Connect
To Top

La maglia bianca e nera

“Quando leggo un quotidiano, sia esso anche di finanza o altro dallo sport, e l’occhio mi cade involontariamente sulla lettera “J” di Juventus, il cuore mi sussulta, ricevendo una grande emozione…”

— Gianni Agnelli

Se c’è una cosa che accomuna molti di noi juventini è proprio quel sussultare nel leggere quella J, una lettera strana, presente nell’alfabeto inglese, ma non in quello italiano. In realtà nel piemontese la lettera j esiste, e proprio la piemontesizzazione della parola iuventus, grafia originale latina, diede vita alla squadra che amiamo, su quella panchina dell’allora Corso Re Umberto a Torino.

È di questi giorni il debutto della nuova maglia, che ha dato una spallata alla tradizione, ancora di più del simbolo che ha sostituito lo scudetto un paio di anni fa.

Ma se il nuovo logo riportava i tre elementi che costituiscono l’essenza del Dna juventino, cioè le strisce bianconere, lo scudetto e la J, tanto cara all’Avvocato, per la maglia è differente.

Il logo è semplice, leggibile, riconoscibile, pensato per essere utilizzato su varie forme di merchandising, dall’abbigliamento sportivo a quello formale, allo streetwear. La Juventus ha associato a sé una lettera, come fatto in passato da Google o McDonald.

“Be the stripes” (siate voi le strisce), dice la didascalia delle immagini che la Juventus ha postato per annunciare il lancio sul mercato delle nuove maglie. Perché di quello, si tratta, del lancio di un prodotto sul mercato.

Una nuova maglia per affrontare un mercato in espansione, soprattutto quello asiatico e quello statunitense, dove sembra che le strisce bianconere non piacciano molto.

A questo punto una domanda sorge spontanea: vale davvero la pena cambiare la tradizione e ledere la suscettibilità dei tifosi in nome delle logiche del mercato?

Proprio in questi giorni Papa Francesco ha detto:

“Come un giovane albero senza radici profonde, cade in balìa della tempesta, così è impossibile che uno cresca se non ha radici forti che aiutino a stare bene in piedi e attaccato alla terra. È facile “volare via” quando non si ha dove attaccarsi, dove fissarsi”.

Ma è questo il mondo del calcio che stiamo vivendo oggi? Un calcio che rinnega le radici, le proprie origini?

Facciamo un passo indietro, a quella panchina di Torino.

Un gruppo di Studenti della terza e della quarta Classe del Ginnasio del Liceo Massimo D’Azeglio, che si ritrovavano nella vicina Piazza d’Armi per giocare a football, sport da poco arrivato dall’Inghilterra, fondarono nel 1897 la Juventus.

La prima divisa sociale, adottata alla fondazione, era bianca con pantaloni alla zuava, ma venne modificata l’anno successivo con l’adozione di una camicia rosa con cravattino (o papillon) e pantaloni neri: per realizzarle fu impiegato il tessuto rimasto nel magazzino del padre di uno dei fondatori della squadra, che commerciava biancheria femminile.

La maglia a strisce verticali bianconere venne introdotta soltanto nel 1903 per iniziativa di Gordon Thomas Savage, il primo calciatore straniero a militare nel club: di ritorno dall’Inghilterra, Savage portò a Torino una muta di maglie del Notts County, più moderne e performanti, e le donò alla Juventus. Da quel giorno, il bianco e il nero diventarono i colori ufficiali del club.

E per tanti anni, le foto di Rosetta, Caligaris, Boniperti, Charles, Sivori, Platini e Scirea ci sono sembrate, pur se chiaramente scattate in tempi differenti (si vede dalla vita alta degli anni ‘50, per esempio), così simili tra loro, come se la divisa della Juve fosse stata sempre la stessa dall’inizio.

Ma è davvero così? Sappiamo benissimo che non lo è, ma i cambiamenti avevano perlopiù riguardato le seconde e terze maglie, mentre la prima era rimasta più o meno la stessa.

Come dice l’amico Nino, la tradizione dice: “La maglia della Juventus è a strisce verticali bianche e nere (la storia ne vorrebbe 11, 6 nere e 5 bianche), alternate, sottili e uguali tra loro. Non è bianca a strisce nere, né viceversa. No a bande larghe, gessature, saette, sfumature.”

Ma la tradizione non è sempre stata rispettata.

Nella prima fase della seconda guerra mondiale, anche il calcio subì uno scossone molto forte. Nelle stagioni sportive 1943-1944 e 1944-1945, il campionato italiano di calcio non venne disputato e venne sostituito da varie competizioni a livello locale, non tutte però ritenute ufficiali.

La nostra Juve era, in quegli anni, una sezione della Juventus O.S.A., polisportiva nata nel 1923 e attiva nei campi più diversi, dall’hockey su ghiaccio al tennis. Nel 1941-42, dopo il Quinquennio d’oro e qualche anno di pausa, la Juve vinse un torneo (la Coppa Italia) sfoggiando una maglia davvero strana.

In seguito, la maglia nera con la grande J sul cuore divenne la cosiddetta “away”, quella usata in trasferta. E per fortuna, la terza non venne quasi mai usata. Eccola:

Già nella stagione 1942-43 la Juventus Cisitalia, cosi ridenominata fino al ’44, affidò la casacca dalla grande “J” solamente al suo portiere.

Negli anni successivi, e per parecchio tempo, la maglia non subì grosse modifiche. Lo scudetto era comparso sulle maglie del Genoa per la prima volta nel 1924-25, per poi essere indossato, con piccole varianti, da qualunque squadra vincesse il campionato.

Certo, da come si nota, iniziarono a comparire altre cose, sulle maglie: gli sponsor.

La pratica delle sponsorizzazioni era stata sempre osteggiata e proibita dalla FIGC, che per molti decenni vietò alle società di “sporcare” le divise da gioco con dei marchi estranei al mondo del calcio; ma qualcuno trovò un escamotage.

Per ovviare al divieto della Federazione, tra i club italiani iniziò a farsi strada la formula dell’abbinamento, consistente nell’affiancare il nome di un’azienda alla denominazione societaria di un club sportivo, unendo le rispettive ragioni sociali.

Precursore di ciò può essere inteso quanto accadde a Torino proprio durante gli anni della seconda guerra mondiale: per proseguire l’attività agonistica in una situazione d’emergenza, e soprattutto evitare ai propri calciatori la chiamata alle armi, Juventus e Torino fecero entrare i loro atleti nei gruppi sportivi delle case automobilistiche cittadine Cisitalia e FIAT, trasformandoli in dei “calciatori-operai” in modo da non farli deportare nelle aziende tedesche, e facendo rispettivamente sorgere i connubi Juventus Cisitalia (1942, come detto) e Torino FIAT (1944), poi sciolti al termine del conflitto.

Durante questi brevi intermezzi, i bianconeri non vissero mutamenti sulla loro maglia, mentre i granata apposero sui petti delle loro casacche, a mo’ di stemma societario, il logo dell’azienda della famiglia Agnelli (chi glielo dice a Ormezzano?).

Comunque, approfittando del vuoto normativo, parecchie squadre, nel dopoguerra, abbinarono il proprio nome a dei marchi, anticipando quello che sarebbe poi avvenuto in seguito: tra gli esempi maggiori, il Lanerossi Vicenza, Simmenthal-Monza, l’Ozo Mantova, il Sarom Ravenna e lo Zenit Modena.

È solo dall’ottobre 1978 che la Federazione consentì ufficialmente l’inserimento sulle divise da gioco di marchi commerciali. Il processo divenne inarrestabile, e nel 1981 la FIGC e le Leghe si videro in pratica costrette ad approvare un documento che apriva le porte del calcio italiano agli sponsor extra settore.

Detto questo, cambiamenti delle maglie della Juve? Minimi. Resistevano le strisce.

Proprio grazie all’ingresso delle sponsorizzazioni, iniziarono ad avere sempre più importanza le seconde e poi le terze maglie: fu proprio in quegli anni che si vide la comparsa di colori ed abbinamenti quanto mai strani.

E se è vero che la prima maglia resisteva (ma qualche cambiamento c’era anche lì), furono le seconde e le terze ad avere i maggiori cambiamenti.

Nel 1983-84 la classica divisa “away” blu scura fu sostituita da una gialloblù, chiaro omaggio ai colori della città di Torino, relegando la blu a terza maglia.

Comunque, tranne che per occasioni particolari, le due maglie rimasero per oltre un decennio quelle: bianconera a strisce la prima, e gialloblù la seconda.

Nel 1994-95 fece il suo esordio la seconda tutta blu con i stelloni sulle spalle, che tante soddisfazioni ci ha regalato (the Champiooooons).

Per il centenario, così come era stato dieci anni prima per il novantesimo anniversario, la terza fu rosa, a ricordare le prime maglie della Juve.

Nel 1997-98, primo sussulto: cambiò leggermente la prima maglia.

Le strisce si allargarono. L’esperimento non piacque, e dall’anno dopo si tornò al classico: una casacca con canonica palatura bianconera che rispolverava dopo tre decenni un aspetto vintage come la numerazione rossa.

L’omaggio al guardaroba juventino del secondo dopoguerra continuò con la seconda divisa che, pur conservando le stelle sulle spalle, in quella stagione ne propose una nuova interpretazione su di un completo “all white” con dettagli neri, rimandando alle mute bianche di cortesia sfoggiate dalla squadra tra gli anni 1950 e 1960. Non accenno alla maglia “away” rossa del 2005-2006, per ovvi motivi di cuore.

Da quel momento in poi, quasi ogni anno c’è stato un restyling della prima maglia. Strisce larghe, strisce strette, pantaloncini e calzettoni bianchi o neri e chi più ne ha, più ne metta.

Sulla seconda maglia, le variazioni più importanti.

Nel 2011-2012, il rosa shocking e la stellona smisurata: una maglia che in teoria non avrebbe dovuto incutere timore negli avversari. Eppure, proprio così i bianconeri hanno inaugurato il loro ciclo vincente.

 

Nella stagione 2016-2017 la prima divisa si discosta per la prima volta dalla tradizione: pur mantenendo la canonica palatura, presenta cinque strisce di grande spessore, tre nere e due bianche; inoltre quelle nere inglobano al centro delle ulteriori striscioline bianche. Il retro dell’uniforme presenta un pannello bianco che ingloba nomi e numeri neri, mentre il resto della divisa prevede, anche qui in contrasto con la tradizione, pantaloncini e calzettoni neri.

Da quel momento in poi, la maglia non è più un oggetto relegato al solo campo, ma uno dei fattori di crescita globale del brand Juventus. Le vendite aumentano, e ogni anno, oltre ad alcuni giocatori, è quasi obbligatorio cambiare la maglia. Fino al cambio epocale: via le strisce, si va al Palio!

A parte le battute, ritengo che un’azienda come la Juventus, alla ricerca di nuove fette di mercato, possa provare tutte le strade. Ma in cuor mio, pur continuandomi ad emozionare, come l’Avvocato, alla vista della lettera J, spero di tornare a vedere quelle famose 11 strisce, 6 nere e 5 bianche, che ho visto addosso ai miei paladini da quando, 40 anni fa, ho iniziato a tifare Juventus.

3 Comments

Lascia il tuo commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Extra

  • Notti magiche vs Notti tragiche

    Sembrava un film già visto milioni di altre volte negli ultimi anni e sapevamo già quale sarebbe stato il finale. Così...

    Robert Fizgerald Galia15 Luglio 2021
  • Storia di un grande amore

    Oggi presentiamo un libro. Un libro sulla Juventus. Un libro sulla storia di un amore, un amore di tifoso. Un tifoso...

    Giuseppe Simone27 Gennaio 2021