Dove eravamo rimasti? Ad inizio stagione tutti siamo stati concordi nel bollare la lotta al razzismo giusta e corretta, pugno duro sacrosanto contro chi violava norme severe e così via. Poteva funzionare, avrebbe funzionato.
Oggi Tonino Cagnucci su “Il Romanista” – Direttore Responsabile Carmine Fotia – scrive : “È l’Itaglia signori, ed è uno schifo. E forse esserne campioni è un premio che merita chi se lo confeziona. Ma chi non lotta è complice. Chi s’arrende non è romanista. È l’Itaglia che porta dodicimila ragazzini allo stadio per farsi vedere pulita, col solito gesto melenso e buonista da pseudo pedagogia risorgimentale da libretto cuore che non significa niente: a cosa porta? Che vuol dire? Cosa insegna? Forse che anche i ragazzini strillano «merda» quando rinvia il portiere (nel caso specifico era Brkic, quindi occhio che potrebbe scattare la discriminazione razziale più che territoriale)”. Tralasciando volutamente l’aspetto di non-cultura sportiva di cui tutto l’articolo è intriso, vorrei per l’appunto riflettere sull’estratto sopra riportato.
Nel momento in cui le norme contro il razzismo negli stadi sono state allargate alla cosiddetta discriminazione territoriale, una battaglia che avrebbe potuto portare risultati magari limitati ma certamente concreti è stata svalutata per quell’insano gusto italico di voler trovare facili soluzioni e scorciatoie a situazioni che richiederebbero ben altra attenzione e tutto fuorchè superficialità. In tempi non sospetti (questa volta ci tengo a sottolinearlo) avevo così commentato quel passaggio.
Oggi, l’”ooooh merda” di qualche ragazzino ad un portiere di cui molto probabilmente non conosce nè il nome nè tantomeno la nazionalità può essere argomento su cui chiedersi se sia il caso o meno di applicare le norme contro il razzismo e/o la discriminazione territoriale.
Quella condivisione sugli obiettivi, sulle norme, sulle sanzioni che si era raggiunto che fine ha fatto? Oggi che scenario ci troviamo? Caos. Come volevasi dimostrare.