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Juventus – Real Madrid 1-4: The song remains the same

Io odio il fai da te, ho un atavico rifiuto verso l’uso del trapano, dei cacciaviti e degli avvitatori: non ho pazienza, non mi piace, vorrei che ci fosse lì qualcuno con me a sbrigare certe faccende odiose come smontare e rimontare armadi e cassettiere.
Tuttavia l’altro giorno mi è stato detto: lo vorresti un armadio a 5 ante, largo 2 metri e 20 e alto 2 e 60?
“Caspita”, ho pensato, “ci starebbe proprio bene in camera dei bambini, risolveremmo il problema dei vestiti che non sai mai dove mettere, potremmo poi spostare l’armadio e la cassettiera in mansarda…oh che palle, io però non ho voglia di farlo! Sentiamo qualcuno?”
“Eh no, caro Salvador, stavolta ci mettiamo lì, armati di santa pazienza, liberiamo lo spazio, portiamo su i mobili e poi montiamo l’armadio!”
Santa donna mia moglie, aveva non una ma mille ragioni: ci siamo armati appunto di santa pazienza, ci siamo impegnati, abbiamo sudato e smoccolato ma alla fine, verso le 5 di pomeriggio, era tornato l’ordine e guardavamo soddisfatti la nostra creatura.
Era il lavoro che ci eravamo prefissati di svolgere, sembrava un’impresa impossibile nella mia testa, invece alla fine ce l’abbiamo fatta.

A ciascuno il proprio lavoro, si usa dire no?
Ecco, io in questo fine settimana dovevo improvvisarmi mobiliere, i giocatori della Juventus dovevano semplicemente fare il proprio lavoro come lo avevano svolto per tutta questa bellissima annata e portare la Champions League a Torino dopo 21 anni.
Sembrava lì, a un passo, bastava allungare la mano e quell’anfora tanto sgraziata quanto desiderata sarebbe stata finalmente nostra per la terza volta: mancava l’ultima prova, quella decisiva, e poi via con la festa!
I segnali premonitori sembravano esserci tutti: i giocatori del Real che parlavano e riparlavano, quelli della Juve che aprivano poco la bocca, le loro magliette già stampate e vendute con la dodicesima coppa vinta, la maggiore consapevolezza dei nostri rispetto alla finale di 2 anni fa.
E poi il cammino trionfale, la serata magica contro il Barcellona, la pratica Monaco liquidata da grande squadra.
Stavolta sembrava davvero la volta giusta, i primi a crederci eravamo noi tifosi, ma tutti in società ed in squadra parevano caricati e pronti per la grande impresa.
Poi è cominciata la partita.
Un inizio brillante, un quarto d’ora aggressivo, poi il solito contropiede, il solito svarione difensivo da finale di Champions League e il solito avversario che va in vantaggio.
Ok, anche questa volta è andata, ho pensato.
E invece no, non avevo considerato la variabile Mandžukić, uno che la Coppa l’ha vinta da protagonista: lui non ci sta ad arrendersi e dal (quasi) nulla si crea una rovesciata fantastica per il gol del pareggio.
Sono passati neanche 30 minuti, l’abbiamo rimessa in carreggiata, ce la stiamo finalmente giocando e andiamo al riposo sul risultato di 1-1.

Poi, il nulla.
Cosa sia successo non si sa e probabilmente non lo sapremo mai, fatto sta che al ritorno in campo la squadra ha staccato il cervello, si muove per inerzia, non crea occasioni, non pressa, lascia campo all’avversario, perde palloni nella propria metà campo, è incapace di spostare il baricentro in avanti e alla fine crolla, come logico che sia.
Prima il gol di Casemiro, deviato da Khedira, poi dopo pochi minuti Ronaldo si inserisce tra le due belle statuine Bonucci e Chiellini e la partita davvero finisce lì.
Resterebbero venticinque minuti di partita, potremmo giocarcela, sennò a che cazzo serve il fino alla fine?
Per raddrizzare i derby contro gli sfigati dei bovini e farsi ganzi sui social network?
Macché, niente di niente, tutti si sono arresi al ritorno dagli spogliatoi, alla fine il Real ne segna 4, Cuadrado entra e nel giro di pochi minuti si fa espellere e, come sempre, la Coppa la vincono gli altri.
Peccato che stavolta sia diverso.

E si, lo diciamo tutte le volte che fa sempre più male, che sarà impossibile rialzarsi, ma stavolta è così.
E badate bene, lo dice uno che l’anno scorso, dopo l’eliminazione bruciante contro il Bayern Monaco, aveva comunque fatto notare in questo articolo che la Coppa non era poi così puttana, che davvero c’era il potenziale per fare bene e vincerla una volta per tutte.
Ma lì una squadra incerottata e ingenua aveva lottato fino alla fine, aveva dato segni di vita.
Stasera niente, niente di niente.
Avevo dei rimpianti per la finale di Berlino e Monaco lo scorso anno per l’assenza di Chiellini.
Stasera Chiellini era in campo, è stato uno dei peggiori e come lui Barzagli e Bonucci, così come colui che la Coppa l’aveva già vinta cioè Dani Alves, fumoso e inconcludente come poche volte gli era successo.
Vedere quei tre là dietro, e anche Buffon, in totale confusione e in balia degli eventi lascia sgomenti, fa capire che davvero questa non è stata una sconfitta, ma una vera e propria Waterloo, una Caporetto, una resa totale di una squadra che fino a poche settimane fa pareva pronta a vincere tutto.
“Gl’è tutto sbagliato, gl’è tutto da rifare” era un mantra del grande Gino Bartali (e scusami babbo se cito lui invece del tuo idolo Fausto Coppi) e forse dovremmo cominciare a pensarci, perché qui ci sarà tanto da lavorare, altroché!
Detto della difesa, anche il centrocampo non ha dato in pratica segni di vita nel secondo tempo e poi i più attesi, Higuaín e Dybala, sono stati di fatto spettatori in campo.
Una disfatta totale, di quelle che lasciano il segno senza neanche farti soffrire: ricordo 2 anni fa, dopo Berlino, la delusione, la rabbia, quel rigore non concesso su Pogba, lo sperare fino alla fine: ci riproveremo dai, non ci manca tanto!
E invece…

Invece non manca tanto, manca tutto, manca soprattutto il coraggio e la determinazione nelle partite secche: Allegri sembrava avesse fatto il miracolo, aveva trasformato la Juventus da squadra timida ed impacciata in Europa in corazzata imbattibile.
Niente, alla fine l’anima della Juventus è tornata prepotentemente alla ribalta ed è finita come a Belgrado, ad Atene, a Monaco di Baviera, ad Amsterdam, a Manchester e a Berlino.
Aggiungiamo Cardiff alla collezione, ne avrei fatto volentieri a meno ma quando si tifa una squadra è così.
La Juve è fatta in questo modo, palesemente incapace di raccogliere a livello europeo quello che pazientemente semina durante la stagione: un giorno mi spiegheranno come si possa giocare delle partite da manuale del calcio nei quarti di finale, in semifinale e poi arrivare all’appuntamento decisivo, farsela sotto dalla paura e rinunciare anche minimamente a provare a vincerla.
E non è una questione di sfiga o di Coppa puttana e maledetta, siamo sempre e solo noi la causa delle nostre sconfitte in queste sette finali di merda.
“The song remains the same”, cantava Robert Plant nella mitica cavalcata chitarristica di Jimmy Page nel lontano 1973…anno di uscita di “Houses of the holy”, anno della prima finale di Coppa dei Campioni persa a Belgrado contro l’Ajax: anche lì, squadra impaurita, partita persa.
Appunto.

E niente, la stagione finisce qui, speravo di chiudere questo ultimo postpartita alle 4 di mattina dopo essere stato in giro a fare baldoria, speravo di scrivere l’articolo che avevo già in mente da mesi o da una vita, speravo di celebrare i vari Buffon, Bonucci e Barzagli e invece mi tocca chiudere così, col solito tono mesto da finale di Champions persa.
Finisce qui, il sipario si chiude: personalmente ringrazio tutto lo staff del sito che legge, corregge gli orrori grammaticali, pubblica e “spamma” i miei postpartita, in particolare i fratelli Sasà e Giuseppe Scarso e la Prof. Giulia Magazzù.
E ringrazio voi lettori e mi scuso per il mio essere spesso troppo prolisso.
Ci vediamo la prossima stagione, buonanotte!

PS. Proprio mentre stavo finendo di scrivere ho letto del genio che in piazza S.Carlo a Torino ha lanciato un petardo gridando “Bomba!”  gettando nel panico tutta la gente (30000 persone in piazza): uno scherzo da testa di cazzo che stava per causare un nuovo Heysel e mentre scrivo (circa l’una di notte) leggo di 400 feriti e di un bimbo di 3 anni e mezzo in codice rosso.
Non ho più parole, trovatele voi…

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