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Un uragano su Roma, Supercoppa alla Juve

Pensavo che avrei iniziato a scrivere il nostro primo pezzo dopo una partita ufficiale con una piccola premessa, spiegando che scoprirete come raramente su Juve a Tre Stelle troverete grossi racconti di cronaca, un po’ perché la partita la vedete tutti, un po’ perché abbiamo deciso di volervi parlare di altro, delle nostre sensazioni, delle nostre emozioni. Figuriamoci poi se è possibile e se ha senso parlare di cronaca quando una partita è sul 4-0 dopo 10 minuti del secondo tempo. Il finale poi serve a ben poco, se non a noi che molto piacevolmente avremmo accolto di buon grado un altro paio di palloni nella rete biancoceleste.

Niente cronaca dunque, ma consentitemi due piccoli eccezioni, per sottolineare ancora una volta il campione del futuro (e del presente) che ci ritroviamo, Paul Pogba. Sono lieto di essere stato fortunato profeta quando ho scritto che avrebbe segnato sicuramente, ma è facile giocare con la sorte quando ti ritrovi in bianconero un campioncino con queste qualità, così giovane e già così pronto. E’ uno di quelli che vedo tra dieci anni, ancora lì, a dettar legge a centrocampo e a ricordare i suoi trascorsi con la Vecchia Signora.
L’altra piccola parentesi è invece riservata alla piacevolezza del gol di Lichtsteiner e la freddezza del tocco delizioso con cui ha battuto Marchetti e, ovviamente, alla felicità di vedere il primo gol bianconero di Carlitos Tevez.

Tornando a noi, il pensiero non può non andare a quanto detto, visto e scritto in questi giorni. Juve in crisi, Tevez e Llorente improvvisamente brocchi, squadra che non corre, non segna e da rivedere. Tournée disastrosa e che evidenzia le difficoltà che la Juve incontrerà quest’anno. A dirla tutta non mi ha onestamente stupito tutto ciò, essendo abituato all’attacco mediatico nei nostri confronti alla minima occasione. Mi ha invece colpito come tutto ciò sia arrivato anche dai nostri stessi tifosi, spesso forse un pelo troppi facili nel lasciarsi andare al pessimismo generale. Senza mettere in dubbio che forse pochi avrebbero scommesso su un risultato finale del genere, questo sì.

Contemporaneamente a questo disfattismo generale, abbiamo dovuto fare i conti con i soliti milioni di “possiamo batterli”, “ce la faremo”, “la Supercoppa è nostra” di cui abbiamo parlato nel pre-partita e che puntualmente siamo abituati ad ascoltare prima di ogni singola partita e, a maggior ragione, prima di un evento di questa importanza. D’altra parte si sa, quella con la Juve è la partita della vita per tutti…e anche a questo siamo ormai più che abituati.

A chiudere il cerchio ci ha pensato il sig. Lotito, capace di far spostare la sede di gioco della Supercoppa, storicamente giocata in casa della squadra Campione d’Italia o, in alternativa, su campo neutro, all’Olimpico di Roma. Una situazione allucinante, paradossale, ritrovandoci fuori casa per una partita del genere.

Poi però succede una cosa. Succede che si passa dal calcio scritto, quello delle parole, dei giornali, dei tifosi avversari, dei rosiconi, degli anti-juve, di quelli che la Juve ruba e basta, al calcio giocato, quello che vede 11 uomini in bianconero correre su e giù per fare emozionare mezza Italia. E succede così che questi signori, senza dire mezza parola, ne fanno uno prima e poi due, tre, quattro tutti uno dopo l’altro. Succede che quel signore che porta la divisa numero 1 da più di dieci anni inizia a volare quando c’è bisogno. Succede anche che quel brocco di Tevez decide che è tempo di segnare il primo gol proprio quando conta. Succede che non c’è più spazio per le parole, c’è spazio per spiegare che non siamo fatti per parlare e proclamare, ma per correre, giocare, e dimostrare con i fatti. Anzi no, dopo, ma solo dopo l’inizio della partita, c’è spazio in effetti anche per qualche parola. Come quelle di Antonio Conte, capace di urlare “vergogna” a Vidal per un errore. Perché lui non ci sta, perché per lui non si sgarra, mai, soprattutto quando conta. E ci sono le parole di quel numero 1 di cui parlavo prima, che a fine partita spiega che i grandi giocatori si vedono quando conta, quando la posta in palio è alta, e non quando si è in tournée estiva in Cina o Stati Uniti.

Il finale più bello è quindi quello che abbiamo voluto scrivere. Quello del mister che abbraccia uno per uno i suoi uomini, prima che giocatori. Quello del presidente Agnelli che rimane lì a guardare col sorriso di un bambino la sua Juve alzare la coppa, perché il tifo che senti dentro non ha né cariche né ruoli. Quello di uno stadio Olimpico che si tinge di inno juventino e di “Juve…storia di un grande amore…”. Potrei in effetti dire anche quello di un Lotito inquadrato a 3 minuti dalla fine guardare l’orologio e chiedere “quanto manca?”. Non voglio fare troppo il superiore facendo finta che non mi interessi e confesso che è stata una vera goduria vedere questa scena dopo tutte le polemiche dei giorni precedenti. Ma lo tengo come un vizio e lo lascio fuori da questo riassunto del finale più bello. Perché il finale più bello è quello di cui stavo scrivendo con Conte, Agnelli e giocatori. In altre parole è quello nostro, che invece di godere delle disgrazie altrui (ad alcuni è rimasto solo questo) viviamo delle nostre vittorie, sempre più belle, sempre più grandi. Che abbiamo già dimenticato il Lotito di turno e ci emozioniamo a vedere l’ennesima Coppa al cielo. Che tra pochi minuti dimenticheremo già tutto questo e inizieremo a pensare ai prossimi successi, che come dice qualcuno, sono sempre quelli più belli.

Perché vuoi o non vuoi abbiamo una fortuna, ricordiamocelo, possiamo goderci questa fede bianconera.

Ancora una volta…Fino alla fine.

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