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Francesco Morini

Ognuno di noi (calcisticamente parlando) ha i propri eroi. La squadra per cui tifo dal 20 giugno 1979, la Juventus, ha pensato di omaggiare i 50 migliori giocatori della propria storia apponendo delle stelle nominative nello stadio di proprietà, l’Allianz Stadium.

Non entrerò nel merito del criterio di scelta delle 50 stelle, perché sull’argomento si sono espressi oramai praticamente tutti, però (c’è sempre un però a questo punto) dirò comunque la mia.

Leggendo l’elenco, infatti, ho notato che alcuni campioni del passato (mi riferisco, sempre e comunque, a giocatori che ho visto personalmente indossare la maglia bianconera) sono stati, forse incolpevolmente, dimenticati.

Incolpevolmente, secondo me, perché siamo la Juve, non una squadretta qualunque. Abbiamo sei giocatori che durante la permanenza a Torino hanno vinto il Pallone d’Oro, per un totale di 8 trofei (terzi dopo Real e Barcellona, non male); undici calciatori bianconeri hanno superato i cento goal (o goals?) in serie A e 75 hanno superato le duecento presenze, sempre nella massima serie.

Mi avessero incaricato, nel lontano 2010, di individuare i criteri di scelta, penso che (calcisticamente parlando) non ci avrei dormito la notte.
Chi sicuramente non sarebbe mancato, nel mio elenco dei 50, è Francesco Morini.

Solita, doverosa premessa per i giovani lettori.

Quando noi 50-60enni leggiamo le analisi tecniche delle partite di pallone, soprattutto per quanto riguarda i difensori centrali, a volte ci scappa un sorrisino. Il ruolo del difensore è forse quello che ha avuto l’evoluzione maggiore, e questo si capisce fin dai campetti di periferia.

Quando ero ragazzino, ho giocato per un paio di anni a calcio, ma, nonostante la passione, ero veramente scarso. Però avevo il senso della posizione e del tempo di gioco, ed ero più alto della media dei ragazzi della mia età; il mio allenatore, che aveva giocato nell’Internapoli con Chinaglia, Massa e Wilson, mi mise a fare lo stopper.

Lo stopper era il miglior amico del portiere, perché raramente si allontanava dalla propria area, se non per inseguire il centravanti avversario. Infatti, la prima cosa che facevo, in quanto stopper, appena fischiato il calcio d’inizio, era cercare il numero 9 “nemico” e dargli un avvertimento (in genere un “leggero” contatto di spalla) per fargli capire che da quel momento in poi, per novanta minuti, avrebbe dovuto vedersela con me.

Era un altro calcio, sicuramente.

Francesco “Morgan” Morini, nato in una frazione del comune di San Giuliano Terme, in provincia di Pisa, il 12 agosto 1944, era uno stopper.

Mosse i primi passi sul campetto dell’Oratorio di San Jacopo a San Giuliano, e iniziò a giocare, grazie a don Carlo Valenti, parroco di Metato, nella squadra dell’Aquila Bianca.

Iniziò da ala sinistra, perché unico nella squadra a saper usare entrambi i piedi. Un giorno si ruppe il braccio e decise di mettersi a giocare in difesa. Lo notò un tesserato del Vecchiano che lo convinse a diventare lo stopper titolare.

Nel 1959 fu notato da un osservatore della Sampdoria e iniziò la trafila nelle giovanili della squadra genovese.

Figura 1- Francesco Morini alla Sampdoria

Nel 1963 vinse il torneo di Viareggio: la Samp primavera era una così bella squadra che l’allora presidente dell’Inter, Angelo Moratti, offrì un miliardo di lire per comprarla in blocco. Per fortuna di Morini (e della Juve) l’allenatore della Samp, Ernst Ocwirk, convinse il proprio presidente, l’armatore Glauco Lolli Ghetti a mantenere i giocatori: tra questi c’era anche Mario Frustalupi, futuro campione d’Italia con Inter e Lazio.

Lo stesso anno, l’esordio in serie A, sempre con i blucerchiati, in punta di piedi: il primo anno 16 partite, per poi diventare titolare inamovibile dall’anno seguente.

Dopo sei anni alla Samp, con 165 presenze, di cui 31 nel vittorioso campionato di serie B 1966-67, venne individuato dalla dirigenza bianconera nel 1969 per rinnovare il parco difensori. La coppia centrale Bercellino-
Castano, diventò col tempo Morini-Salvadore, per poi divenire Morini-Scirea, che tante vittorie e trionfi hanno portato alla squadra bianconera.

Morini, soprannominato “Morgan” perché, raccontava un cronista dell’epoca
“da pirata era il suo modo di depredare l’avversario del pallone roteandogli addosso i bulloni, di arrangiarsi coi gomiti, e pazienza se non fluidificava molto”
era un professionista vero. Raccolse 372 presenze con la maglia della Juve in undici campionati, conditi da 5 scudetti, una coppa Italia e una coppa Uefa. Eppure, nonostante le tante presenze, non segnò mai.

Ma per lui non era un cruccio, il fatto di non aver mai segnato. Era molto più importante impedire la segnatura al centravanti avversario.

Beh, qualche autogol lo ha fatto, anche di pregevole fattura, come quella volta che, volendo spazzare, beccò il sette in rovesciata, per la disperazione di Zoff.

L’inizio non fu esaltante, la stampa lo attaccava, anche Luis Carniglia, allenatore della Juve del tempo, si lasciò andare a dichiarazioni non esaltanti sul biondo difensore pisano.

Ma “Morgan” era parte del progetto di Boniperti, che rastrellava giovani talenti in giro per l’Italia, li mandava a farsi le ossa in provincia e riportava i migliori a Torino.

Tassello dopo tassello il Presidente costruì una squadra mostruosa, che raggiunse l’apice nel 1977 e ancora oggi gli juventini ricordano a memoria: Zoff, Cuccureddu, Gentile, Furino, Morini, Scirea, Causio, Tardelli, Boninsegna,
Benetti, Bettega, con Trapattoni allenatore.

Quella era la squadra dei record, la squadra dei 51 punti, con il Toro a un solo punto, la squadra che forniva, quando andava male, 6 undicesimi alla nazionale.

Figura 2 – Francesco Morini con Johan Cruijff

Morini onorò sempre la maglia bianconera, duro in campo e corretto fuori, mai una parola fuori posto, in perfetto stile Juve; tranne quella volta che, a caldo, dopo l’ennesimo duello col Boninsegna interista (famosi anche gli
scontri fisici con Gigi Riva e Giorgio Chinaglia), a cui aveva rifilato una botta alla spalla, ribadì al giornalista che non solo non era pentito, ma che la spalla gliela avrebbe anche staccata: rientrato in sede, multa di 500.000 lire comminata direttamente da Boniperti.

Un rapporto speciale, quello con Boniperti, con la caccia come passione comune.

Quando a Torino sbarcò un promettente stopper, Sergio Brio, di ritorno dal prestito alla Pistoiese, Morgan subì la stessa sorte toccata a Bercellino 10 anni prima. La stagione 1979-80 fu l’ultima, facendo da chioccia al roccioso
giovane difensore, per poi andare in Canada, ai Toronto Blizzards.

Mentre era in America, lo chiamò l’Avvocato Agnelli, per offrirgli la poltrona di direttore sportivo della Juve. Pur rinunciando a tanti soldi, Morini accettò, fece il corso a Coverciano e rimase alla Juve sino all’arrivo di Moggi.

Figura 3 – Francesco Morini dirigente

Erano anni complicati nel mondo del calcio: lo scandalo scommesse dell’80 travolse tutti, arrivò la Legge 91, quella che regolava i rapporti tra società e sportivi professionisti e che riconosceva lo status di lavoratore
dipendente ai calciatori, svolta epocale; Francesco Morini fece esattamente quello che ha sempre fatto: si rimboccò le maniche e iniziò a lavorare per il bene della sua Juve.

Del periodo da calciatore si è sempre dichiarato più che soddisfatto eccetto per due partite, manco a dirlo, le due finali perse: la sfida con l’Ajax per la Coppa dei Campioni e la Coppa Intercontinentale dello stesso anno,
disputata contro l’Independiente proprio al posto dei lancieri rinunciatari; entrambe le partite furono perse per 1-0 e soprattutto la seconda lasciò l’amaro in bocca: una partita dominata, persa per l’unico tiro in porta degli argentini a dieci minuti dalla fine.

Altro, unico rammarico di Morini (e dei suoi tifosi di allora) è stata la nazionale italiana, per cui ha giocato sì 11 volte, ma non in quella spedizione argentina del ’78, ultima sua occasione: il 6 giugno del ’78, a Mar del Plata, nella vittoriosa sfida con l’Ungheria, erano ben nove gli juventini in campo: mancavano solo Furino e Morini.

A me Morini piaceva non tanto per la fisicità degli scontri di gioco (e vi assicuro che ce n’erano!), ma perché la sua arma preferita era l’anticipo.

Lo aiutavano il fisico asciutto e le lunghe leve, oltre alla concentrazione assoluta nell’arco dei novanta minuti e il fatto di giocare di fianco a gente come Salvadore e Scirea, con Zoff alle proprie spalle e Cuccureddu, Gentile e Cabrini a dare una mano.

Anche gli esteti hanno dovuto ammettere l’esistenza di uno stile Morini,

“Vi sono due modi di essere buoni giocatori – ha detto Morgan in un’intervista – avere innato il senso del gioco e della posizione oppure imparare guardando per far tesoro delle prestazioni altrui”.

“Il calcio è sempre lo stesso. Ai ragazzi, quando mi capita di parlarne, dico che quel che conta sono le righe bianche che delimitano il prato, con le porte e le bandierine. Gli altri discorsi li porta via il vento. I valori per emergere sono la serietà, l’allenamento, il sacrificio. Se vuoi fare carriera devi pensare a questi punti fermi, il business viene dopo, è importante ma è il contorno”, disse quando era direttore sportivo.

Ecco perché, a chi, come me, ricorda Francesco Morini calciatore e dirigente, quando sente parlare di diagonali, sovrapposizioni, plusvalenze e fatturato, a volte scappa un sorrisino.

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