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Essere affamati, essere folli!

Ve lo ricordate il 31 ottobre? Ritornate con la memoria a quel giorno: Derby della Mole. Il cammino in Serie A era stato a dir poco altalenante. La sconfitta di Sassuolo era ferita aperta. “La Juve dice addio ai sogni scudetto” esultavano già. Ammettiamolo, accusavamo tutti il colpo. C’era chi aveva colto la ghiotta occasione per poter cominciare l’indegno tiro al bersaglio contro società, allenatore e squadra; e c’era chi ci credeva, perché le statistiche non avevano considerato la variabile “Juventus“. Variabile che si palesa, come da tradizione, al 94′: gol di Cuadrado. Da quel momento, da quel derby, da quel gol di Cuadrado, la Juventus ha raggiunto il secondo posto in classifica, inanellando solo successi: contiamo all’attivo 11 vittorie in Campionato e 3 in Coppa Italia, per un totale di 14 vittorie consecutive (e chissà, magari aggiorneremo il dato). Così il Derby rappresenta la svolta! Non tecnico-tattica, ma emotiva. Il gol allo scadere esprimeva esattamente quello che le statistiche non potevano rilevare, il “Fino alla Fine“.

C’è chi sostiene che la scintilla sia scoccata dopo Sassuolo, quando i leader carismatici dello spogliatoio bianconero hanno spronato tutti, soprattutto i giovani, ad onorare la maglia indossata. Che i nuovi innesti dovessero abituarsi alle pressioni costanti, alla necessità della vittoria, è dato evidente. Ma Lichtsteiner in una recente dichiarazione ha detto, a parer mio, una sacrosanta verità: “anche i vecchi hanno cambiato atteggiamento, c’era sfiducia”. Vincere aiuta a vincere, ma dopo quattro anni di successi e una finale di Champions League disputata a testa alta, ad inizio stagione era alto il rischio assuefazione. Quasi fosse scontato che, essendo ostico ripetersi, non valesse nemmeno la pena provarci, meglio concentrarsi sulla CL, l’obiettivo sfiorato e non ottenuto. Gli alibi, di fatto, erano molti: riconfermarsi Campioni d’Italia per il quinto anno di fila è impresa riuscita a pochi; il mercato estivo ha portato l’addio di giocatori determinanti; questi ultimi sono stati sostituiti da giovani di buone speranze ma di poche certezze. Ecco delineato il perfetto anno di transizione. Ma quando sei abituato a vincere, a dominare la classifica, guardarla dal basso del tuo quindicesimo posto tocca le giuste corde. Ed eccola tornare, più forte, quasi incontentabile: la Motivazione.

Etimologicamente parlando il termine Motivazione richiama il concetto di movimento (motus): la motivazione è la benzina che innesca una reazione a catena. La psicologia la definisce come l’energia che alimenta le azioni individuali, le muove, le orienta, verso finalità ed obiettivi specifici. Essere motivati diviene quindi elemento essenziale perché si raggiungano i traguardi prefissati. Nello sport il ruolo della componente psicologica è fondamentale. Lo sportivo non è solo un fisico prestante, è una mente allenata a tollerare lo stress, a mantenere costante la concentrazione. Allegri, nell’ideazione della sua applicazione per allenatori (Mr. Allegri Tactics) ha dedicato un’intera sezione alla psicologia dello sport.

L’inizio di stagione difficile è il segno tangibile di quanto non si debba trascurare nessun aspetto, tanto meno quello emotivo e razionale che contribuisce al conseguimento di risultati soddisfacenti.  Certo, si può pensare sia semplice nello sport professionistico motivarsi. Di fatto i calciatori sono delle celebrità, pagati profumatamente, per molti versi dei privilegiati. Ma questo non basta a spiegare quanto lavoro ci sia dietro ogni successo. Basti pensare che molti di loro si rivolgono a Mental Coach o Motivatori per essere supportati. Senza scendere nei dettagli di un dibattito troppo ampio su quanto sia importante imparare a motivare sé stessi piuttosto che essere semplicemente spronati dall’esterno, è chiaro quanto non si possa prescindere dalla componente psicologica ed emotiva. Per chiarire al meglio quanto sia complesso il processo motivazionale possiamo partire da un modello teorico molto famoso e che ritengo il più adeguato: il modello valenza-aspettative-strumentalità di Vroom. Secondo questo psicologo la Motivazione è prodotta da tre fattori, e la sola assenza di uno dei tre causa una totale assenza di motivazione:

  • Strumentalità: è la probabilità che, raggiunto un obiettivo, si ottenga adeguata ricompensa.
  • Valenza: è composta da motivazioni estrinseche (quanto è ritenuta adeguata la ricompensa allo sforzo) ed intrinseche (grado di gradimento di ciò che viene fatto).
  • Aspettative: riguardano il grado di fiducia che la persona ha nel raggiungimento di un obiettivo.

Cercando di ricollegare il processo motivazionale appena spiegato alla situazione iniziale della Juventus, penso che tutti sarete concordi nel constatare che la Strumentalità e la Valenza non siano di certo problemi calzanti. Concentriamoci dunque sulle Aspettative, e nel farlo mi sembra evidente il collegamento con quanto detto in precedenza: si delineava il perfetto anno di transizione. Tutti gli elementi sembravano andare in questa direzione, l’impresa sembrava troppo elevata perché fosse possibile. Quest’anno si lottava contro gli sfavori del pronostico, contro il senso di impossibilità di ripetere il cammino vincente conclusosi giusto qualche mese prima. Temere di non farcela aveva portato ad abbandonare le armi prima ancora di iniziare a combattere. Cosa è successo dopo il gol di Cuadrado? Difficile trovare a tutto una soluzione razionale. Penso che molto sia riassumibile nelle famose parole dell’avvocato Agnelli: “Nei momenti più difficili di una partita, c’è sempre nel mio subconscio qualcosa a cui mi appello, a quella capacità di non arrendersi mai. E questo è il motivo per cui la Juventus vince anche quando non te l’aspetti”. Questa squadra era forte, doveva solo comprendere di esserlo. Capire che col lavoro, con la fiducia, con l’umiltà, non avrebbe disatteso le proprie ed altrui Aspettative. La squadra si è compattata, ha riscoperto l’obiettivo ultimo: essere Juventus. Che vuol dire vincere, ma vuol dire anche non arrendersi mai, crederci a qualunque costo, mettere il gruppo al di sopra del singolo.

Ad oggi, il cammino ha portato soddisfazione, entusiasmo, senza perdere di vista l’umiltà. Si è compreso come si possa far leva sul gruppo per rendere nulla la paura del fallimento. E, soprattutto, la Juventus ha imparato dal proprio allenatore la lezione più importante: bastava crederci, essere un po’ incoscienti, mantenere fiducia e fame. Ma forse, talvolta, la fame bisogna perderla, sentirne l’esigenza, e poi riacciuffarla con la rabbia di chi teme di veder sfuggire ciò che gli appartiene, che è scritto nel DNA: la vittoria.

E allora, che la Juventus sia affamata, che la Juventus sia folle.

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