevedibilità. Tanto efficace in campionato quanto sterile in Europa: ferma restando l’inferiorità tecnica rispetto ai top club, la Juve si fermò spesso di fronte ad avversari modesti (Nordsjælland e Copenaghen su tutti), perdendo nel 2014 l’occasione di giocare una finale di Europa League in casa, da favorita assoluta nella competizione.
Allegri e il disordine organico: vantaggi e limiti
Dall’arrivo di Allegri in casa Juve sono cambiate un po’ le prospettive e si è cominciato a ragionare in un’ottica diversa, nell’ottica di un calcio di concetto, molto legato agli interpreti. Un calcio che in Europa ha fornito risultati incoraggianti rispetto alla precedente gestione tecnica, anche grazie all’ottimo lavoro del management nell’acquisire grandi campioni, importantissimi e funzionali per poter competere ad alti livelli.
Un fatto è abbastanza evidente: questa Juve possiede un retaggio consolidato, dato anche da equilibri di spogliatoio venutisi a creare negli ultimi sei anni, che Allegri provò a plasmare a propria somiglianza più nella seconda parte del suo primo anno bianconero che durante il secondo. Per far coesistere quattro big a centrocampo (Pirlo – Marchisio – Pogba – Vidal) rinunciò in alcune occasioni a un difensore – soprattutto in Champions – pur avendo due esterni bassi come Lichtsteiner ed Evra a garanzia degli equilibri e questo portò risultati impensabili, seppur in una competizione in cui è abbastanza influente l’aleatorietà.
“Datemi i giocatori forti e a metterli in campo ci penso io”
Questa frase ne riassume appieno la filosofia di allenatore. Non chiede che vengano comprati calciatori con determinate caratteristiche, basta che siano “forti” e che sappiano “giocare bene tecnicamente”, il sistema di gioco viene dopo, anzi viene superato dal concetto di “atteggiamento”. A differenza dei moduli standard, in cui la difficoltà principale consiste nel tenere la squadra corta in senso longitudinale, nei propositi di Allegri i giocatori non occupano uniformemente il campo, soprattutto in ampiezza. Il fatto che non ci sia un’idea tattica rigida è riassumibile con un esempio: una volta che il tecnico ha dovuto fare a meno di due cagnacci come Tevez e Vidal, il tipo di pressing visto durante il primo anno è stato abbandonato a favore di una pressione più discontinua e imprevedibile, una sorta di “pressing flash” con cadenza irregolare.
In questo particolare sistema si crea un “disordine organico” in cui i giocatori vanno a occupare la posizione che è loro più congeniale, anche in base allo schieramento avversario e in maniera fortemente asimmetrica. È un’idea di calcio in cui la sperimentazione è componente fondamentale poiché Allegri vuole vedere sul campo come si comportano i giocatori di fronte a specifiche situazioni per poi compiere le opportune correzioni, ma può rivelarsi un limite: la Champions League, a partire dai gironi, non perdona il minimo errore e lo stesso Marotta (nel pre partita di Zagabria) ha auspicato l’utilizzo dei giocatori migliori nelle occasioni importanti, lanciando un messaggio chiaro anche all’allenatore. Da quest’anno ogni vittoria nella massima competizione frutta ben 1,5 milioni di euro, mentre il pareggio vale “solo” 500.000 euro e dunque, dopo gli investimenti compiuti dalla società questa estate, un segno “X” viene visto come una mezza sconfitta.
Uno dei punti di forza di questa rosa, cioè la flessibilità data dal gran numero di alternative di qualità, può trasformarsi in un boomerang? Si rischia di smarrire o, peggio, di non trovare un’identità di base? Quali sono le alternative tattiche in mano ad Allegri?
Due opzioni per la Juve
Dobbiamo partire dal presupposto che i valori relativi al campionato italiano sono abbastanza definiti e la Juventus si trova sicuramente in cima alla lista delle favorite per la conquista della vittoria finale (anche se il campionato non si vince per grazia divina). Focalizziamo la nostra analisi sulle partite più importanti e sulla Champions League: la preoccupazione di gran parte dei non addetti ai lavori deriva dall’esito dei due match più delicati disputati fino a oggi – il pareggio contro il Siviglia e la sconfitta contro l’Inter – soprattutto per COME sono arrivati questi risultati. Cerchiamo dunque di ragionare nell’ambito di una flessibilità non troppo spinta, razionalizzando il più possibile le soluzioni tattiche e cercando di limitare al minimo indispensabile la diversità di atteggiamento dovuta alle differenti caratteristiche degli interpreti.
Per prima cosa bisogna tenere conto della presenza di alcuni vincoli abbastanza evidenti, tra i quali le gerarchie tecniche, la possibilità di schierare elementi in grado di dare imprevedibilità alla manovra e la posizione di Pjanic. Al netto di infortuni, dell’intercambiabilità/duttilità tra alcuni elementi e di possibili nuovi innesti nella sessione di gennaio, analizziamo i tipi di “atteggiamento” che possono essere adottati. I punti fermi, innanzitutto, i giocatori irrinunciabili su cui più o meno tutti sono d’accordo: Buffon, Bonucci, Dani Alves, Alex Sandro, Marchisio (prossimo al rientro), Khedira, Pjanic, Dybala, Higuaín. Poi quelli che, a turno o in compartecipazione, possono completare la “formazione tipo”: Barzagli, Benatia, Chiellini, Lemina, Hernanes, Pjaca, Cuadrado, Mandzukic. A seguire le vere e proprie alternative ai “titolari” come Evra, Lichtsteiner, Rugani, Asamoah, Sturaro e Neto.
1) OPZIONE PRIMARIA
In soldoni è il 3-5-2 ed è l’approccio preferito dallo spogliatoio, inutile negarlo, in cui possono coesistere tutti i senatori, metabolizzato ai tempi di Conte e adattato alle esigenze del tecnico toscano. Prevede l’utilizzo di tre giocatori dalle caratteristiche difensive tra i quali l’unico imprescindibile è Bonucci, il migliore in rosa per capacità di impostare l’azione dalla posizione di perno basso.
Dall’inizio della stagione Allegri ha tenuto quasi sempre Khedira come punto fermo nella posizione di intermedio destro di centrocampo, per il resto ha ruotato quasi tutti, sia sugli esterni, sia a centrocampo che in attacco. Ed è stato quasi sempre utilizzato questo tipo di approccio tattico, anche se nel post-Empoli il tecnico ha dichiarato che, se al posto di Barzagli avesse giocato Dani Alves, si sarebbe parlato di una difesa a quattro.
Ma qui Allegri contraddice se stesso poiché si perde il concetto cardine proprio del calcio allegriano, fatto di interpretazione dei ruoli. In campo a Empoli c’erano tre centrali, al di là delle posizioni occupate dai nostri difensori. Ci fosse stato Alves probabilmente avrebbe giocato più sulla linea di Alex Sandro, costringendo Chiellini ad adeguarsi maggiormente sul lato debole e quindi sarebbe stato utilizzato un altro tipo di impostazione tattica.

Il 3-5-2 rivisitato da Allegri
Con questo tipo di atteggiamento, almeno nelle intenzioni, la Juventus inizia a difendere a quattro (ricordiamo il dibattito su “Barzagli terzino”) ma quando la palla gravita nei dintorni dell’area, di solito, si possono facilmente individuare i tre difensori centrali più i due esterni. Va comunque precisato che la zona mista adottata da Allegri non consente una semplicistica lettura tattica della fase difensiva, fatta di continui adeguamenti e scalate. Anche parlare di “difesa a tre” o “difesa a quattro” o “difesa a cinque” perde di fatto il suo significato classico. Ha ben più senso parlare di meccanismi difensivi.
La formazione ideale in questo caso prevede, oltre alla BBC, Dani Alves e Alex Sandro sulle fasce, Marchisio regista, Pjanic e Khedira mezzali e la “Coppia HD” in attacco. In questo scorcio di stagione Allegri ha provato tre interpreti nel ruolo di regista: Lemina, Pjanic ed Hernanes, ma al netto dell’avversario, in questo momento l’unico sostituto di Marchisio è il brasiliano.
È un sistema molto efficace in fase difensiva in cui diventa comunque un 5-3-2, utile quando la squadra avversaria cerca di occupare la tua metà campo, meno quando la squadra avversaria adotta un atteggiamento più prudente (Siviglia). In campionato se si riesce a contenere la fase offensiva avversaria, con il talento offensivo a disposizione si può dormire tra due guanciali anche in una giornata “no” (Palermo), in Champions probabilmente va osato qualcosa in più, almeno in termini di intenzioni.
Una possibile variante è rappresentata dallo schierare un centrale atipico come Lichtsteiner (non in Champions) o Evra in modo da ottenere una reale rotazione che, in fase offensiva, lasci un solo giocatore (il terzo oltre Bonucci) con compiti quasi esclusivamente di copertura. Questa variante è stata utilizzata, con altri interpreti, in Champions contro il Lione.

Una possibile variante del 3-5-2 con Evra “finto centrale”
2) APPROCCIO ALLEGRIANO IN SENSO STRETTO
Nonostante la partita “sterile” che è venuta fuori, un approccio che più si confà alle idee di Allegri è quello adottato a Palermo, dopo la sostituzione di Rugani (che comunque aveva iniziato molto largo sulla destra) con l’ingresso di Cuadrado. Lo schieramento è un derivato del “4-3-dai-dai-dai” con un mediano abbastanza bloccato (qui Lemina) a comporre un triangolo di copertura fisso.
Nel caso specifico vi è una fortissima eccentricità: la compresenza di Dani Alves e Cuadrado, infatti, sposta il baricentro del gioco totalmente sulla destra, con Alex Sandro libero di sgroppare sulla sinistra e Pjanic di andare a occupare la posizione che gli è più naturale, abbastanza accentrato e avanzato.
Il bosniaco è probabilmente l’interprete ideale per questo tipo di modulo nella posizione di trequartista, un po’ meno vincolato rispetto ai rigidi compiti imposti dal ruolo di mezzala nel 3-5-2, con linee di corsa molto più semplici. Contro il Palermo doveva essere Cuadrado il giocatore deputato a creare più scompensi nella difesa avversaria, ma il colombiano è rimasto molto largo, in una posizione più “tipica” per lui, dando un punto di riferimento importante ai difensori; non è dato sapere se questo sia avvenuto a seguito di espresse consegne ricevute o per scelta personale, visto che Allegri chiede ai giocatori di trovare autonomamente la giusta posizione in campo.
Da quest’anno la principale difficoltà nell’utilizzo del 4-3-dai-dai-dai è quella di impostare la manovra partendo da dietro, specie quando gli avversari portano un pressing alto, non avendo più a disposizione l’opzione del lancio lungo per Pogba. La soluzione più utilizzata in questi casi è quella in cui si abbassa il regista, si allargano i due centrali e contemporaneamente salgono i terzini. In fase di impostazione si crea dunque una sorta di triangolo rovesciato – chiamiamola difesa a tre in fase offensiva – che consente al portiere tre linee di passaggio. È molto importante che venga schierata una coppia di centrali in cui entrambi posseggano buone proprietà tecniche, per avere tre opzioni vere in uscita e non un sistema “zoppo” che consenta all’avversario di adeguare il pressing e prevenire questa soluzione.
La paternità di questo espediente, spesso usato dal Barcellona e chiamato “Salida Lavolpiana” (salida = uscita), è stata attribuita al tecnico argentino Ricardo La Volpe. La formazione ideale teoricamente sarebbe composta da Bonucci, Benatia (più che Barzagli), Dani Alves e Alex Sandro sugli esterni, Marchisio basso, Lemina e Khedira mezzali, Dybala e Higuaín. Schematicamente è un 4-3-1-2 o 4-3-2-1, a seconda degli interpreti, che Allegri ha spesso utilizzato in carriera e che in fase difensiva diventa un 4-4-2, con le mezzali a coprire sugli esterni e il trequartista che si abbassa e si allinea al centro.

L’impostazione tattica utilizzata più spesso da Allegri in carriera
Sono diverse le varianti applicabili a questo tipo di approccio; la principale è rappresentata dallo schieramento di Pjanic in mediana al posto di Lemina, con tre giocatori “offensivi” da scegliere tra Cuadrado, Dybala, Higuaín, Mandzukic e Pjaca. A seconda degli interpreti si va da un atteggiamento vicino al 4-3-3 classico (ad esempio con Cuadrado – Pjaca – Higuaín) a un 4-3-3 asimmetrico come quello visto a Palermo, a soluzioni ultra offensive con Dybala trequartista a supporto di Mandzukic e Higuaín. Eventuali squilibri potrebbero essere ovviati utilizzando sugli esterni giocatori che garantiscano maggior copertura come Evra o Lichtsteiner.
Lo svantaggio principale di questo sistema è l’esclusione di tre difensori centrali per volta, quindi se fosse utilizzato con continuità si verificherebbe più un problema di spogliatoio che tecnico. L’indiziato illustre è facilmente individuabile in Chiellini, soprattutto in assenza di punti di riferimento “forti” nell’attacco avversario.
Conclusioni
Qual è la soluzione ideale per la Juve, considerando la rosa a disposizione? Come abbiamo visto ha più senso parlare di atteggiamento (riferendosi alla fase offensiva) e di meccanismi (in riferimento all’assetto difensivo). In questo segmento iniziale Allegri si è concentrato in maniera particolare sulla regolazione dei meccanismi in fase difensiva, riducendo di molto le occasioni e i gol concessi all’avversario a partire da inizio stagione.
Per quanto riguarda l’atteggiamento, il tecnico toscano dispone di tantissime soluzioni, tra le quali dovrà cercare di pescare quella migliore per rapporto qualità/equilibrio. Allegri dovrà cercare contemporaneamente di sciogliere diversi nodi, in primis quello riguardante l’ottimizzazione della posizione di Pjanic, risorsa di gioco di fondamentale importanza. Inoltre bisognerà appurare se questa squadra è realmente in grado di concedere l’uno contro uno in difesa, specie in Europa e non in maniera estemporanea, abbandonando quella sorta di reticenza nell’osare, in modo da poter trarre vantaggio dal grande potenziale offensivo, pur senza perdere in solidità che è principio culturale intrinseco della storia bianconera.
Certo è che mai come quest’anno Allegri ha l’arduo compito di non deludere le aspettative, di provarci sul serio, di provare a condurre questo gruppo alle vette che potenzialmente può raggiungere.
Articolo realizzato in collaborazione con Fabrizio Chessa, Alberto Fantoni e Giuseppe Simone.
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