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Italia, Repubblica fondata sulle intercettazioni illecite

Di Antonio Salvatore La Rosa

L’Italia è una Nazione strana, dove spesso la logica e il buonsenso lasciano spazio a furori irrazionali e demagogie sparse.
Soprattutto quando entra in gioco il calcio, e ancor di più quando di mezzo c’è una società e una squadra, la Juventus, che ha la fortuna di avere un numero enorme di tifosi (praticamente pari a tutti i tifosi delle altre squadre di serie A messe insieme), ma anche la sfortuna di essere odiata in maniera indifferenziata da tutte le tifoserie avversarie, le quali, da “farsopoli” in avanti, dopo avere sperimentato che i risultati del campo possono essere rovesciati grazie a processi sportivi farsa, abilmente pilotati, ritengono di poter sempre sperare in questo metodo per rovesciare gli esiti dei campionati.

E così adesso si cerca di ritornare al metodo della giustizia sportiva quale strumento di alterazione delle forze in campo, dopo sei anni di dominio incontrastato dei bianconeri, dovuto anche al fatto che le avversarie, chiacchiere da bar a parte, non hanno saputo programmare e attrezzarsi mentre la società bianconera poneva le basi alla riorganizzazione e programmazione del proprio futuro. Sei anni di sberle e fegati in frantumo sono tanti, e dunque occorreva fare qualcosa, e cosa meglio di una destabilizzazione scientifica della società bianconera? Ripetere una seconda “farsopoli” sarebbe molto difficile: cambiati i tempi, le condizioni, le garanzie per gli ascari dell’epoca e per i congiurati vari, per cui meglio virare su altre ipotesi, e una di queste può essere mettere sotto attacco il presidente bianconero, Andrea Agnelli, e sperare che sorgano conflitti interni che producano lo sgretolamento dell’attuale management societario, nella speranza che magari tornino i liquidatori, i tennisti, e gli addetti a fotocopie e fax.

Lo stiamo vedendo in questi giorni, in una vicenda nella quale una Procura italiana, quella di Torino, indagando sulle infiltrazioni di organizzazioni criminali organizzate quali la ‘Ndrangheta calabrese, nella regione piemontese, ha anche indagato su collegamenti tra questi gruppi e i gruppi ultras del tifo bianconero, nonché i rapporti tra questi gruppi e la società juventina. Indagine che ha prodotto arresti, accuse pesanti verso numerosi personaggi ritenuti appartenenti alla criminalità organizzata, e indagine che vede il presidente bianconero nella veste di “testimone”, assieme ad altri dirigenti bianconeri, per fare alcuni nomi il capo della sicurezza Alessandro D’Angelo, e l’ex responsabile marketing, Francesco Calvo. Quindi nessuna indagine penale a carico di questi ultimi, anzi da alcune informative di polizia giudiziaria, la società bianconera risulterebbe potenziale vittima di possibili estorsioni.

A questo punto, se il popolo calcistico italiano fosse  serio, preso atto di questa situazione, noterebbe che purtroppo il fenomeno dei condizionamenti pesanti dei gruppi ultras con infiltrazioni malavitose è diffuso un po’ ovunque, che ci sono stati casi non meno gravi a Milano, Roma e Napoli, e farebbe semmai fronte comune contro questa situazione complessa, qualche volta drammatica, che impedisce di vivere il calcio come uno sport e un momento di divertimento. Viceversa si preferisce l’opposto, e siccome di mezzo c’è la più odiata di tutte, comincia la caccia furiosa verso gli esponenti della società bianconera.
Si aggiunga poi una commissione nullafacente quale la commissione parlamentare antimafia, che mai si era accorta delle infiltrazioni mafiose al nord, mai ha avviato attività di conoscenza del fenomeno, improvvisamente scopre che il problema c’è… ma solo perché riguarda una società di calcio, cosa che consente visibilità a personaggi ai margini dell’agone politico.
Si aggiunga poi l’audizione di un procuratore federale calcistico, tal Giuseppe Pecoraro, personaggio con un invidiabile curriculum di figuracce e disastri nella sua carriera di funzionario dello Stato e di prefetto, e un deferimento del presidente bianconero Andrea Agnelli, con un capo di incolpazione che è l’esatto opposto di quanto concluso dalla Procura di Torino, e il quadro è completo.

Solo che adesso entrano in gioco pure i media.
Che come al solito, quando c’è da essere avvoltoi, non si tirano mai indietro.
Mi riferisco allo stillicidio di questi giorni con la pubblicazione a orologeria di intercettazioni telefoniche, attribuite ad Andrea Agnelli, in alcune a colloquio con Alessandro D’Angelo, in un’altra, con l’Avv. Chiappero.
Quest’ultima, a quanto pare, sarebbe però parte di una intercettazione più ampia, e sulla utenza di D’Angelo, con Chiappero che sarebbe intervenuto, in quanto presente, con il “viva voce”.
Vedete, la cosa più inquietante della pubblicazione di tali intercettazioni, è che chi le pubblica non si pone la domanda fondamentale, e cioè, stiamo pubblicando lecitamente queste intercettazioni? Si tratta di intercettazioni lecitamente effettuate e utilizzabili?
Qui il discorso diventa piuttosto tecnico, e dovrò fare una non brevissima premessa, al fine di spiegare la ragione per cui sono illecite sia le intercettazioni in sé e per sé, sia la loro pubblicazione.
Cominciamo a precisare intanto una cosa: nel nostro codice di procedura penale (che disinvoltamente ignorano in tanti, compresi personaggi che dovrebbero conoscerlo per ragioni del proprio ufficio), l’intercettazione, telefonica o ambientale che sia, è un mezzo straordinario di ricerca della prova, cui si può ricorrere in casi gravi, limitati, e anche limitati nel tempo (per chi volesse dedicarci un po’ di tempo, sono gli articoli dal 266 al 271 del codice di procedura penale).
Presupposto è quello di ricercare elementi che siano utilizzabili per dimostrare che un reato sia stato commesso dal soggetto indagato, ma naturalmente è necessario che ci sia una indagine aperta e almeno un soggetto sospettato di avere commesso uno o più reati: in altri termini, non si può intercettare preventivamente, né si può utilizzare lo strumento della intercettazione per accertare se un soggetto sia o meno colpevole di reati, insomma non esiste una situazione da “grande fratello”, nella quale qualcuno può controllare chiunque.
Devo a questo punto ricordare che vi è una tutela costituzionale delle comunicazioni private, in qualsiasi modo vengano compiute. L’art. 15 Cost. precisa come la libertà e la segretezza delle comunicazioni siano “inviolabili” , e che possono essere limitate “per atto motivato dell’autorità giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge”.
In sostanza solo la necessità di acquisire conferme ad accuse per reati commessi, può consentire la violazione di questo diritto costituzionalmente garantito di tutela della corrispondenza, delle conversazioni telefoniche: quindi può essere intercettato solo chi sia sospettato di avere compiuto dei reati già commessi, o che la commissione di quei reati già accertati, possa ulteriormente proseguire, come nel caso delle associazioni a delinquere, che di norma sono tali in quanto compiono una serie imprecisata di reati nel tempo.

Bene: per quale ragione sarebbero state poste sotto controllo le utenze telefoniche di Andrea Agnelli e di Alessandro D’Angelo, o più probabilmente quella del solo Alessandro D’Angelo?
Se nessuno dei due è mai stato iscritto nel registro degli indagati, appare chiaro che non si potevano mettere sotto controllo le loro utenze telefoniche, e dunque intercettare quelle conversazioni.
 Ma supponiamo per un momento che, per qualche ragione allo stato sconosciuta, uno dei due sia stato sospettato di rapporti illeciti con personaggi malavitosi, e che sia stata disposta la intercettazione delle sue conversazioni: è possibile utilizzare o pubblicare intercettazioni acquisite, regolarmente autorizzate, ma non utilizzate o utilizzabili nel successivo processo penale, in quanto il soggetto intercettato successivamente si è appurato essere estraneo ai fatti costituenti reato?
C’è una norma, l’art. 329, comma 1, codice procedura penale, che statuisce che gli atti delle indagini preliminari sono segreti sino a quando la persona sottoposta alle indagini non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini stesse.
Quindi se vengono rivelate prima della chiusura delle indagini, chi le rivela commette reato.
Chiuse le indagini, le intercettazioni possono diventare pubbliche, ma un conto sono le intercettazioni che, avendo finalità di provare fatti reato, sono utilizzabili nel processo, quelle invece ininfluenti, o compiute su soggetti poi risultati estranei, non potendo far parte degli elementi probatori nel processo, vanno eliminate, a richiesta naturalmente degli interessati.
Ma in quanto intercettazioni ininfluenti e non utilizzabili nel processo penale, a mio giudizio, non possono essere pubblicizzabili, perché qui ritorna quella garanzia della riservatezza della corrispondenza, di cui ho parlato prima.
Quindi è evidente che qualcuno ha passato arbitrariamente alla stampa intercettazioni che non avevano rilevanza sul piano penale, ma, per quanto si legge, non hanno nemmeno rilevanza sul piano del diritto sportivo, dato che, come avrete letto, da queste intercettazioni non risultano, ad esempio, commissione di fatti punibili dalla giustizia sportiva, dato che nel deferimento di Andrea Agnelli, sono configurate altre ipotesi di violazione dell’ordinamento sportivo, mentre in quelle pubblicate si leggono giudizi su persone ritenute “capaci di uccidere o fare uccidere” (ma non per questo assassini o mandanti di delitti), o collegamenti tra alcuni capi ultras e l’ex allenatore della Juventus, Conte.
Quindi conversazioni irrilevanti sul piano del diritto penale e del diritto sportivo, e dunque inutilizzabili, per cui, essendo inutilizzabili non possono mai essere considerate intercettazioni da rendere pubbliche.
Per cui chi le ha pubblicate ha commesso un illecito, e un illecito ha commesso chi le ha fornite agli organi di stampa.
Ancor più grave la pubblicazione della conversazione tra Andrea Agnelli e l’avvocato Chiappero, a nulla valendo, eventualmente, che tale conversazione sia avvenuta sulla utenza di D’Angelo.

L’art. 103, comma 5, codice procedura penale è chiaro: non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite.
È evidente che la norma in via generale si riferisce al caso classico del difensore che parla con il proprio assistito in relazione ai fatti di cui viene accusato; ma se vale soprattutto per questa ipotesi, a maggior ragione per qualsiasi forma di corrispondenza tra cliente e suo avvocato difensore. Come dire, la discussione tra Andrea Agnelli e l’avvocato Chiappero, era una conversazione privata, attinente marginalmente alla vicenda processuale relativa alla indagine “Alto Piemonte”, nella quale, come si comprende, il cliente (Agnelli), spiega al suo legale (Chiappero), per quale ragione si era entrati in rapporto con certi personaggi poi risultati legati a cosche malavitose: come dire una possibile discussione sulle conseguenze di quella indagine, e pertanto discussione tra cliente e avvocato, la cui intercettazione e pubblicazione è a mio giudizio illecita.

E torno alla affermazione di inizio, se questo fosse un Paese serio, ci si dovrebbe indignare per queste pubblicazioni illecite di intercettazioni illecite. Purtroppo siamo in Italia, repubblica fondata sulle intercettazioni illecite, e dunque la stampa può impunemente violare i diritti dei cittadini. Anche grazie a chi viola il dovere di non passare ai media conversazioni private o acquisite in maniera illegale. Del resto l’antijuventinismo in Italia ormai legittima qualsiasi nefandezza, e noi ci abbiamo fatto il callo, ma non per questo siamo ancora disposti a subire.

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