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Kill your idols

La partita di sabato sera è stato un tradimento: noi abbiamo seguito la squadra dalla serie B a oggi, noi abbiamo riempito lo Stadium a livelli mai visti in Italia, noi abbiamo pagato biglietti a prezzi da elevati a folli, ci siamo ritrovati a fare guerre all’ultimo click, a destreggiarci tra tessere Premium e Club Doc; chi è andato a Cardiff ha pagato biglietti a prezzi da Superbowl, fatto viaggi della speranza in pullman dall’Italia, o con la caccia a uno straccio di hotel tra il Galles e l’Inghilterra. Che non è poi tanto diverso da quello che fanno “any given Sunday” i tifosi che partono all’alba da tutta Italia per lo Stadium o che hanno seguito la Juventus tutte le trasferte italiane ed estere.
Il popolo juventino in questi anni ha detto: noi per voi faremo qualsiasi cosa.
Alla squadra è stato chiesto di tenere fede alle promesse: vincere (perché è la sola cosa che conta) o provarci “fino alla fine”.

“Fino alla fine” si intende, per essere chiari “fino alla fine della partita” e non “fino alla fine del primo tempo”.

La gravità di quanto successo richiede toni altrettanto gravi: avrei sopportato e tollerato una sconfitta sul campo, con l’avversario che dimostra la sua superiorità nonostante tutti i nostri tentativi. Succede, è nelle regole del gioco. Quello che non è accettabile è la resa incondizionata a cui abbiamo assistito nel secondo tempo.
È bene essere chiari e non autoindulgenti nelle valutazioni: ci avevano raccontato di essere pronti, carichi, sereni. Ci avevano fatto intendere che questa poteva essere la volta buona, con tutto il rispetto possibile per la grandezza dell’avversario.
Invece siamo tornati a casa con la settima finale persa, staccando decisamente il Benfica a cinque, con uno dei passivi peggiori della storia della moderna Champions League (peggio solo Milan-Barcellona 4-0 e alla pari con Real-Atletico 4-1 maturato però nei tempi supplementari).
Una umiliazione mai vista, siamo lo zimbello dell’Europa che conta.
È inutile sghignazzare sull’inter che si fa eliminare in Europa League dal Beer Sheva perché stiamo parlando di altro (e se proprio dobbiamo dirla tutta, successe anche noi quindi c’è poco da ridere).
È inutile consolarsi “beh ma per perderla la finale ci devi comunque arrivare” perché allora vale tutto, anche festeggiare i secondi posti in campionato e gli scudetti morali.
Abbiamo disputato un’ottima Champions League che si è fermata a 45 minuti dalla fine. Sono bastati 10 minuti di pressione costante del Real Madrid perché crollassero tutte le nostre certezze.
La tanto decantata difesa più forte d’Europa si è sciolta come neve al sole, abbiamo assistito alla ennesima dimostrazione che i nostri celebrati esacampioni, superstiti della Juventus che non vinceva neanche le amichevoli a Villar Perosa, sono stati capaci di portarci in finale, ma per andare più in là è necessaria una tenuta mentale che non hanno.
Barzagli ha mostrato tutti i limiti fisici dell’età non più compensabili con l’esperienza; Bonucci eroe indiscusso da social network dove ha dispensato saggezza da mental coach ha dimostrato di predicare bene ma razzolare malissimo; Chiellini, il miglior marcatore d’Europa se resta a tre metri da Ronaldo diventa praticamente inutile.
E infine lui, Gigi Buffon.
Vinciamola per lui, si diceva.
Da tutta Europa si moltiplicavano gli apprezzamenti e il tifo trasversale perché il più grande portiere del mondo non poteva chiudere la carriera senza aver alzato quella maledetta coppa.
E invece lo abbiamo visto impotente mentre incassa un pallone dopo l’altro, incapace anche di richiamare e motivare i compagni per andare a riprendere ancora una volta quella partita.
Tre finali perse per lui, due per gli altri (Chiellini non c’era a Berlino, ma non credo avrebbe cambiato molto la storia).
Chi ha buona memoria ricorderà questa frase detta da Chiellini a settembre:
“Con tutto il rispetto il Real Madrid può vincere 6-2 o il Milan di Ronaldinho poteva trionfare 5-2, ma la Juve deve vincere 1-0, 2-0, lo dice la storia di questa società.
Non è detto che non si provi a vincere 3-0, ma siamo una squadra che quando è in vantaggio non deve prendere goal, che deve crescere. Noi non siamo e non saremo mai il Real, abbiamo caratteristiche diverse”.
E visto che ormai era palese quanto questa mentalità fosse piantata nella testa di alcuni, Allegri ha fatto di tutto per scardinarla, schierando il modulo più offensivo possibile e nonostante questo, le partite in cui abbiamo sofferto di più e abbiamo perso sono state quelle in cui ci siamo pericolosamente abbassati per evitare di prendere gol. Paradigmatica in questo senso la finale di Supercoppa con il Milan in cui dopo il vantaggio ci siamo abbassati e siamo stati letteralmente presi a pallate da una squadra mediocre alla quale abbiamo dato una trentina di punti di distacco.

Posso perdonare Dybala alla prima occasione importante, sovrastato da un impeccabile Casemiro; non mi sento di crocifiggere Higuaín che lasciato da solo è riuscito a tirare lo stesso due volte in porta e a fare l’appoggio giusto per il gol di Mandzukic.
Il tracollo della nostra difesa è invece assolutamente inappellabile.

È forse tempo di uccidere i nostri idoli* (metaforicamente si intende) e superarli: da sei anni li abbiamo visti crescere e diventare enormi, sono stati la nostra coperta di Linus, l’ultima risorsa alla quale appellarci. Anche dopo averli accantonati con la difesa a 4 siamo arrivati comunque a giocare la partita più importante di questo decennio con loro in campo e scoprire che il loro limite lo avevano raggiunto e non gli potevamo chiedere altri 45 minuti per la gloria.
Loro portavano sulle spalle il peso dei desideri di milioni di juventini che da anni chiedono solo una cosa.
Li abbiamo schiacciati, appena hanno capito di non potercela fare sono crollati in campo.
Marchisio è entrato solo per vedere più da vicino il disastro che si stava compiendo, Lichtsteiner il piede fuori dalla porta lo aveva già messo quest’estate.

Andrea Agnelli una volta ha detto: “Nessuno è indispensabile, io stesso non lo sono. La storia della Juve è più grande di ogni individuo”.
Allora, si prenda il coraggio di fare scelte difficili e forse impopolari, con riconoscenza ma senza idolatria: Bonucci ha usato un ambiguo “aver fatto parte di questo gruppo” nel suo ultimo post su Instagram, se vuole andare da Guardiola lo faccia. Barzagli sa benissimo che il tempo è passato, Chiellini può entrare nelle rotazioni con Rugani e Benatia. Caldara arriverà tra un anno ma potrebbe essere anticipato.
Dicono che la Juventus abbia preso il portiere Szczesny, non precisamente una riserva o un giovane di belle speranze. Buffon ha già annunciato il ritiro dopo il 2018, il momento arriverà anche per lui, con tutti gli onori del caso.

La tanto decantata programmazione della Juventus ha lo scopo di farci restare in alto e migliorare anno dopo anno, a questo punto l’unico miglioramento possibile è la vittoria della Champions League: riguardate la finale e chiedetevi cosa è mancato, le risposte arriveranno da sole.
* la maglietta che indosso nell’immagine profilo di questo sito porta il numero 19 e il nome BONUCCI

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