Si sta per voltare pagina. Buffon non convocato, così come Lichtsteiner, restano ben pochi sopravvissuti della rivoluzione marottiana della prima ora. Fa lo stesso, è sempre e soltanto Juve – Inter. Fosse anche giocata in un oratorio o su uno spiazzo con i cappotti e i maglioni per pali, avrebbe uguale adrenalina nei centri nervosi dei giocatori.
Non è il vero derby d’Italia se si fanno i conti complessivi di “tituli” e trofei. L’ iperbole spetterebbe più propriamente alla sfida tra Juventus e Milan, ma chissenefrega. Così la battezzò Brera e così rimane nell’immaginario collettivo. Con veleni, dispetti e colpi bassi annessi e connessi.
Questa è l’ultima tappa di una settimana vissuta pericolosamente, con il rischio di perdere o di guadagnare tutto. È o potrebbe essere la gara del “gioco, set e partita” a mo’ di tennis. C’è la vetta in palio, dopo avere espugnato la tana del Barcellona di Mergellina e avere regolato con relativa facilità la pratica greca, una vetta platonica, fragile quanto mai a causa della lunghezza ancora siderale che separa le contendenti dalla fine della stagione. Eppure sempre vetta tràttasi. Un sonoro ceffone a chi soccombe, se pure ce ne fosse uno. Un pari non indignerebbe di certo.
I bianconeri stanno benino, rinfrancati da una chiarezza tattica che solo recentemente è stata conquistata e da una condizione generale più che buona, eccezion fatta per Paulino Dybala. Il 10 pesa e i 2 rigori sbagliati pure. È’ il momento che arriva per tutti: o lo supera e diventa grande o resta un ottimo attaccante con notevoli doti e qualche acuto qua e là, ma campione no. Facilmente il “picciriddu” partirà dalla panchina.
Allegri non fa una piega per il forfait di Gigi o per la vaghezza di Paulo, lui tira dritto e fa conto con quello che passa il convento, che è molto. Probabile il rientro di Marione per fare a sportellate con i lungagnoni della difesa prescritta, fino a quando decida di aggirarli con i dribbling di Douglas Costa. D’altra parte siamo vicino a Natale e un bell’albero tattico non guasta. Sicuro Szczesny in porta e con Asamoah al posto di Alex Sandro, il resto è di facile lettura, fino al Pipita anti Handanovic.
L’ Inter giunge a Torino in testa alla classifica e alla luce di un 5 a 0 rifilato al Chievo di Campedelli (notoriamente tifoso interista, uno scansamento ci può stare!), con un ruolino di marcia notevole e con un miglioramento rispetto allo scorso anno di ben 18 punti. Verrebbe da dire che laddove non potè Pioli, sta quagliando Spalletti. Anche se l’Icardi-dipendenza è un grosso limite e Perisic non può continuare in eterno a fare il boia e l’impiccato. Skriniar è una bella sorpresa e rientra Gagliardini.
La sfida non è decisiva, ma indicativa di una certa tendenza sicuramente sì. I nerazzurri devono venire a dimostrare di avere le carte in regola per ambire a qualcosa di importante che non sia il solo piazzamento in Champions League; i bianconeri dal conto loro hanno l’obbligo di far svanire i sogni dei milanesi. Sono convinto che si giochi per vincere da entrambe le parti. Un punto, misero e insulso, avrebbe il gusto di una mezza sconfitta, anche perché Napoli e Roma non stanno a guardare.
E poi, diciamolo (La Russa è cartonato!), contro quelli lì è imperdonabile lasciarci le penne, dunque allontaniamo il fantasma di Stramaccioni, primo espugnatore dello Stadium e andiamo a prenderci quanto ci spetta per diritto da Calciopoli in poi. Abbiamo 440 milioni di motivi per farlo e uno scudetto rapinato con destrezza che lo pretende.