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La resa dei conti

Per due volte negli ultimi anni ho vissuto questo periodo in modo assolutamente adrenalinico; i pensieri si accavallavano proiettandosi verso i futuri match scudetto, la finale a Roma e i voli per l’Europa.

Ora, con la prospettiva di quattro mesi pieni di chiacchiere e amichevoli, c’è la possibilità di riflettere serenamente su questa stagione; di farlo soprattutto con ricordi ancora freschi, inserendola opportunamente in un bilancio quinquennale.

Per la prima volta la Juventus allegriana è uscita dalla Champions League affrontando un club inferiore per ranking UEFA e fatturato, su un totale di 13 turni a eliminazione diretta giocati, finali comprese.

Questo dato dà già la misura dell’inequivocabile fallimento rispetto al principale obiettivo stagionale, imposto dal club a Villar Perosa e dalla stessa presenza in rosa di CR7.

Allo stesso tempo suggerisce la dimensione di quanto fatto in questi 5 anni, un lavoro straordinario di tutti per costanza in Italia e per crescita in Europa.

Cambiando tutti gli effettivi nel corso degli anni (tranne Chiellini) ci siamo arresi solo al Barcellona e al Real più forti di tutti i tempi; senza dimenticare naturalmente quel finale a Monaco, in cui a centrocampo si folleggiava con Sturaro, Hernanes e Pereyra.

Il giudizio complessivo di parte dei tifosi sulla gestione tecnica di questo lungo lasso di tempo mi pare perciò ingeneroso.

Si fa risalire la svolta in senso negativo nel “consenso” a seguito del disastroso 2° tempo di Cardiff; in realtà, già nell’anno della rimonta in campionato si avvertivano i primi pesanti mugugni.

Berlino in fondo, oltre all’amarezza della Coppa sfumata, ci ha portato la consapevolezza di essere tornati ai massimi livelli in pianta stabile e con essa la naturale pretesa di restarci.

In aggiunta, il ritorno di un grande classico: l’ossessione da Champions.

La lunghissima astinenza ha alterato in negativo le valutazioni complessive dei sostenitori bianconeri, al di là di quello che dovrebbero essere le ragionevoli aspettative.

Fino a questa stagione, quella della resa dei conti.

Un’annata che doveva essere diversa dalle altre non tanto perché la prima con l’Alieno tra i nostri; quanto per il fatto che, dopo il diktat presidenziale, mi sarei aspettato una programmazione “svizzera”.

Lo scudetto n° 36 fu conquistato coi denti, che il Napoli sarebbe stata un’antagonista straordinaria lo si era capito fin dal luglio precedente; i tempi e il loro gruppo sembravano maturi (e invece).

Pertanto mi è parso perlomeno naturale l’essere arrivati logori nella passata primavera, fisicamente ma soprattutto mentalmente.

Quest’anno, per la seconda stagione consecutiva, no: è inaccettabile.

Il Napoli non ha una solidità ambientale che gli possa consentire di fare più di 90 anni punti in due annate di fila; il colpo subìto l’anno scorso e il mercato presupponevano una loro stagione di transizione; a tutto ciò aggiungerei l’idiosincrasia di Ancelotti per i campionati.

Tutti questi elementi avrebbero dovuto indurre lo staff tecnico a sperimentare già in autunno qualche alternativa tattica (la difesa a 3 ad esempio); qualche riposo forzato in più per i finalisti mondiali Mandzukic e Matuidi; alleggerire il numero di presenze in campo del polpaccio di Chiellini, l’unico vero imprescindibile con Cristiano.

Lasciare qualche punto sul campo nei primi mesi di campionato avrebbe avuto come unica, misera controindicazione, quella di scatenare qualche patetica isteria tra i tifosi.

Bazzecole se paragonate alla possibilità concreta di giocarsi tutto da marzo in una condizione psicofisica ottimale.

Nelle ultime due Champions League vinte dal Real Madrid si è percepito in modo quasi palpabile il loro cambio di marcia a febbraio, dopo una prima parte di stagione deludente.

Quell’essere focalizzati sulla loro priorità che la Juve imita a parole ma senza riuscire a tradurlo nei fatti.

Nella conferenza stampa di Allegri dopo la partita scudetto di settimana scorsa è emerso con chiarezza questo vizio atavico:

“Se non avessimo vinto a Bologna il campionato si sarebbe complicato, si veniva dalla sconfitta di Madrid e c’era Napoli alla successiva, mentalmente poteva diventare tutto più difficile. È stata la partita decisiva.”

Parlava di una vittoria che ha consentito alla Juventus di mantenere un vantaggio di +13.

Più tredici.

Le certezze di un club che sta andando a vincere l’ottavo di fila e la consapevolezza di un gruppo di plurititolati dovrebbero essere meno friabili; non avendo motivo di dubitare delle sensazioni dell’allenatore c’è perciò di che preoccuparsi, in chiave futura, eventualmente.

Correlato a ciò esiste un problema del quale l’allenatore, senza riuscire a porvi rimedio, ha dichiarato di essere pienamente cosciente: ormai da qualche anno, quando si prende gol, capita spesso di andare in barca per un quarto d’ora, a volte di più; un fattore ormai cronicizzato e in peggioramento.

Altra pecca ammessa più volte dal mister è la difficoltà di fraseggio, in diverse partite, a partire da febbraio 2018; l’impressione è che solo quando la squadra è in salute, vedi primi tre mesi di questa stagione, si ha una certa continuità nella fluidità della manovra, che resta comunque troppo Pjanic dipendente.

In relazione a questo aspetto una menzione a parte la merita la vera scommessa persa dall’Allegri 2018/19: il trequartismo di Dybala.

Mi avevano illuso l’applicazione e i miglioramenti dei primi mesi: risucchiato da gennaio nella crisi fisica della squadra non ha più saputo risollevarsi, soprattutto a livello mentale; come se lui per primo avesse smesso di crederci.

Tirando le somme ci sono tutti i segnali di un ciclo finito.

La rosa del prossimo anno, mettendo in conto i rinnovi di Khedira e Mandzukic, non credo vada incontro a significativi stravolgimenti; da questi presupposti una scossa all’ambiente potrebbe essere salutare.

Le dichiarazioni di questi giorni, la situazione nebulosa sulle alternative e lo status contrattuale del mister tendono a rendere molto concreta anche l’ipotesi di una permanenza.

Presumibilmente ritengo comunque probabile una schiarita sulla conduzione tecnica 2019/20 entro una decina di giorni.

Facendo rientrare la delusione per l’epilogo europeo su binari razionali, credo che il club meriti in ogni caso il massimo appoggio per quanto ha saputo costruire in questi anni

ll Presidente troverà la soluzione migliore possibile in merito alla guida della squadra del prossimo anno, per vivere assieme un’altra Juventus fantastica.

La sua ambizione è la nostra, vincere tutto.

L’unica cosa che conta.

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