

Qualche giorno fa, l’amico Michele Fusco ha postato sui social network l’immagine del tabellone di fine partita di Fulham-Juventus 4-1, definendolo come il nostro “punto sportivo più basso degli ultimi 20 anni“. Già, sembra incredibile, ma da quella terrificante serata sono passati meno di vent’anni. Anzi, anche se sembra ancora più incredibile, ne sono passati solamente otto. Era il 18 marzo 2010.
Ricordo bene quella partita, giocata nel tardo pomeriggio di giovedì. Il 3-1 casalingo di una settimana prima sembrava rassicurante, anche se la domenica pomeriggio la Juve era riuscita nell’impresa di non vincere in casa col Siena, dopo essere andata in vantaggio per 3-0 nei primi 10 minuti. Contro il Fulham erano gli ottavi di Europa League, competizione nella quale ci eravamo ritrovati dopo l’eliminazione dalla Champions League patita ai gironi in virtù delle sconfitte contro Bordeaux e Bayern.
Con un gruppo di amici, vedemmo quell’incontro in un pub nel centro di Torino. Ci aspettavamo una partita normale, e l’inizio fu addirittura positivo: Trezeguet segnò subito… poi, il nostro umore peggiorò di pari passo con la prestazione dei nostri in campo. Finimmo col rischiare un sonoro litigio con un gruppetto di tifosi inglesi (presenti nello stesso pub), il più ubriaco dei quali veniva a sbeffeggiarci ogni volta che subivamo una rete. Dopo averlo invitato (magari non proprio gentilmente, ma solo a parole) a tornare dai suoi sodali, decidemmo di non infierire, dato il suo precario equilibrio, irrimediabilmente minato dalla quantità di birra ingurgitata.
Otto anni fa il Papa era Benedetto XVI. Berlusconi era Presidente del consiglio e Napolitano Presidente della repubblica, mentre a presiedere Senato e Camera erano rispettivamente Schifani e Fini (sì, proprio quel Fini là). Nel resto del mondo, in piena crisi finanziaria, Obama era da circa un anno Presidente degli Stati Uniti, mentre Putin era momentaneamente in pausa dalla presidenza della Russia: si limitava a fare il Primo ministro. In Germania c’era già la Merkel, in Francia Sarkozy. C’era ancora Gheddafi in Libia, mentre in Egitto comandava Mubarak, quello la cui nipote… ehm… ok, ci siamo capiti.
Alla presidenza della Juventus c’era Blanc, dopo le dimissioni di Cobolli Gigli, che aveva lasciato pochi mesi prima. Il francese era uno e trino, ricoprendo anche le cariche di Amministratore delegato e Direttore generale (con Bettega a fargli da vice). Secco a fare mercato, Zaccheroni in panchina (dopo l’esonero di Ferrara). Fassone, Castagnini, Gattino occupavano gli altri ruoli chiave in azienda. Il periodo immediatamente successivo a calciopoli era stato devastante sotto tutti i punti di vista. I risultati sportivi erano ridicoli e perfino il bilancio era tornato in passivo.
La Juventus da 3 anni e mezzo era tornata al vecchio Comunale (all’epoca denominato Olimpico) e, dopo aver ultimato le opere di demolizione del Delle Alpi, una volta ottenute tutte le necessarie autorizzazioni, si apprestava a iniziare i lavori per la realizzazione dello Juventus Stadium.
Gabetti a capo del gruppo, alla presidenza della Giovanni Agnelli & c. SApA. L’onnipresente Montezemolo a capo di Fiat Group. John Elkann era presidente di Exor (e un mese dopo avrebbe preso possesso del gruppo, subentrando a Gabetti), Andrea Agnelli era invece fuori da tutto, in attesa di diventare Presidente della Juventus, cosa che sarebbe avvenuta due mesi dopo.
A Ju29ro avevamo appena dato alle stampe un libro intitolato “Che fine ha fatto la Juve?“. Di lì a qualche giorno (il 31 marzo) avremmo iniziato la pubblicazione delle intercettazioni che erano state occultate all’epoca dei processi sportivi. Il giorno successivo alle prime pubblicazioni (1° aprile), il Pf Palazzi avrebbe dato inizio a una lunga, lunghissima indagine… chiusa in ben 15 mesi con una relazione finale tanto nota quanto inefficace.
Il 18 marzo al Craven Cottage, per fronteggiare la squadra di Hodgson, ci presentammo in campo così: Chimenti; Salihamidzic, Zebina, Cannavaro, Grosso; Camoranesi, F.Melo, Sissoko; Candreva, Diego; Trezeguet. Entrarono nel corso della partita anche Grygera e De Ceglie e, nel finale, Del Piero. Come detto, l’allenatore era Zaccheroni. Rimasero in panchina, non utilizzati: Poulsen, Marrone, Iaquinta… e l’unico superstite (nella Juve di oggi) di quella infausta partita, Pinsoglio, all’epoca portiere della Primavera, che era stato portato come dodicesimo per la contemporanea assenza di Buffon e Manninger. Gli altri componenti della rosa bianconera non presenti a Londra erano: Caceres, Chiellini, Legrottaglie, Giandonato, Marchisio, Amauri, Giovinco, Immobile, Paolucci. Alcuni altri giocatori li avevamo salutati già a gennaio: Ariaudo, Molinaro, Tiago.
Fu una stagione davvero orrenda, la peggiore dell’agghiacciante periodo successivo a calciopoli. Una stagione talmente brutta da non crederci, talmente brutta da permettere quasi la rivalutazione della tanto vituperata Juve di Maifredi (e Montezemolo), da sempre presa nel mondo bianconero come termine di paragone per qualsiasi esempio negativo. Per dare un’idea, nelle 10 partite finali del campionato (successive a Fulham-Juve) riuscimmo a mettere insieme 3 vittorie, un pareggio e ben 6 sconfitte. Un disastro.
Qualche settimana dopo, una squadra italiana composta quasi esclusivamente da giocatori stranieri avrebbe vinto praticamente tutto quello che c’era da vincere a livello di club. Invece, in estate la Nazionale italiana avrebbe rimediato una tra le peggiori figure della sua storia, facendosi eliminare nel mondiale sudafricano da avversari del calibro di Paraguay, Slovacchia e Nuova Zelanda.
Sono passati otto anni: meno di tremila giorni, meno di cento mesi. Sono certo del fatto che nessuno di noi quella sera avrebbe potuto neanche lontanamente immaginare ciò che avremmo vissuto negli anni successivi. Agnelli, Nedved, Marotta e Paratici, lo Stadium e il JMuseum, il JMedical, la Continassa con la nuova sede e il JVillage e il resto, un bilancio passato da 170 mln di fatturato (e quasi 100 di perdita) a oltre 560 mln di ricavi e oltre 40 di utili, i 6 scudetti consecutivi (gli ultimi 3 dei quali accompagnati da altrettante coppe Italia), la ritrovata credibilità e competitività internazionale (con due finali di CL raggiunte negli ultimi 3 anni), il nuovo marchio, il canale tematico JTv, i nuovi sponsor e partner, etc…
Perfino inutile fare ancora una volta la conta dei successi conseguiti, in campo e fuori dal campo. Soprattutto per chi ha la lucidità di ripensare a come ci si sentisse la sera di quel 18 marzo 2010. Nei 4 anni del post-calciopoli erano stati distrutti il patrimonio sportivo, le competenze, la solidità finanziaria, la reputazione internazionale della società bianconera: la stessa juventinità sembrava essere stata annientata, e ci si stava pericolosamente abituando all’insuccesso, alla mediocrità, alle sconfitte. Dal 2010 in poi, dopo una stagione di rodaggio, la Juventus è finalmente tornata a essere se stessa, a essere ciò che è da sempre. Ci vorranno anni, forse decenni, per apprezzare fino in fondo gli incredibili, speriamo non irripetibili, successi di questo periodo.
Periodo nel quale sono però rispuntate anche alcune peculiarità della nostra tifoseria. Eh sì, nonostante i successi, una parte significativa dei nostri tifosi è tornata a essere (come e più di prima) schizzinosa, capricciosa, incoerente, volubile, lamentosa. Come se il mostrare una sorta di insoddisfazione perenne fosse sinonimo di competenza calcistica, come se l’essere eternamente disincantati (al limite del pessimismo cronico) fosse un titolo di merito. Spiace davvero che in troppi abbiano dimenticato quanto in basso fossimo arrivati quella sera a Londra, così come spiace che non riescano a godersi questi anni di successi. Peraltro, finché non rompono le scatole a noi che ci stiamo divertendo, sono rigorosamente cavoli loro.
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