Ieri pomeriggio allo Juventus/Allianz Stadium è capitata una cosa stranissima, una di quelle illuminazioni che nella tua vita di tifoso succedono, se sei fortunato, due-tre volte al massimo. E cioè vedere il raggio della grazia divina piombare all’improvviso, a rivoltare come un calzino il piattume di una partita soporifera, perfetta trasposizione in campo di un pomeriggio uggioso molto british.
Tutto all’improvviso trova un senso, anche i precedenti 54 minuti al valium, perché servivano a creare l’effetto contrasto che ti fa apprezzare e comprendere meglio quello che sta per avvenire. Perché rimanga impresso nella tua testa e si cristallizzi nei racconti che farai tra dieci anni sembrando (ed essendo) un vecchio nostalgico un po’ patetico.
L’ingresso in campo di Dybala è stato questo: non solo un elettroshock sulla partita, diventata improvvisamente interessante, sui compagni di squadra travolti da improvviso argento vivo quando prima sembravano col piombo nelle caviglie, sul pubblico sin lì giustamente sonnecchioso nella vana attesa di qualche sussulto, dopo che persino la musichetta che accoglie la segnatura di un goal della Juve veniva strozzata nella gola degli altoparlanti dello Stadium dalla deviazione furtiva di un calciatore del Chievo (vi dico solo che, per ingannare la noia, con le mie amiche nonché vicine di posto ci stavamo ingegnando nella ricerca di tormentoni cretini, non dirò mai nemmeno sotto tortura a proposito di quale giocatore).
Ve lo racconto così: se fino al 54′ ero fortemente tentato di scrivere alla Juventus per farmi rimborsare sull’abbonamento il costo della partita (e diamine! sotto una certa asticella di bruttura dovrebbe essere automatico. Ecco una riforma costituzionale che supererebbe qualsiasi referendum), a fine partita pensavo che se in settimana mi chiamano per chiedermi un supplemento-Dybala come faccio a dirgli di no? Un onore, un privilegio, una delizia per gli occhi: in questo inizio di stagione 17/18, vedere all’opera dal vivo il numero 10 della Juventus è tutto ciò. È l’idea che quella maglia indossata da Platini, Baggio e Del Piero abbia fatto un salto di due utenti finali (senza nulla togliere al valore degli ottimi Tevez e Pogba) per ritrovare un indossatore coi quattro quarti di sangue reale indispensabili per entrare nel club degli eletti dalla porta principale. E tornando indietro nel tempo, la sensazione di stare assistendo a uno spettacolo di valore superiore al costo del biglietto mi era capitato in passato solo per alcune partite di Zidane e del Del Piero pre infortunio.
Ricorderò questo Juventus-Chievo che sembrava anonimo proprio per questo improvviso bagliore di grazia divina che lo ha illuminato, perché di Dybala avevo già visto tante partite dal vivo ma mai come ieri la sensazione di privilegio era stata così travolgente, forse perché mai come in questo momento Dybala, magari complice anche il romanticismo di quel numero dietro la schiena, sembra aver superato quell’ultimo gradino che separa i grandi giocatori dai fuoriclasse assoluti.
Mi guardo intorno e vedo il Real Madrid pareggiare due partite casalinghe di fila senza Cristiano Ronaldo, il Barcellona ripartire di slancio a punteggio pieno grazie a un Messi di nuovo tirato a lucido, senza patire l’assenza di Neymar e i problemi fisici di Suarez. E allora penso che il calcio è gioco di squadra, si gioca in undici ecc, ma poi sono i fuoriclasse che nobilitano le grandi squadre, e il calcio in generale. Perché esiste un Real con CR7 (che inizia ogni partita dall’1-0) e uno senza, un Barcellona con Messi e uno senza (o con Messi a mezzo servizio) e, da ieri, c’è la Juventus senza Dybala e quella con Dybala. Le grandi squadre dipendono, piaccia o meno, dai loro fuoriclasse. Quelli veri, quelli che, nel mondo, si contano sulle dita di una mano. E non è un male o qualcosa da cui affrancarsi: è il bello del calcio.
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