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Don’t worry, be Allegri

Dopo tre anni e mezzo si può ormai affermare con certezza che il periodo di guida tecnica di Allegri sia stato caratterizzato da due inediti assoluti nella storia della Juventus FC: innanzitutto la ricerca della vittoria, con la stessa metodica determinazione, in tutte e tre le principali competizioni stagionali; poi gli haters juventini, i quali probabilmente già lo detestavano prima del 16 luglio 2014 e hanno imparato a odiarlo, sempre più profondamente, in questo lasso di tempo in cui ha seduto sulla nostra panchina.

La prima è un’innovazione suffragata dai risultati complessivi ma, in particolare, dalla competitività orientata a centrare anche l’obiettivo storicamente più snobbato, sia dagli addetti ai lavori che dai tifosi, che è la Coppa Italia.
Dal doppio “double” raggiunto nel 2016, già un unicum nella storia del calcio italiano, si è proseguito con la tripla doppietta dell’anno scorso e, fatti i dovuti scongiuri, potrebbe pure darsi che non sia finita qua.
In precedenza l’accoppiata tricolore-Coppa Italia ci è riuscita solo in altre due occasioni: nel ’59/60 col tandem d’attacco Charles-Sivori e Boniperti in regia e nel ’94/95, prima stagione lippiana di un ciclo leggendario; altri quattro club sono approdati a questo traguardo nel corso degli anni e il primo fu il Torino ’42/43, seguito dal Napoli ’86/87, la Lazio ’99/00 e l’Inter ’09/10.
Complessivamente quindi, nelle 70 edizioni della coppa nazionale, per nove volte un club ha abbinato sulla maglia nella stagione successiva la coccarda allo scudetto, e il fatto che un terzo di queste annate trionfali siano avvenute nelle ultime tre stagioni le rende un caso statisticamente molto rilevante.
Questa “anomalia” non può essere spiegata semplicemente con la superiorità sulla concorrenza: nei precedenti cicli vincenti durati più o meno un lustro, penso alla Juve anni ’70, al Milan primi anni’90 e all’Inter anni di cartone, non si è mai verificata una tale egemonia sui due trofei.
Qualche elemento in più lo offre la formula vigente da dieci edizioni, in quanto meno impegnativa per le big come numero di partite da disputare e con i primi turni in casa, sottolineando comunque che il circo meneghino non ne ha approfittato quanto noi, a suo tempo.
La vera discriminante però a mio parere è proprio la gestione dell’allenatore livornese, improntata a tenere un livello alto di attenzione sugli incontri della coppa”minore”: Allegri, non solo nelle dichiarazioni d’intenti ma anche nelle formazioni schierate di volta in volta, senza fare grossi stravolgimenti rispetto agli 11 titolari “da campionato” dove applica tuttavia alcune rotazioni, lancia puntualmente il segnale che non va mollato nulla e nel contempo riesce a coinvolgere l’intero gruppo verso la meta della “bella serata di sport” (cit.) del maggio romano.

L’altra novità indiscutibile, come dicevo, è il “fuoco amico”: mai successo a mia memoria che un allenatore fosse tanto disprezzato da buona parte della tifoseria nel corso della sua esperienza sulla panchina della Juve.
Per fare due esempi relativamente recenti, Ancelotti fu contestato solo da alcuni ultrà all’inizio, per poi conquistare tutti durante la prima stagione completa e riportare l’ambiente a un moderato malcontento alla fine del suo percorso juventino di due anni e mezzo, a ogni modo costellato di insuccessi; lo stesso Capello fu accolto con un po’ di malumore per le famose dichiarazioni di sei mesi prima ma in generale le sue due stagioni sono ricordate con orgoglio, e molto più per i due scudetti al fotofinish sul Milan che per il cammino disastroso in Champions League.
Riflettendo sul perché e il per come, senza dimenticare che ogni testa è un mondo e che le categorie spesso si intersecano, mi sono divertito a identificare tre grandi famiglie di odiatori:
1) Le vedove: “Quando c’era Lvi si giocava meglio e con una squadra di maniscalchi.”
Al di là dell’ironia e con tutto il bene che voglio a una bandiera con sedici anni di Juve: è vero che abbiamo assistito alla costruzione di una mentalità vincente con una squadra inizialmente inferiore all’attuale, a frequenti vittorie casalinghe con le grandi italiane conseguite in modo schiacciante e a un pressing alto organizzato (soprattutto il primo anno senza coppe) come raramente s’è visto a Torino; tuttavia i risultati sono stati proporzionali alla crescita della rosa a disposizione, tenendo bene in conto che il tecnico salentino non ha mai centrato il “double” e che ha avuto un rendimento europeo fatto di alti e bassi, in ogni caso parecchio inferiore al suo successore.
2) Gli appassionati del bel giuoco del calcio: “Posso chiedere, oltre alla vittoria, di divertirmi mentre guardo una partita!?”
No.
O meglio, a ognuno il suo; se si passa più tempo a controllare il possesso palla o la supremazia territoriale che la classifica, se si gode di più per un doppio passo o per la percentuale di dribbling riusciti che per un gol decisivo al 90′, ecco, diciamo che io mi tengo stretto il bonipertismo e lascio agli altri l’amore per “il gioco”.
Fatto salvo che una cosa non esclude l’altra, la mia personalissima visione sulle priorità è “vincere” punteggio 100 e “il come” punteggio 1, se avanza spazio.
3) I tecnici in erba: ” Chi può dire che io non ne capisca più di Allegri e potrei allenare meglio di lui?”
Quando il riferimento all’erba e ai suoi usi e consumi non è puramente casuale.
I miei preferiti, in pratica: non c’è schieramento tattico, formazione, sostituzione o relazione amorosa del mister che sfugga al loro spietato e competente giudizio, sia che si trovino allo stadio, al bar o sul web; con maniacale frequenza diffondono le loro invettive sia mai che li possa notare il vicino di seggiolino, l’avventore con lo spritz al bancone o lo sconosciuto sui social e dica loro ‘Ehi, hai ragione! Ma non è che forse allora sei tu l’erede di Rinus Michels?!’ (Olanda ’74, per dire)
Attanagliati dalla disperazione quando il “succube del 17” ostenta indifferenza verso schemi e statistiche, i nostri conoscono a memoria quelli dei nostri futuri allenatori, in fremente attesa che la società si decida finalmente a reclutarli.

Ora, il calcio è bello anche perché è molto opinabile, così come lo sono queste mie irridenti considerazioni, quel che è certo è ciò che rimane scritto, come diceva qualcuno; e quello non cambia.
Comunque vada a finire questa stagione i “soldati fantasma” giapponesi continueranno a lottare imperterriti nella loro giungla e io, nel mio piccolo e a mio modo, continuerò a soffrire a fianco a loro; sperando di trovarci in fondo a gioire insieme, fino alla fine.

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