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I vivi e i morti

“Saremo amati dopo la morte/ci è toccata questa sorte/il destino un poco infame/ci regala queste pene” (Roberto “Freak” Antoni”)

In morte di Gianluca Vialli, tutto un peana, meritato, all’uomo e al calciatore straordinari. C’è un però – c’è quasi sempre un però – ed è quell’imbarazzante quadriennio, quel tempo troppo lungo per essere una parentesi, e troppo pieno di cose (uno scudetto, una coppa Italia, una supercoppa italiana, una coppa Uefa, una Champions! Una vera, di cui i “da juventino” non si vergognano!). Come può “l’uomo e il calciatore esemplare” essere stato parte determinante, addirittura capitano, della squadra dopata (“Flebo e trofei!”)? Anzi ne fu il dopato per eccellenza, l’esempio visibile, additato dal Profeta del Nulla, il Rivoluzionario cui sono dedicati interi scaffali di librerie mentre non c’è un solo libro su quella Juventus che non sia di Kaos Edizioni.

“La gente ammetterà la svista/era davvero un grande artista/un talento, diverso e originale/l’avanguardia + sensazionale”

Vialli era “drogato”, oggi è “uomo e calciatore esemplare”. Perché è morto – eh ma è morto perché…
I pifferai di quella musica sono usciti dall’imbarazzo con le grafiche, in cui, come nelle vecchie foto dell’URSS da cui venivano cancellate le facce dei funzionari caduti in disgrazia, la Juve è semplicemente sparita. Già perché un Limido (4 presenze) o un Portanova (3) se hanno disavventure giudiziarie sono “ex-juventini”, ma Vialli (145) no, è un ex del Chelsea.

“Lui aveva del coraggio/noi gli abbiamo dato il peggio/ora ci pare piuccheggiusto/dedicargli almeno un mezzobusto”

Già ma ora che uno ci pensa: l’allenatore di quella squadra che vinse solo per il doping e Iuliano-Ronaldo ha vinto i mondiali del 2006 da cui mezza Italia voleva estrometterlo: alcuni dei migliori tecnici di questi anni vengono da lì, Zidane, Deschamps, Conte (che beninteso è diventato un grande allenatore dopo tre anni alla Juve, in cui ha vinto tre scudetti solo per il gol di Muntari); e Paulo Sousa ha fatto innamorare Firenze, come già da giocatori Torricelli e Di Livio (a Firenze!)
E Del Piero non è più dopato anche lui e anzi è l’invocato ambasciatore di una nuova juventinità; e a Ferrara vuol male solo Cassano; e Marocchi è uno stimato opinionista; e Bobo Vieri ha il canale social che sforna voci Rai e gente che insegna il calcio; e Pippo Inzaghi bomberone, certo dopo, prima si tuffava, e Angelone Peruzzi e Popeye Lombardo nello staff delle nazionali che ci hanno fatto gioire…
E insomma l’elenco potrebbe continuare, gratta gratta viene fuori che la squadra più vilipesa della storia del calcio, per le frustrazioni di un petroliere incapace e di un allenatore fallito e di un magistrato in cerca di gloria, non era una banda di drogati guidati da un maneggione e da un mad doctor, ma il gruppo di maggior spessore e influenza e durata tecnica, umana, morale degli ultimi 30 anni di calcio, molto di più anche del celebrato Milan di Sacchi. Purtroppo non ha vinto quanto poteva e doveva, meno male forse, se no pensate quante coppe avremmo “dovuto restituire” anziché una. “Scudetti dopati”.
La storia bussa, chi l’ha mistificata fa spallucce, finge di non essere in casa. Ma se arriva il morto (“Un Morto fra noi”, come disse Longanesi) tocca aprire la porta.
Sempre ammesso che siano loro i vivi, e noi i morti.

“Saremo rivalutati dopo la morte
A noi è toccata questa sorte”

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