“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”
Non sappiamo se davvero, come sussurrano i bene informati, questa frase l’abbia pronunciata il nipote Tancredi Nedved a Don Fabrizio Agnelli Principe di Salina per convincerlo della necessità di una svolta. Fatto sta che il Presidente nel caso, a differenza del suo omologo letterario, ha ascoltato davvero il consiglio e ridefinito le leve del potere nella guida tecnica.
Savoia e Borbonici vengono a contatto ancora, a ruoli invertiti nella narrazione contemporanea, per fare fronte ai primi segnali di decadenza di una gestione gloriosa. L’Allegri poco lucido degli ultimi mesi è stato quindi sconfessato proprio nel suo paradigma di calcio light ed essenziale? La duttilità e la concretezza saranno soppiantati dalla rivoluzione del dogmatismo belgiochista? A mio modesto avviso la realtà potrebbe essere un po’ più complessa.
Riprendendo il parallelismo col capolavoro di Tomasi da Lampedusa, il cambiamento auspicato non deve avere luogo da fuori: non si può essere trasformati da una fattispecie “straniera”, fatta di voli pindarici, accadimenti clamorosi e gesti eclatanti. L’autentico rinnovamento ed evoluzione può essere unicamente interiore e funzionale alla sola cosa che conta: mantenere lo status quo, esterno appunto, di schiacciasassi in Italia e di top team in Europa.
Nessun investimento faraonico su filosofie olandesi. Niente presentazione coi fuochi d’artificio. Rinviata la ricerca dell’immagine patinata a tutti i costi. È stato sufficiente un comunicato abbastanza asciutto e una grafica senza effetti speciali, a metà pomeriggio di una domenica assolata, per mettere il punto sulla Juventus che verrà. Ci siamo portati a Torino un allenatore italiano, molto italiano, da strapaese come definito perfettamente da Christian Rocca. Una costante peraltro ripetutasi negli ultimi 45 campionati del club bianconero nella massima serie.
E l’innovazione? Entrerà giovedì alle 11 ma è partita prima dall’interno; condizione necessaria, come spiegato sopra, perché abbia efficacia e perché sia reale. La redistribuzione delle responsabilità al management in autunno è un elemento chiave ma non il solo; la capacità del club di monitorare costantemente le eccellenze dei competitor è un altro fattore importante e ad oggi è evidente che il lavoro fatto a Napoli da Sarri sia rimasto negli occhi. Ma soprattutto l’idea maturata pian piano nell’ambiente che, per riproporsi nel 2019/20 in modo autorevole al top in Champions, servisse altro; qualcosa di diverso, un calcio anche più “rischioso” che però statisticamente ha prodotto maggiori risultati in Europa in questo ultimo quinquennio.
Maurizio Sarri rappresenta un compromesso tra l’iniezione di un football più strutturato, di possesso, e la continuità nella ricerca di equilibrio e sapienza tattica della scuola italiana. A oggi è un allenatore di fascia medio-alta, non è una matricola ad alti livelli come il Trap e il Lippi degli albori, né un santone alla Capello. Forse potrebbe essere un profilo alla Allegri 2014, un usato (quasi) sicuro ma senza la carriera del livornese davanti. Questa prospettiva di corto respiro si sposa con la situazione di una rosa, senz’altro molto valida, ma in cui gli unici due fuoriclasse assoluti nel rispettivo ruolo vanno per i 35.
Come quasi tutti i suoi predecessori capirà da subito che per lui sta cominciando un film inedito. Le masaniellate, gli atteggiamenti scomposti e gli alibi lasceranno spazio all’obbligatorietà della vittoria in ogni competizione, alle pressioni di una piazza mai così esigente e a una stampa che non farà sconti. Porta in dote, da una parte, i buoni risultati degli ultimi quattro anni e lo storico di un’ottima preparazione atletica e prevenzione di infortuni. Dall’altra, lascia alcuni legittimi dubbi: sarà in grado di gestire la tensione di dover ottenere risultati fin da subito? Riuscirà a trasmettere i suoi principi di gioco coinvolgendo un gruppo di 20 potenziali titolari? Saprà affinarsi nel saper cambiare le partite in corso, aspetto in cui ha mostrato qualche limite?
La dirigenza nella prossima stagione sarà anch’essa pesantemente sotto esame. Il caso Benatia, le idiozie in campo e fuori di Costa, le scemenze social di Cancelo e le bambinate di Dybala sono state veramente troppe, in pochi mesi. Serve riprendere il manico, accompagnare il nuovo allenatore e supportarlo, senza se e senza ma, pure nei momenti difficili che probabilmente arriveranno. Prendendo per buone le parole di Paratici d’una decina di giorni fa, c’è però alle viste un altro mutamento di rotta interno che potrebbe essere positivo: la “rivoluzionaria” visione di dare maggior peso alle idee dell’allenatore sulle scelte di mercato. Un modello che sarebbe stato utile seguire, almeno in parte, anche con l’eclettico Allegri. Ne consegue che sarà assolutamente indispensabile con il più integralista Sarri.
In base ai movimenti effettuati finora c’è una percezione diffusa sui media, sui social, per strada, che il prossimo campionato sarà più combattuto dei precedenti e che il Real Madrid torni ad essere la favoritissima per la vittoria della Champions League. Le mie ambizioni da tifoso sono già rivolte al campo, nostro naturale terreno di conquista per arrivare a fine stagione a Palazzo ed issarci sopra la nostra magica bandiera.
Benvenuto mister Sarri, conquistiamolo insieme.