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Dove eravamo rimasti

La capitale del Galles, grigia e insignificante come possono essere solo le più brutte città britanniche, è stata teatro dell’ultima apparizione ufficiale in bianconero di Leonardo Bonucci da Viterbo.
Prestazione ampiamente insufficiente e fine ingloriosa di un fantastico percorso durato sette anni, in cui è passato da promessa del calcio italiano a essere quasi unanimemente considerato tra i primi cinque giocatori al mondo nel suo ruolo.
Le prime voci di una rissa negli spogliatoi tra lui e Dybala circolavano tra i tifosi già un’ora e mezza dopo la premiazione, un tam tam telefonico di cui non si conosceva l’origine ma che dava una parvenza di senso a quello cui avevamo appena assistito.
Un paio di giorni dopo sui giornali apparivano le prime ricostruzioni, che divennero in seguito sempre più articolate, fino all’apoteosi del rilancio su varie testate di un racconto di una pagina Facebook specializzata in racconti ironici e di fantasia sul calcio: Mandzukic e Dani Alves che partecipano alla Royal Rumble, Allegri chiuso fuori dallo spogliatoio, Buffon che espone ai presenti un trattato di Teologia.
La mia umile opinione è che questo ritorno semplicemente spazza il campo da qualsiasi illazione: non è verosimile che la Juventus FC di oggi riprenda tra le proprie fila un calciatore che abbia commesso un atto grave, violento e in un momento tanto importante.
In ogni caso il trauma, seguito a stretto giro di posta dall’addio inaspettato, ha servito sul piatto d’argento il perfetto capro espiatorio: bullizzato da Ronaldo, manesco e pure traditore.
Una fonte indiretta molto affidabile mi aveva informato dell’addio di Bonucci già a inizio maggio, non ci credetti.
La buriana che aveva portato Leo sul trespolo portoghese, in quel 22 febbraio 2017, pareva allora essere un ricordo sbiadito; il terzo double e il riserbo sabaudo avevano in realtà steso un telo, volto a coprire un malessere che veniva da lontano.
L’orgoglio e la spavalderia sono caratteristiche note della personalità del viterbese, pure a livello dialettico predilige i toni alti alla banalità; tutti attributi che sono tuttora parte della sua forza ma che necessitano di gestione, sua e del club, e nell’ultima stagione qualcosa in questo senso si era evidentemente rotto.
Allegri fu parte in causa del casus belli e ne è stata messa in discussione da tifosi e media la conduzione e il rapporto con alcuni giocatori di personalità: durante le prime due stagioni a Milano è probabile che abbia affidato in modo eccessivo la gestione del gruppo ai senatori rossoneri e di questa esperienza ha fatto tesoro a Torino, mantenendo nel tempo uno stile di guida autorevole e improntato alla distinzione dei ruoli.
La bagarre con Bonucci in quel Juventus-Palermo ha però svelato un nervo scoperto, la sbroccata del mister a bordo campo in un ambiente ovattato come il nostro è parsa strana, soprattutto per un allenatore abile a sopire polemiche e sempre pronto a difendere e a “… fare i complimenti ai ragazzi”.
Evidentemente vi sono stati da parte del difensore diversi comportamenti sopra le righe, in una stagione in cui comunque Leo stava sopportando il peso della sesta stagione consecutiva giocata sempre a grandissimo livello e questo nonostante una situazione familiare che da mesi si era fatta terribilmente complicata.
A livello individuale le perle di quella stagione furono il gol al Napoli in casa che sbloccò il risultato, la staffilata di Siviglia che ci valse la qualificazione come primi ai gironi di Champions League e il 2 a 0 definitivo in finale di Coppa Italia; per l’annata in questione fu inserito dalla Uefa nella squadra ideale della Champions League e ricevette il FIFA FIFPro XI per il 2017, tra i premi individuali più prestigiosi del pianeta; riconoscimenti preceduti nel suo personalissimo palmarès dall’inserimento da parte dell’AIC nella squadra dell’anno di serie A per tre anni consecutivi e, nel 2016, addirittura come miglior giocatore in assoluto del torneo.
Ciò per rinfrescare la memoria a chi tra tifosi e addetti ai lavori sta snobbando il suo acquisto, sempre non siano poi gli stessi che quattordici mesi fa erano nel panico e davano credito alla possibilità che si stessero spostando gli equilibri.
Ci riprendiamo un difensore esperto, integro fisicamente, perfetto per completare un terzetto di potenziali titolari coi due colleghi di reparto più abili di lui in marcatura, probabilmente ancora oggi il miglior difensore d’Europa nell’impostazione del gioco, oltre che autore di 19 gol in sette stagioni e ottimo nel saper leggere le fasi della partita (#AllegriInsegna time).
Il resto lo ha detto lui in conferenza, palesando una grande voglia di rivalsa e di vittoria, unite alla volontà di rimettersi in gioco per recuperare il tempo perso e la sicurezza nei suoi mezzi tecnici.
Manca solo la prova del campo per riannodare il filo spezzatosi un anno fa: tutti i tifosi, anche i più scettici, vogliono rivedere la juventinità dimostrata per sette stagioni, periodo in cui è sempre stato il primo a metterci la faccia pure davanti ai microfoni, per difenderci dai soliti attacchi pretestuosi dei perdenti per vocazione.
L’attesa del ritorno a casa è finita e c’è una bella storia tutta da scrivere, a cominciare dalla sua firma su un nuovo, ritrovato, #finoallafine.

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