

Nelle poche (si spera) righe che seguono vorrei darvi una chiave di lettura per capire (e magari valutare) perché è complicato, per la Juve e per le squadre di vertice in genere, più che per altre squadre, lanciare un giovane.
Andiamo con ordine.
I criteri per valutare un calciatore e la sua evoluzione nel tempo fanno riferimento a 4 aree sostanziali: tecnica (come maneggia il pallone); fisico (forza, resistenza, esplosività, velocità etc); tattica individuale e collettiva (scelte di gioco e come mi muovo rispetto ai compagni); testa (personalità, resilienza, etc).
Queste 4 aree cambiano nel tempo e si influenzano vicendevolmente. Ad esempio, con l’avanzare dell’età il giocatore acquisisce più sicurezza (testa), che lo porta a giocare con più personalità, a prendere più iniziative (tattica individuale e collettiva); il fisico evolve (aumenta la forza, la massa muscolare e la resistenza) e questo influenza la tecnica (maggior lucidità) e la tattica; e così via.
L’andamento nel tempo (età) di queste caratteristiche segue la tipica curva a campana asimmetrica: crescono, hanno un plateau, decrescono. La velocità di crescita di queste curve dipende da persona a persona; idem la velocità di decrescita. Inoltre la curva di ogni caratteristica segue un andamento diverso all’interno della stessa persona. Il plateau, una volta raggiunto, può assomigliare a un picco (il giocatore fa una stagione e poi scompare) o mantenersi per anni (il campione longevo).
Capite bene che ci vuole l’incastro di molteplici fattori per poter definire un ragazzo “pronto” per giocare in mezzo a gente che ha raggiunto l’apice di (molte) di queste caratteristiche.
Uno degli aspetti più evidenti dei ragazzi di 17-18 anni è che fisicamente non sono strutturati come giocatori completamente formati. Forza, esplosività, massa muscolare tendono a crescere per lungo tempo; velocità, resistenza e capacità di recupero, oltre una certa età cominciano a decrescere, più o meno velocemente anche in considerazione della cura che un atleta dedica al proprio fisico. L’aspetto fisico conta molto e fa grande differenza giocare contro i pari età o contro gente più strutturata.
L’altro aspetto preminente è la testa. Uno dei salti più difficili da fare a livello mentale è il passaggio da “essere il più bravo del tuo gruppo” a essere “uno dei tanti del gruppo, verosimilmente neanche il più bravo”. L’errore del più bravo è molto più tollerato dell’errore del più scarso e questo genera, in ragazzi non pronti mentalmente, un circolo vizioso, che li porta a rendere meno del potenziale.
Non solo. Per quanto ci possa essere pressione a livello di risultato, giocare in Under 23 o nella prima squadra sono due cose completamente diverse. Arrivare quarti o ottavi in Serie C non è la stessa cosa di arrivare quarti o ottavi in Serie A: proprio no.
In prima squadra la pressione è enormemente maggiore e lo stress porta a sbagliare molte più cose, o a essere più timidi nelle giocate. L’elenco di ragazzi che si sono persi quando hanno fatto “il grande salto” è infinito.
Tanto la tecnica quanto la tattica (ma soprattutto la tattica) migliorano con il passare degli anni, grazie alla ripetizione continua dei gesti. Di nuovo, per quanto si possa esercitare un aspetto tattico in allenamento, giocare “con” e “contro” i marpioni della Serie A, “con e contro i migliori”, è estremamente più formativo di qualsiasi campionato di Serie C, che a sua volta è più formativo dei campionati giovanili, dove si incontrano solo giocatori di pari età.
L’elenco di calciatori che si sono persi quando hanno fatto il salto è lunghissimo e questi tapini vengono dimenticati in fretta; tanto in fretta che ho avuto bisogno dell’aiuto degli amici per ricordarne qualcuno: tra gli “eredi di Del Piero” ricordiamo Chiumiento, Guzmàn, Pasquato, Palladino, Giovinco e il mitico Vadalà, arrivato come “quello buono” nello scambio Tevez-Boca, poi Paolucci, il “nuovo Ronaldo” Lanzafame, il “nuovo Vieri” Ray Volpato, il “nuovo Toto Schillaci” Corrado Grabbi… insomma, di nuovi “nome-fuoriclasse-del-passato-a-piacere” ne abbiamo visti passare a iosa. Alcuni sono anche riusciti a ritagliarsi una carriera di buon livello tra i professionisti, ma alla Juve nessuno li rimpiange.
Ovviamente ci sono anche esempi di successo.
Pogba arriva alla Juve nell’estate del 2012, all’età di 19 anni. Alle spalle ha 3 presenze di Premier (68 minuti giocati complessivamente), 1 presenza in EL (27′), 3 presenze (130′) in EFL Cup, 16 presenze, 3 gol e 6 assist (1.334′ giocati) in Reserve League: in pratica, il classico curriculum del ragazzino che si affaccia in prima squadra per la prima volta.
Tecnica sopraffina, fisico già formato, testa di uno che non ha paura di niente, forse solo un po’ acerbo tatticamente, sta di fatto che, nonostante la sua giovane età, nonostante la squadra e il gruppo nuovo, totalizza 27 gare di Serie A (1.735′), 8 di ChL (337′) e 2 in Coppa Italia (180′). A 19 anni.
L’ingresso in squadra, contrariamente a quello che possono far pensare questi numeri, è stato molto graduale. Neanche convocato per la Supercoppa; panchina contro Parma, Udinese, Genoa; neanche convocato per la prima di Champions contro il Chelsea; finalmente 90′ in Juve-Chievo; poi 22′ con la Fiorentina, 6′ con la Roma, 5′ con lo Shakhtar, panchina contro Siena, 15′ col Napoli, ancora panchina col Nordsjaelland, finalmente 90′ con Catania e Bologna, di nuovo solo panchina contro l’Inter.
Insomma, ci siamo capiti. Prima di diventare uno dei più forti centrocampisti d’Europa ha fatto la classica trafila di un giovane: gare poco importanti, spezzoni in partite già decise, alcune presenze in cui non sporchi neanche la maglietta e tanta panchina.
E stiamo parlando di Paul Pogba.
Io non seguo tanto l’Under 23 ma non mi pare che tra i ragazzi del vivaio Juventus ci sia un Paul Pogba in fieri.
Dusan Vlahovic. Giocatore sicuramente pronto fisicamente, già molto dotato tecnicamente, con la testa giusta. Acerbo tatticamente ma è più che normale: ha solo 22 anni e la tattica è la “skill” su cui più incide l’esperienza.
Nella sua prima stagione in Serie A, alla Fiorentina, mette insieme 152′ giocati, distribuiti in 10 presenze. 6′ contro l’Inter, 4′ contro il Cagliari, 3′ contro il Frosinone, 55′ contro il Sassuolo, e via di seguito. A parte i 55′ col Sassuolo, parliamo di 10-11 minuti medi a presenza.
La stagione seguente comincia con 90′ contro il Napoli; poi 18′ contro il Genoa, panchina, 13′ contro l’Atalanta, 1′ (!) contro la Samp, panchina, panchina, 22′ contro il Brescia, panchina, 15′ contro il Sassuolo e via di seguito. Il finale di stagione non è molto diverso dagli inizi: 2 giornate di squalifica, panchina, spezzoni di partita. Gioca tanto in Coppa Italia, contro Cittadella, Atalanta e la sconfitta contro l’Inter. Insomma, tutto nella norma.
Matthijs de Ligt. Come i due qui sopra, il ragazzone olandese è una bestia fisicamente, testa da adulto, gioca perfettamente con entrambi i piedi e, di nuovo, ha la tattica come area principale di miglioramento. Il suo debutto avviene a 17 anni. Dopo ben 13 mancate convocazioni, gioca addirittura 7 minuti contro l’Heerenveen. Altra mancata convocazione, panchina, ben 6′ contro il PSV Eindhoven, panchina, 16′ contro l’Utrecht, panchina, altre 3 mancate convocazioni (2 per infortunio), finalmente 45′ minuti contro l’Heracles Almelo. E così è arrivato marzo. Chiuderà la stagione con 563′ in 11 presenze.
Gioca con più continuità in EL, dove totalizza 794′ in 9 presenze.
Insomma, non voglio farvela tanto lunga; allenatori diversi, campionati diversi, squadre diverse ma la trafila è sempre la stessa: inserimento graduale in squadra, in partite più facili o in situazioni in cui l’esigenza di fare risultato è meno pressante. E sto parlando di 3 fenomeni.
Quante partite con queste caratteristiche ha giocato la Juve quest’anno e quanti ragazzi nell’Under 23 mostrano le potenzialità di questi 3? Rispondetemi(vi) voi.
Quest’anno si sono affacciati in prima squadra 3 giovani dell’Under 23: Matías Soulé (18 anni appena compiuti), Marley Aké (21 anni compiuti a gennaio) e Koni De Winter (19 anni).
Soulé ha fatto una stagione travagliata. Spesso non convocato neanche in Under 23, 2 gol e 1 assist in 1.564′ giocati, fisicamente gracilino, non sembra per nulla pronto per il salto in prima squadra. Ha appena compiuto 18 anni: se sarà, si vedrà.
Akè da gennaio è aggregato stabilmente alla prima squadra e va regolarmente in panchina. Era in panchina anche nella finale di Supercoppa. Debutto stagionale in campionato con 4′ contro l’Atalanta, 16′ negli ottavi di Coppa Italia contro la Samp, 45′ nella Semifinale di andata, sempre in Coppa Italia, contro la Fiorentina: partita nella quale, per tanti motivi, ha offerto una prestazione timida a livello di personalità e assolutamente insufficiente a livello tattico.
De Winter era aggregato alla prima squadra fin da novembre. Una serie di vicissitudini fisiche l’hanno ricacciato in Under 23, dove ha da poco ricominciato a giocare con regolarità. Le sue presenze vedono 10′ nella sconfitta contro il Chelsea e ben 71′ nella “inutile” partita contro il Malmö; gara durante la quale ha offerto una prestazione ordinata, senza grandi iniziative ma senza neanche particolari errori. Dei 3 mi sembrava il più pronto ma gli infortuni ne hanno fermato (temporaneamente, si spera) il processo di inserimento in squadra.
Dimentico qualche fenomeno a cui l’ostracismo di Allegri ha finora impedito di esplodere in Serie A? Non mi pare.
Un cenno a parte merita Nicolò Fagioli. “Noi abbiamo un ragazzo, che è un 2001, e adesso ve lo dico: vederlo giocare a calcio è un piacere. Si chiama Nicolò Fagioli, è un piacere perché conosce il gioco. Ha i tempi di gioco giusti, come smarcarsi, quando e come passare la palla. È bello vederlo giocare“. Settembre 2018, parole e musica di Massimiliano Allegri.
Fagioli è stato aggregato per 3 mesi alla prima squadra (da gennaio 2021 ad aprile 2021), allenatore Andrea Pirlo; ha collezionato 87′ minuti a gennaio, in Coppa Italia, nel 4-0 contro la Spal, tanta panchina in campionato e 20′ nel 3-0 contro il Crotone a febbraio: poi più nulla. Da aprile in poi una lunga sfilza di “non convocato”. Non ne conosco i motivi.
Quest’anno è in prestito alla Cremonese, in Serie B. 28 presenze (22 da titolare), 1.876′ giocati, 3 gol, 6 assist e una serie di prestazioni che, a quanto si legge, sono molto convincenti. Il ragazzo viene dal vivaio, quindi è CTP e non occupa posti in lista; ha il gradimento di Allegri da tempi non sospetti: a 21 anni e dopo un minimo di giusta gavetta sembra arrivato per lui il momento di fare il salto in prima squadra. Dove, vi avviso, collezionerà tanta panchina e qualche spezzone di gara, durante i quali dovrà dimostrare di meritare una maglia da titolare.
Come fece prima di lui un certo Alex Del Piero.
Un breve ripasso degli esordi di Alex aiuterà ad abbassare un po’ le aspettative sulla prossima, teorica, futuribile, prima stagione di Fagioli.
Dopo 2 stagioni in B, Alex arriva alla Juve e questo è il suo score:
-2 gare di Coppa Italia: 37′ all’andata e non convocato al ritorno.
-8 gare di Coppa Uefa: 3 non convocato, 3 panchina, 2′ (!) contro il Lokomotiv Mosca, 27′ nella sconfitta contro il Cagliari.
-34 gare di campionato: 15 gare neanche convocato, 8 panchine, 380′ complessivi in 11 gare giocate. Fino al 6 marzo, in cui gioca 90′ minuti contro il Milan, la sua partita più lunga è durata ben 18 minuti, nel 2-0 casalingo contro il Piacenza. Nelle ultime 5 gare di campionato raccoglie 1 panchina e 4 non convocazioni.
E stiamo parlando di Alessandro Del Piero. Anche lui, giovane di belle speranze, si è sorbito la trafila che fanno tutti i giovani che si affacciano alla prima squadra.
Non ho le competenze per dire quale sia il modo giusto o se questo sia il modo migliore; ma se ovunque, chiunque segue questo iter, mi vien da pensare che sia l’iter corretto. Almeno fino a prova contraria.
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