La Juve in versione europea è lontana parente di quella che avevamo ammirato, con gli occhi quasi stropicciati, nei primi 60 minuti della sfida col Sassuolo. La Juve sembra oramai convivere con una “carogna” eternamente sulle spalle, appena varca il confine si ammala di “pareggite”: e non da oggi, basti pensare che negli ultimi sette incontri europei, cinque si sono conclusi con un pareggio nei 90 minuti. Non riesce a portare il match a casa, nonostante quattro nitide palle gol create, di cui l’ultima allo scoccare del minuto 90 con Alex Sandro appare come un’ulteriore testimonianza di come, in questa competizione, la Dea bendata sembra proprio non volerci mai venire incontro (per non parlare della traversa di Higuain)
Non solo le imprecisioni sotto porta (clamorose le due occasioni mancate da Khedira, anche se Sami resta un giocatore pazzesco), ma anche uno schieramento iniziale discutibile e l’ottima gabbia costruita da Sampaoli sono stati fattori determinanti per il risultato finale. In campionato forza fisica e muscoli possono darti una mano nel lungo periodo, ma in Champions no, lì devi affidarti alla corsa, alla tecnica e alla velocità di passaggio, concetto quest’ultimo tanto caro al mister. Per questo motivo, ritengo delittuoso aver lasciato in panchina due giocatori come Alex Sandro e Pjanic che fanno tutta la differenza di questo mondo. Prevengo le obiezioni sul turnover: se bisogna dosare il minutaggio di alcuni giocatori, meglio farlo in un torneo lungo come il campionato e non nel “gironcino” di Champions, dove va schierata sempre la miglior formazione possibile. Altra obiezione preventiva: vero che Evra e Asamoah offrivano più equilibrio, ma la Champions da sempre ha dimostrato come sia meglio giocare all’attacco, osando qualcosa in più, come per esempio valutare la possibilità di cambiare modulo. Erano proprio necessari tre centrali contro una squadra che non aveva una punta centrale di ruolo? Va bene che i nostri conoscono alla perfezione lo spartito tanto caro in questi cinque anni di successi, ma guai a dimenticare che a Berlino ci si è arrivati con Bonucci e Chiellini centrali di una difesa a 4.
Detto in altro modo, Allegri stasera ha cercato di aspettare il Siviglia e invece è stato proprio Sampaoli a imbrigliare i nostri. Il tecnico cileno è riuscito a predisporre un’ottima gabbia attorno a Dybala (un po’ troppo lontano dalla porta ormai, a mio modo di vedere) e a trasmettere i suoi tutta la famosa “garra” di scuola sudamericana: calci e calcetti assortiti, completo intasamento della zona tra la metà campo e la trequarti e furbizie più o meno lecite nello spezzettare la partita. Mai pericolosi sotto porta vero, ma sempre fastidiosi grazie al pressing alto (in più di un’occasione hanno creato problemi nei disimpegni ai nostri tre centrali) e alle buone qualità di palleggio di una squadra che, non a caso, si è portata a casa le ultime tre edizioni dell’Europa League.
Non ci siamo, non ci siamo proprio. Il centrocampo, eccezion fatta per Lemina che sta interpretando con sempre maggior sicurezza il ruolo di schermo davanti alla difesa, non ha funzionato. Evra troppo timido nel primo tempo, così come Dani Alves che nel secondo tempo ha alternato buone accelerazioni a un paio di cross da far rimpiangere quelli di Lichtsteiner. Le mezz’ali invece, hanno cercato di ripetere gli inserimenti centrali che nelle prime tre partite di campionato hanno portato ad altrettanti gol, ma dopo un ottimo inizio hanno dovuto fare i conti contro l’ottima consistenza del centrocampo andaluso.
La delusione è tanta, ma non c’è bisogno di fare drammi, anche se stasera Allegri ha deciso di emulare l’Antonio Conte di Monaco o Copenaghen 2013. A Zagabria bisogna vincere con autorità, schierando possibilmente i migliori perché se si parte dalla conferenza di Allegri della vigilia “la qualificazione è il primo obiettivo stagionale” non si può poi schierare quella formazione e parlare di equilibrio. Per fermare chi? Vitolo? Siamo seri, meglio provare a fare qualcosa in più, altrimenti si piange come stasera…
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