

La storia dell’umanità, fin dal suo inizio, è stata basata sui dualismi. Luce e Ombra, Angeli e Demoni, Amore e Odio. Gli uomini, con il passare dei secoli, hanno provato a influenzare altri uomini nella dicotomia più “potente” tra quelle, e cioè quella tra il Bene e il Male. Chi muoveva (muove?) guerra era Bene nella propria propaganda, e Male nella percezione di chi la guerra la subiva. Chi con quelle guerre si arricchiva (arricchisce?), era Bene o Male, a seconda dello schieramento. Ma è solo così? Cioè, o stai da una parte o stai dall’altra? O è possibile che esista una terza, o una quarta strada (o quinta, sesta…)?
Negli ultimi anni, soprattutto dagli anni ’90 in poi, periodo in cui il processo di globalizzazione ha avuto una forte accelerazione, a me pare che il confine tra i due suddetti “bene” e “male”, si sia fatto sempre più confuso e indistinto; su molte questioni è possibile argomentare in un senso o nell’altro senza per questo sembrare “schierati” in senso assoluto. E, viceversa, non si può esprimere un’opinione senza essere tacciati di appartenere a un determinato schieramento. Più è basso il livello dello “scontro”, più quel confine si assottiglia e diventa indefinito.
Negli ultimi giorni, quasi a farci dimenticare che siamo nel mezzo di una pandemia che dura da più di un anno e che conta circa 146 milioni di casi e oltre 3 milioni di morti nel mondo, tutti, ma proprio tutti (giornalisti, politici, cantanti, attori, comici, tifosi e non tifosi) hanno sentito l’irrefrenabile, inarrestabile, incontrollabile e incontenibile esigenza di dire la propria sull’argomento del momento, la Superlega, anche senza che venisse chiesta loro un’opinione (e la maggior parte di loro non sapeva neanche di cosa stesse parlando). Chi ha ragione? Chi torto? È proprio vero, come dicono tanti, che la Superlega è il Male? O come dicono altrettanti, che è il bene? Proviamo a capirlo.
Prima di partire, vi racconto una storia di una ventina di anni fa. Intanto inquadriamo la situazione di allora, che era molto diversa da oggi. Dalla fine degli anni ‘90 i mercati dei paesi più industrializzati videro un rapido aumento del valore delle aziende attive in Internet. Il periodo fu caratterizzato dalla fondazione e dai successivi fallimenti di tantissime aziende nel settore informatico, che venivano chiamate, per brevità “Dot-com” (punto-com, dal suffisso usato dai domìni).
Era una sorta di bolla speculativa. Che, come tutte le bolle, prima o poi esplode. Tra il 1995 e il 2004 la metà delle aziende del settore fallì, fu assorbita da aziende più grandi o vide comunque ridursi drasticamente le proprie quotazioni. Rimasero a galla solo i colossi (Apple, Amazon, eBay, e così via). Nonostante già si parlasse di bolla pronta a esplodere, tra il ’99 e il 2000 le offerte per la trasmissione di sport su internet erano ancora altissime. Tanto per fare un esempio, la massima serie italiana di pallacanestro ebbe un’offerta di circa 50 miliardi di lire per i diritti triennali di trasmissione delle partite.
Quella cifra, comparabile a circa 35 milioni di euro attuali, è comunque 25 volte superiore a quanto la Serie A di basket prende ATTUALMENTE per i diritti tv (1,5 mln circa). Nonostante la tentazione fosse forte, la Lega di Basket italiana rifiutò l’offerta. Proprio in quel periodo, la FIBA (Fédération Internationale de Basketball, unico organismo di governo della pallacanestro mondiale riconosciuto dal CIO, Comitato Olimpico) stava accentrando lo sfruttamento dei diritti di marketing e TV per il massimo campionato continentale, l’Eurolega.
Il 23 gennaio 2000 i rappresentanti delle Leghe spagnola, italiana e greca (e qualcun altro) firmarono un documento che al punto 1 recitava:
“I club sono in disaccordo con il progetto di modifica dell’Eurolega presentato da FIBA”.
Non solo: non riconoscevano più la FIBA come elemento trainante del basket, ma bensì l’ULEB (Union des Ligues Européennes de Basket-ball), lega privata creata da francesi, spagnoli e italiani una decina di anni prima. L’ultimo punto di quel documento chiariva che i club pretendevano una diversa gestione dell’Eurolega, e che tutto ciò non era un tentativo di togliere a FIBA la gestione del basket mondiale. Dopo un batti e ribatti tra FIBA e ULEB, il 9 giugno del 2000 i più importanti club (quattordici, di cui tre italiani) e le suddette tre federazioni si dichiararono indipendenti dalla FIBA nell’organizzare un torneo continentale, che chiamarono Eurolega, perché quei furboni della FIBA non avevano registrato il nome.
La FIBA non si arrese e spinse perché le Federazioni sospendessero da ogni manifestazione internazionale ufficiale i club ribelli, varando una nuova coppa continentale, che chiamò Suproleague, alla quale aderirono 16 club, tra i quali Maccabi, Efes Pilsen, CSKA e Panathinaikos.
“Il movimento a cui ULEB ha dato vita è un evidente tentativo di destabilizzare il corrente modello sportivo in Europa. Come tale, non si limita al solo basket. Il Bureau sente dunque ancora più forte la propria responsabilità di governo del basket in Europa, e conferma che userà tutto quanto è in suo potere per mantenere in essere questo modello. Nello stesso tempo muoverà subito i passi necessari per dare vita a un movimento comune tra tutte le discipline e le autorità politiche in ogni paese europeo, per informare della minaccia che rappresenta la filosofia ULEB e per potenziare il ruolo di tutte le Federazioni nazionali e internazionali”
sostenne la FIBA.
La ULEB non si fece intimidire, anzi. Trovò lo sponsor, una compagnia telefonica spagnola, “Telefònica”, che offrì 35 milioni, per contrastare lo sponsor della FIBA, che al tempo era “International Sports and Leisure”, che offriva 20 milioni. Si tennero i due tornei, ma alla fine ULEB, grazie all’abbandono e al fallimento del main sponsor di FIBA, che pagò molto meno di quanto pattuito, si allargò anche agli altri club.
Non mi voglio addentrare troppo, ma la motivazione principale dei “dodici”, anche se a prima vista sembrava fossero solo ed esclusivamente i soldi, si vide chiaramente che non era quella. Intanto, nei criteri di partecipazione c’erano anche altri fattori presi in considerazione, come gli impianti sportivi, la sostenibilità economica del club, ed era molto meno elitaria di quel che sembrava. O, almeno, all’inizio era così.
Dal 2009 la proprietà del torneo è in capo all’Euroleague Commercial Assets (ECA – che fantasia negli acronimi, nda), una società a sua volta proprietà di 11 club (Anadolu Efes, Baskonia, CSKA Mosca, Barcellona, Fenerbahce, Maccabi, Milano, Olympiacos, Panathinaikos, Real Madrid e Zalgiris) con l’ULEB rimasta azionista di minoranza. L’Eurolega ora è davvero una competizione dei club più forti economicamente. E se nel 2016 ha cambiato formato è perché la FIBA è tornata a farsi viva dopo 15 anni di silenzio, creando una sua competizione e minacciando sanzioni verso squadre e giocatori che avrebbero aderito all’Eurolega (vi ricorda qualcosa?)
Volendo vedere cosa è cambiato dal 2000, l’Eurolega non ha cambiato le tendenze già esistenti nei vari campionati e non ha modificato gli albi d’oro. Quelle che erano le squadre forti nel secolo scorso sono rimaste quasi tutte (forti), quelle che erano le outsider, idem. Sul campo il torneo è avvincente, a tratti entusiasmante. Dal lato dell’organizzazione, al contrario, ci sono lacune che vanno affrontate in tempi stretti. E l’ECA sta lavorando per modificare i criteri, perché anche il basket, come gli altri settori economici nel mondo, deve affrontare le conseguenze di una stagione e mezza di pandemia con i palazzetti vuoti.
Ora faccio un po’ il cronista e racconto le 48 ore più strane degli ultimi tempi.
Domenica 18 aprile scorso, su un noto quotidiano sportivo con sede a Roma è uscito un articolo in cui si annunciava l’imminente formazione di una superlega a 16 squadre, ma visto che era l’ennesimo articolo sull’argomento, pochi si sono agitati. Di quel “fantomatico” campionato ne aveva parlato Costantino Rozzi nel 1979, Berlusconi nel 1988, Giraudo nel 1995, Rummenigge nel 2016 e Andrea Agnelli ogni tanto lo accennava quando andava a parlare all’ECA (stavolta è quella che conosciamo meglio, cioè la “European Club Association”), quindi era un discorso che periodicamente veniva riproposto.
Nella sonnacchiosa giornata domenicale, tra una notizia sulla pandemia e una sul campionato in corso, il tamtam iniziava ad aumentare e sui social si moltiplicavano le indiscrezioni. Quindi stavolta forse non era una bufala. Poco prima della mezzanotte esce il comunicato di 12 squadre, nel quale annunciano l’accordo per la nascita di una nuova competizione calcistica infrasettimanale alla quale parteciperanno in totale 20 club, 15 di diritto in quanto fondatori e 5 da stabilire con un meccanismo di qualificazione dai campionati nazionali.
Le squadre erano Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid, Juventus, Milan, Inter, Arsenal, Chelsea, Liverpool, Manchester City, Manchester United e Tottenham, alle quali avrebbero dovuto aggiungersene altre tre. Agnelli ovviamente si dimette dalla carica di Presidente dell’ECA, assumendo invece quella di vicepresidente della Superlega, presieduta da Florentino Perez, numero uno del Real Madrid e promotore della rivoluzione.
Ovviamente dalla mezzanotte si scatena il putiferio, sia perché è una notizia bomba, sia perché molti iniziano a rilasciare dichiarazioni. La mattina dopo cominciano a susseguirsi senza soluzione di continuità le dichiarazioni ufficiose delle varie federazioni. FIFA e UEFA, interpellate, iniziano a minacciare sanzioni, dalla possibilità di escludere i club fondatori della Superlega dalle competizioni internazionali, ma anche da quelle nazionali e inoltre all’esclusione dei calciatori (dei club coinvolti) dalle competizioni come Europei e Mondiali.
Martedì pomeriggio, dopo un susseguirsi di dichiarazioni da parte dei politici dei tre paesi coinvolti, i club inglesi, anche a causa di manifestazioni di piazza di alcuni tifosi, iniziano a vacillare. Dal giornale spagnolo “Mundo Deportivo” giunge l’indiscrezione secondo cui i club inglesi avrebbero subito pressioni dall’Uefa, che avrebbe promesso loro remunerazioni più alte. L’indiscrezione viene affiancata da un’altra notizia, cioè quella che l’Uefa stava lavorando a una partnership con un fondo inglese (per un totale di sette miliardi).
Martedì sera arrivano i comunicati delle squadre inglesi, che annunciavano di essersi sfilate dal progetto. Nello stesso momento iniziano a circolare indiscrezioni sull’addio anche di Milan e Inter. Alla mattina di mercoledì 21 arrivano i comunicati dei due club milanesi che si dicono non più interessati al progetto e a quel punto anche la Juventus dirama un comunicato tramite il quale afferma che non ci siano sostanzialmente le condizioni affinché nasca la Superlega.
Quello che ha colpito gli osservatori “imparziali” è stata la veemenza della reazione, e soprattutto la dicotomia, e qui arrivo all’introduzione di questo pezzo, tra i “buoni” della Uefa e i “cattivi” della Superlega. Tutti, anche quelli che di economia o calcio, o di entrambi, non capiscono niente, hanno detto frasi contro la Superlega, senza sapere cosa fosse.
Già, perché la Superlega, in quelle 48 ore, ha spiegato poco o niente sul progetto. E l’errore è stato proprio quello, prettamente comunicativo. Ma attenzione a non fare lo stesso errore della maggioranza delle persone, che, imboccate da quotidiani e media nazionali, hanno iniziato a urlare: “il calcio è del popolo!”.
Ma perché, il basket non lo era? Eppure, non mi pare che né nel 2000, né tantomeno nel 2016, i tifosi della palla a spicchi, che pure sono tanti (una goccia nel mare, rispetto ai tifosi del calcio, ma comunque un bel po’), non abbiano protestato con questa veemenza. E l’attuale Eurolega di basket, ripeto, è molto più elitaria della fantomatica (perché a questo punto è rimasta, per ora, solo un’idea) Superlega di calcio.
Allora perché questa reazione così veemente? E perché Maldini, direttore tecnico del Milan, si è affrettato a dichiarare:
“Vorrei precisare che non sono mai stato coinvolto nelle discussioni che riguardavano la Superlega, l’ho saputo domenica sera come tutti gli altri. Si è deciso a livelli più alti nella nostra società ma questo non mi esenta dallo scusarmi nei confronti dei tifosi, non solo quelli del Milan ma in generale. Questo è ciò che voglio dire. È anche normale che un dirigente nel 2021 sappia che i ricavi siano importanti. Ci dobbiamo chiedere cosa possiamo imparare da questa vicenda?”
Sarà vero? E allora di cosa hanno discusso nel consiglio di Lega di Serie A del 16 febbraio scorso (due mesi prima)? Il “Sole 24 Ore” ha infatti svelato i suddetti verbali dove il direttore delle competizioni, Andrea Butti, ha illustrato in Lega Calcio il progetto Superlega e nuova Champions (quella a 36 squadre che partirà nel 2024), pesandone i pro e i contro. E nel progetto del Mondiale per club della FIFA (e quindi Infantino sapeva tutto) i club europei sarebbero arrivati dalla Superlega e non dalla Champions.
Insomma, la Superlega non è stato un fulmine a ciel sereno e i club della Serie A sapevano tutto da tempo, quale fosse la formula e anche che la Superlega si poneva come alternativa alla Champions, senza occupare spazi e date delle competizioni nazionali. Anzi. Avrebbe dato più spazio a squadre che l’Europa (da sempre) l’hanno vista solo dal salotto di casa. Già, perché se Inter, Juventus e Milan andassero in una competizione a sé, ci sarebbe posto per altre squadre in Champions. Con un guadagno per tutti.
Gli stadi devono essere migliorati, per la sicurezza di tutti: ma senza soldi, come si fa? Il livello degli arbitri deve migliorare, ma come creare un’accademia per arbitri senza soldi? I settori giovanili rappresentano il sale del calcio, ma come si fa senza soldi? Ci rendiamo conto che la metà delle squadre semiprofessionistiche o dilettantistiche rischiano il fallimento? Senza soldi come fanno?
E smettetela di parlare di “calcio dei tifosi”. Perché alla UEFA e alla FIFA, dei tifosi, non importa un fico secco. A loro importa SPARTIRSI i soldi degli sponsor. Esattamente come volevano fare i cattivi, avidi, maledetti fondatori della Superlega. Con una mission diversa, però: creare un calcio nel quale, mantenendo la passione, l’atmosfera romantica e il bello del calcio amatoriale, dilettantesco, semiprofessionistico e professionistico, gli si affianchi uno spettacolo, come quello che, oggi come oggi, si vede in Champions (o ai Mondiali) solo dai quarti di finale in poi.
Ecco perché la Superlega rappresenta un passaggio sicuramente parziale e perfezionabile, ma che si può e si deve fare.