Nel tardo pomeriggio di ieri è stata pubblicata la sentenza emessa dalla Corte Sportiva d’Appello Nazionale, presieduta dal professor Piero SANDULLI, che ha rigettato l’impugnativa proposta dal Napoli avverso la decisione del Giudice Sportivo il quale, come noto, aveva inflitto ai campani la sconfitta per 3-0 a tavolino, oltre alla decurtazione di 1 punto in classifica, per la mancata disputa della gara contro la Juve lo scorso 4 ottobre.
La motivazione redatta dal consigliere Maurizio BORGO è durissima nei toni e giuridicamente inappuntabile nei contenuti, considerato che si afferma, senza tanti giri di parole, che i partenopei le tentavano tutte pur di non recarsi allo Stadium e ciò al fine di “…precostituirsi, per così dire, un “alibi” per non giocare quella partita…”.
In primo luogo il verdetto sgomberava il campo dalla sussistenza in questa vicenda del “factum principis”, invocato dal legale azzurro, principio giuridico che indica una causa di impossibilità oggettiva (insieme al caso fortuito e alla forza maggiore) a effettuare una prestazione derivante da ordine dell’autorità, da provvedimento autoritativo; poiché l’intervento dell’autorità esula dalla sfera di controllo del soggetto, tale elemento non può essergli imputabile, quindi l’obbligazione si estingue senza che residuino conseguenze per lui negative.
Tradotto, la tesi difensiva faceva leva sulle ordinanze delle due ASL e sul provvedimento dell’Ufficio di Gabinetto della regione che avrebbero impedito al Napoli di muoversi in direzione Torino.
La Corte tuttavia ribaltava l’approccio – rincarando la dose sulla precisa volontà di non voler giocare quell’incontro – laddove asseriva che erano stati i dirigenti partenopei a contattare le strutture sanitarie e l’ufficio regionale, qualificando come incomprensibile “…la ragione per la quale una Società di calcio professionistico, ben consapevole del contenuto dei Protocolli federali…debba chiedere lumi sulla loro applicazione alle Autorità sanitarie…”.
A tal proposito, notevole era la presa di posizione assunta dall’estensore nei confronti del personale di Gabinetto della regione Campania reo di essersi letteralmente intromesso in questa situazione pur non avendo alcuna voce in capitolo, atteso che il medesimo svolge “…un ruolo di diretta collaborazione nei confronti del Presidente della Giunta regionale ma non ha competenze e cognizioni tecniche in materia sanitaria…”.
Sul comportamento tenuto da De Laurentiis e soci il Collegio faceva un passo ulteriore, richiamando all’uopo la teoria penalistica della “actio libera in causa”, ovvero l’azione compiuta in stato di incapacità che il soggetto si è procurato preordinatamente allo scopo di commettere un reato; in questi casi l’esecuzione del delitto viene fatta risalire al momento in cui il soggetto si è preordinato lo stato di incapacità. A sostegno di questa tesi i Giudici prendono come riferimento alcune condotte poste in essere dai dirigenti del Napoli alla vigilia del match, ovvero la cancellazione del volo charter e, soprattutto, l’annullamento dei tamponi che avrebbero dovuto effettuarsi, secondo le previsioni del Protocollo, nella giornata di svolgimento della gara.
Molti ricorderanno le dichiarazioni di AGNELLI a Sky quella domenica sera, parole che svelavano un retroscena passato (volontariamente?) sotto silenzio sui media i quali, facendo leva su un non meglio precisato buonsenso, auspicavano da parte juventina il rinvio della partita.
Anche in casa Juve nel weekend venivano riscontrate due positività (membri dello staff esterno) e il gruppo squadra, in applicazione del protocollo redatto da Federcalcio-Ministero-CTS, andava in isolamento presso il JHotel, la famigerata “bolla”. A Napoli, saputo della positività di Zielinski ed Elmas, i giocatori furono lasciati liberi di rientrare presso le proprie abitazioni perché la società non aveva individuato, e comunicato all’azienda sanitaria locale, la struttura presso cui i suoi tesserati avrebbero dovuto trascorrere l’isolamento fiduciario.
Nemmeno l’argomentazione, sostenuta dalla difesa napoletana, secondo cui il protocollo non sarebbe stato più “attuale” perché sottoscritto agli inizi dell’estate scorsa e con una situazione epidemiologica meno grave coglieva nel segno. La risposta del Giudicante è lapidaria “…anche i soggetti dell’ordinamento sportivo, come tutti i consociati, non sono legittimati a “farsi le regole da soli” ma sono tenuti a rispettare quelle fissate dalle Autorità federali competenti…”, sottolineando che il comportamento tenuto dai partenopei non era stato rispettoso nemmeno di quelle squadre che, in situazioni analoghe (e in alcuni casi anche ben più critiche, esempio il Genoa proprio contro il Napoli), erano regolarmente scese in campo.
Questa sentenza “esemplare” potrebbe funzionare come deterrente verso chiunque d’ora in avanti provi a violare consapevolmente le regole scritte nel protocollo per fini opportunistici, reclamando poi un ingiustificato trattamento di favore rispetto agli altri.