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Juve – Benfica 0-0

Non è facile riordinare le idee dopo la serata amara che abbiamo vissuto due giorni fa. L’ennesima serata amara in salsa europea. Perché si può dire tutto ed il contrario di tutto, ma la sostanza è una sola: è stata una grande delusione.

Delusione che deriva ovviamente dal risultato in sé ma soprattutto dal modo in cui il medesimo è maturato: in pratica giocando solo gli ultimi 25 minuti del primo tempo in cui comunque si era costruita un’unica occasione da gol, ovvero il colpo di testa di Vidal salvato da Luisao sulla linea. Dopo il (solito) avvio timoroso, il passare dei minuti e l’avanzamento del baricentro lasciavano sperare che la squadra si stesse pian piano scrollando di dosso la tensione e che avremmo assistito ad una ripresa carica di buoni auspici, complice forse anche il mutato atteggiamento degli avversari che si abbassavano.

Invece no. La Juve, di fatto, è rimasta negli spogliatoi. La ripresa è stata un’agonia (sportiva s’intende), con la squadra che giocava al piccolo trotto senza mai dare, almeno al sottoscritto, l’impressione di poterla portare a casa. Meglio: di VOLERLA portare a casa, perché il rilievo maggiore che sento di fare in questa sede riguarda proprio la scarsa convinzione mostrata dagli uomini in campo, i famosi “occhi di tigre” che, francamente, non ho ritrovato in nessuno dei nostri beniamini.

Eppure non serviva l’impresa, la “remuntada”, per usare una terminologia tanto in voga nel calcio moderno; sarebbe bastata una partita “normale”, atteso che l’uno a zero era sufficiente per accedere alla finale. Purtroppo però nemmeno il minimo sindacale è stato offerto dai nostri, se è vero che gli unici tiri nello specchio sono stati la punizione centrale di Pirlo ed il colpo di testa di Caceres allo scadere, in entrambi i casi, comunque, il portiere avversario non ha dovuto compiere miracoli. Il match sembrava poter avere una svolta decisiva con l’espulsione di Perez a 20 minuti dalla fine, si sperava fosse quella la scintilla che potesse svegliare tutti dal torpore generale ma non cambiava pressoché nulla, anzi sfido chiunque ad affermare di essersi accorto che eravamo in superiorità numerica (addirittura nei sei munti di recupero in 11 contro 9).

Non sono un esperto di tattica per cui non mi addentro in discorsi circa il modulo se sia o meno all’altezza dei palcoscenici europei, una cosa però è parsa ancora una volta inconfutabile ieri sera: la squadra è “prigioniera” dell’applicazione ossessiva degli schemi che se da un lato hanno fatto le fortune in questi anni, dall’altro rappresentano anche un limite; esempio lampante sono i calci d’angolo i quali spesso vengono battuti con predisposizioni cervellotiche, il più delle volte rivelatesi inutili. Per non dire del fraseggio: al 92mo e con la partita ormai finita i giocatori cercavano ancora il giropalla a centrocampo piuttosto che buttare la palla in area e sperare che accadesse qualcosa.

Spiace dirlo ma anche Conte ha le sue responsabilità accanto ai meriti indiscussi di questi anni, soprattutto per le dichiarazioni del post-partita inerenti l’arbitraggio e l’ostruzionismo degli avversari. Noi che abbiamo sempre ripudiato piagnistei altrui ed abbiamo sempre deriso chi cercava scusanti alle proprie sconfitte proprio non riusciamo ad accettare che sia il nostro tecnico a rilasciare questo genere di dichiarazioni. Da che esiste il calcio, poi, questi trucchetti sono sempre stati utilizzati: la verità è che c’hanno teso il tranello e noi ci siamo cascati in pieno. Per il resto, avremmo preferito che l’allenatore si limitasse ad evidenziare gli errori suoi e della squadra, prendendo semplicemente atto del responso del terreno di gioco.

Inutile nascondersi dietro un dito, in Europa quest’anno si è fatto molto meno di quanto ci si poteva aspettare: non superare un girone abbordabile di Champions ed essere eliminati da un avversario non trascendentale in Europa League deve far riflettere. Soprattutto considerando che nelle partite casalinghe abbiamo battuto solo Copenaghen, Trabzonspor e Lione (su autorete): un po’ poco effettivamente. Avevamo la possibilità di trasformare una grande stagione in campionato (non me lo dimentico, tranquilli) in una stagione memorabile, con l’ulteriore possibilità di poter disputare la Supercoppa Europea ad agosto. Perché sì, ero e resto convinto che questa rosa poteva e doveva vincere questa competizione, senza mezzi termini. Diciotto anni senza un trionfo internazionale, sia pure “minore” come dicono molti, sono troppi per la storia ed il blasone di questa società.

“Resta” il terzo scudetto consecutivo (sperando non sia l’ultimo della serie Conte) ma, dopo questa enorme delusione, forse avrà un gusto meno dolce.

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