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Juventus – Monaco 2-1: Juventino erotico stomp

No, a questo giro non aspettatevi un inizio all’insegna del “C’era una volta”.
Stavolta c’è, non solo una volta, c’è tanto, c’è tutto.
C’è una finale di Champions League raggiunta per la seconda volta in 3 anni, con tanto di cartolina destinata a chi non vede l’Europa da anni, oppure ci rimedia solo figure barbine prendendo imbarcate o facendosi battere da dopolavoristi (e ci apostrofa pure con finoalconfine).
C’è una squadra formata da un gruppo di uomini straordinari, mai sazi, mai domi, sempre concentrati e pronti a dare non meno del 110% in ogni occasione.
C’è un’annata che più passa il tempo più ti viene voglia che si concluda il più tardi possibile, per gustarla ed assaporarla fino in fondo, fino alla fine.
C’è la sensazione di vivere sulle montagne russe, con le urla date dall’adrenalina, i continui saliscendi e il cuore che ti va in gola.
C’è tutto in serate come queste: il testone di Chiellini sempre al posto giusto, la manina di Gigione Buffon che para tutto nei momenti decisivi, il senso della posizione dell’eterno Barzagli, l’eleganza e la precisione di Bonucci, il fosforo di Pjanić, le geometrie di Marchisio, le danze del folletto Dybala, i numeri di magia di Dani Alves, la sostanza di Alex Sandro, la furia e la forza di Higuaín e lo sguardo truce di Mandžukić.
È lui, sempre lui che si sbatte su quella fascia, corre avanti e indietro, fa a sportellate con Raggi, sforna assist di testa e poi, quando il gol è nell’aria, decide di buttarla dentro e spostare l’equilibrio.
Perché va bene, segnerà anche poco, per chi di calcio non capisce un tubo è un peso, un giocatore che andava ceduto al posto di Zaza e che la palla non la butta dentro quasi mai: ok, non è il cannoniere da 20 gol a stagione, ma trovatemi un suo gol superfluo in questi 2 anni che ha giocato con noi.
Sempre e solo gol pesanti, palloni che pesano una tonnellata e che spaventano fior fiori di giocatori ma non lui, Mario Mandžukić che dopo 33 minuti si prende la squadra sulle spalle e piega le speranze di un Monaco venuto a Torino a giocarsi il tutto per tutto.

Poi c’è il ragazzo venuto dal Brasile (con sosta in Spagna di qualche annetto), quel Dani Alves che qualcuno diceva fosse venuto a svernare e a vivacchiare alle spalle della Vecchia Signora (perché dalla Cina o dai paesi arabi non arrivavano offerte, no no), ma che è riuscito a inserirsi (con qualche mese di troppo causa infortunio, per cui gli avevano fischiato fallo, non dimentichiamo) portando una classe, una genialità e una tecnica che, ammettiamolo, non vedevamo da tempo.
Un giocatore sopra la media, un fuoriclasse, uno che sembra uscito da Hogwarts a pieni voti per le magie che riesce a compiere con il pallone (oplà, il pallone è qui e ora non c’è più, non c’è trucco e non c’è inganno…): ammetto, all’inizio ero scettico su di lui, poi ho capito che, per dirla alla Morandi, non ero degno di lui, non ero pronto a cotanta classe.
Alla fine però mi sono ricordato che negli anni qualche giocatorino di gran classe l’ho visto con la maglia della Juve, da Platini a Del Piero passando per Baggio e Zidane (e anche l’unico giocatore di cui oggi sono ancora vedovo, quel Michael Laudrup idolo d’infanzia); da allora mi sono lasciato andare e sono settimane che non vedo l’ora di vederlo giocare insieme a Dybala, Pjanić ed Higuaín per godere.

Si, lo dico senza il benché minimo pudore, questa è una squadra che mi fa godere, mi fa brillare gli occhi, rasenta la perfezione giocando un bel calcio, privo di inutili orpelli e di giocate con il joystick e carico di improvvisazioni e di lampi di genio come nei migliori dischi jazz.
Li guardi e ti sembra di ascoltare “Kind of blue”, “Straight no chaser” o “Live in Koln”, capisci che tutti i loro movimenti, i passaggi e gli inserimenti possono essere si il frutto di un duro lavoro, ma anche di quella capacità finalmente acquisita di saper improvvisare.
Proprio come nel miglior jazz.

E poi c’è lui, lo stratega, l’architetto di questo grande edificio dalla forma semplice, ma di quella semplicità ottenuta togliendo via il superfluo e raggiunta dopo mesi di faticoso lavoro: semplicità che non significa banalità ma sostanza, essenza, anima.
Quando Allegri la scorsa estate disse, parola più parola meno, datemi i giocatori buoni che a metterli in campo ci penso io, passò da spaccone e puntualmente venne sbeffeggiato: ovviamente accettò le critiche senza battere ciglio, poi ha fatto passare mesi perfezionando il progetto che aveva in mente con la squadra che comunque riusciva a vincere; poi è arrivato il momento decisivo e lui ha tolto il telone svelando la sua creatura, una bellissima creatura.
Va da se che in non pochi sono riusciti a negare anche stavolta l’evidenza ma vi dirò, l’invidia e la mancanza di gusto del bello sono brutte bestie: posso dire di aver sentito, qualche anno fa, un mio collega apostrofare Renzo Piano come “Un raccomandato che aveva alle spalle il babbo con l’impresa di costruzioni”, quindi come si suol dire vale tutto.

È stata, in conclusione, un’altra serata magica, bellissima, surreale, dove alla fine sono arrivati anche loro, gli antijuventini.
Ci accompagnano in tutte le nostre partite da anni, stasera erano lì a gufare alla televisione tranne uno, che non si sa per quale motivo aveva il privilegio di farlo in campo: sto parlando di lui, di Heather Parisi per i più chiamato Kamil Glik, il simbolo del vecchio cuore granata che, qui lo dico, c’ha rotto i coglioni!
In queste 2 partite è stato il perfetto emblema dell’essere antijuventino frustrato da anni di nostre vittorie: prima la sconfitta sul campo, di quelle che ti lasciano il vuoto dentro per come sono state nette e senza scusanti; poi una volta capito che no, non ce la poteva fare a batterci regolarmente si è ricordato di ciò che è veramente, un giocatore mediocre e vigliacco che prima ha cercato di azzoppare Higuaín con una tacchettata “a merda” sulla gamba, poi non contento ha stuzzicato Mandžukić sperando di farlo espellere.
Due vigliaccate per ingraziarsi i tanti frustrati dei social network che nei giorni scorsi gli chiedevano di azzoppare Dybala e lui apprezzava: si sa, tra minus habens ci si capisce.
In compenso quando Mandžukić lo ha incenerito con lo sguardo prendendolo a male parole, lui il coraggio di guardarlo negli occhi mica ce l’ha avuto: mi basta questo, in fondo da un ex capitano del torino non posso aspettarmi di più.

Infine, last but not least, loro, quelli del “TRIPLETE! MAI STATI IN B!”.
Bellissimo il tempismo con cui hanno diramato il comunicato con l’esonero Pioli, proprio nei minuti finali quando stavamo festeggiando; mai momento è stato più opportuno per capire (casomai ce ne fosse bisogno) che si, a distanza di anni tutto è tornato al suo posto.
Adoro la loro ridicolaggine, devo dire che tutte le volte riescono a stupirmi e non mi stancano mai.
A questo punto domenica, oltre a ciò che sapete voi, voglio vedere volare un motorino dagli spalti di S.Siro.
Se lo meritano loro, perché quella è a loro dimensione, ce lo meritiamo noi perché siamo superiori e basta.

Grazie, grazie davvero alla squadra, agli antijuventini, all’inter, grazie a tutti per questa serata!
Sappiate che tanta era la goduria alla fine della partita che sono filato via dalla Casa del Popolo, ho raggiunto casa in pochi minuti, ho fatto le mie scale tre alla volta, mi son steso sul divano e con dolcezza è partita la mia mano…
…per scrivere il postpartita, cosa avevate capito???

Keep the faith alive e forza Juve!

PS. Stasera il caro saluto è tutto per Tommaso Labate, giornalista politico nonché tifoso interista.
Ricordo una sua partecipazione a Tiki Taka all’inizio del campionato: con una certa acidità, commentando la campagna acquisti della Juve, disse (parola più parola meno): “Se quest’anno la Juve non vince il campionato e non va almeno in finale di Champions sarà un fallimento!”.
Oh, stai a vedere che stiamo facendo questa bellissima stagione per fargli un dispetto.
Coraggio dai Tommaso, un po’ di Maalox e tutto passa, magari la prossima volta un tegamino di cazzi tuoi fattelo (lo dico per te, eh!).
E salutala ogni tanto la capolista, dai!

 

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