Manca solo un piccolo tratto da percorrere, un singolo punticino, da sommare agli altri conquistati lungo un difficile cammino. Non inganni il distacco sulla seconda, non si dica che è stato facile. Alla fine il disegno sarà chiaro anche all’ultimo degli scettici e non potrà che essere un tricolore. Meraviglioso come gli altri 32, meno scontato a luglio quando un pessimismo parzialmente giustificato dallo shock di aver smarrito il condottiero di tante battaglie, aveva indotto un po’ tutti a temere il peggio. E invece…
Invece Massimiliano Allegri è riuscito in una non facile opera di abbassamento della temperatura in un gruppo surriscaldato dal (necessario allora) tremendismo di Conte. Un gruppo che poteva risultare logoro soprattutto mentalmente, prima che fisicamente provato, come dimostrano i tanti infortuni non attribuibili al nuovo tecnico: Vidal, Asamoah, Barzagli, Pirlo (primo infortunio), per citarne alcuni. Allegri l’ammortizzatore è riuscito ad assorbire i sobbalzi del percorso a ostacoli che gli si è presentato davanti, ad assorbire gli attacchi mediatici dai quali la Juve non è mai esente, affrontati con pacatezza e saggezza. Altro stile anche qui rispetto al predecessore.
Invece Massimiliano Allegri è riuscito ad apprendere (anche con l’aiuto dei giocatori) quel 3-5-2 che proprio non faceva parte del suo bagaglio culturale calcistico. Fase difensiva contiana al 100%, fase offensiva molto meno contiana, meno organizzata, meno dispendiosa, più veloce e più affidata all’improvvisazione. Si subisce poco o nulla come ai tempi del salentino, si segna tanto quanto. La novità è il contropiede micidiale come arma primaria, mai visto nei tre anni precedenti. O quasi mai.
Differenze a livello mentale se ne vedono poche, in campionato. La squadra è sempre quella che, se vuole, vince. Ora vince gestendo, prima vinceva stritolando. O stritolava o non vinceva. Proprio come è accaduto ieri contro la Fiorentina, quando la Juventus non è stata per nulla arrembante, pressante, spettacolare, nel primo tempo. Primo tempo in cui la Fiorentina avrebbe forse meritato il vantaggio e che, infatti, si conclude con il risultato di 2-1 per i bianconeri. Un ritorno al passato, alla famosa “Signora Omicidi”. Succede un po’ di tutto tra rigori negati da una parte e rigori concessi dall’altra, vantaggio viola con Rodriguez, velocissima replica con capocciata di Llorente (finalmente!), capolavoro da attaccante vero del solito, indescrivibile, incommensurabile, Carlos Tevez. Che nel secondo tempo chiude la pratica con un contropiede magistrale, prima dell’inutile 3-2 di Ilicic a tempo quasi scaduto. L’argentino non sbaglia proprio mai quest’anno. Liberato da qualsiasi vincolo tattico, libero di svariare, libero di interpretare il ruolo di seconda punta o trequartista a seconda delle esigenze e del momento. Il 4-3-1-2 a rombo diventa in un istante 4-3-2-1 o 4-3-3 anche grazie all’altro argentino, quel Pereyra ancora acerbo in zona gol ma devastante nel creare pericoli in qualsiasi zona del campo. E’ 4-3-decidete voi. E i ragazzi, elevati al primo posto nella graduatoria dei meriti proprio da Allegri, hanno deciso di vincere lo scudetto numero trentatré.
L’importanza del gruppo, del “giocare bene tecnicamente”, delle qualità del singolo inserite in un contesto vincente. Ecco i mantra del mister livornese, il normalizzatore. Colui che ancora non è entrato nei cuori di tutti e forse mai ci entrerà. Ma non serve che sia così. Chi non capisce l’importanza di avere un Allegri in panchina ha la vista annebbiata da preconcetti umorali tipici degli adolescenti innamorati. Ancora innamorati del/della lui/lei il quale/la quale se la fa con un altro ormai da tempo. Ma se l’amore rende ciechi e stolti, la ragione ci riconduce facilmente alla realtà. Manca solo un puntino da unire. Un unico punto nel gioco più facile, da uno a trentatré, per formare un bellissimo disegno. In bianco e nero eppure tricolore.