Finalmente è finita. Questa pagliacciata è finalmente giunta all’epilogo con il deposito, avvenuto nei giorni scorsi, della motivazione inerente il procedimento ordinario (ne avevamo accennato all’indomani dell’udienza). Chi scrive si è tolto la toga di dosso, facendosi guidare soltanto dalla logica, ammesso che ce ne sia una in questa storia di malagiustizia.
Un dato preliminare non può sfuggire: il tempismo con il quale sono state rese pubbliche le argomentazioni della Terza Sezione Penale; ovvero, il giorno seguente al deposito della motivazione proveniente dal Tribunale di Milano sull’affaire Gianfelice Facchetti – Moggi, incentrata sui “comportamenti poco commendevoli” dell’allora presidente nerazzurro nei riguardi della classe arbitrale.
Leggendo le 139 pagine del verdetto si ha l’ennesima conferma che, anche qualora ci fossero stati ulteriori gradi di giudizio, non sarebbe cambiata mai una virgola, perché tutto, in realtà, era già scritto dal primo momento. Il teatrino andato in scena in questi anni è servito solo da corollario ad uno schema predefinito, oltre che a far scemare l’interesse dei forcaioli della prima ora rispetto a tutto quanto era stato scoperto strada facendo. Ma tant’è.
D’ora in poi la vulgata popolare sarà “l’ha detto la Cassazione” (i pennivendoli di determinati quotidiani nonché il popolino cieco e beota cinguettano così da qualche giorno).
La Suprema Corte con questa pronuncia ha ulteriormente rinsaldato i capisaldi accusatori, rendendoli ormai inattaccabili, sui cui questa vicenda poggiava. Se non è bastato il decreto di archiviazione del GIP di Reggio Calabria a stabilire che Paparesta giammai veniva rinchiuso nello spogliatoio, allora serve a nulla continuare a discuterne.
L’estensore asserisce che l’associazione operava sotto traccia già dal 1999/2000. Sappiamo tutti, però, che quella è la stagione dello show perugino di Collina il quale permise alla Lazio di vincere il suo secondo scudetto. L’anno dopo il tricolore passa sulle maglie della Roma e nel 2004 è la volta del Milan. Quindi l’associazione operava per far vincere anche i diretti concorrenti (oltre che acerrimi nemici, giallorossi e rossoneri in testa)? Eh ma l’ha detto la Cassazione.
In un passaggio della sentenza, per sorreggere e dar credito l’impianto accusatorio, vengono richiamate alcune testimonianze, tra cui quella del signor De Cillis. De Cillis? Cioè proprio quel signore che è stato rinviato a giudizio per falsa testimonianza nel dibattimento di primo grado? Sì, proprio lui.
Ancor più “allarmante”, per la certezza del diritto indipendentemente dalla vicenda in esame, è la credibilità che viene riconosciuta alla deposizione di Fabio Monti (colui che, chiesto dalla dottoressa Casoria in primo grado, rispondeva di non essere tifoso dell’Inter) il quale aveva appreso del sistema illecito ideato da Luciano Moggi direttamente da Giacinto Facchetti; notizie poi confermate (addirittura) dal di lui figlio Gianfelice. Ci sono domande?
Molto scalpore ha suscitato l’affermazione relativa all’estremo potere che Moggi esercitava sui media. A tal proposito un plauso va fatto a Fabio Ravezzani, l’unico che abbia avuto la dignità di dissociarsi e ribellarsi a questa onta, certificando in prima persona come in quegli anni di tutto si poteva dire della Juve, non certo che fosse protetta da giornali e tv. Ad ogni modo, si diceva dei giornalisti assoggettati al potere del DG; ebbene, i “processati” (due, Scardina e Venerato, alla faccia della sottomissione diffusa e generalizzata) ovviamente sono stati mandati assolti già in primo grado.
Com’era l’incipit di questo articolo? Ah già, “l’ha detto la Cassazione”. La stessa corte che, in relazione all’imputazione di cui al capo Q) della rubrica – riferito all’incontro Juve-Udinese del 13.2.2005 -, menziona De Santis come direttore di gara designato, in quanto “vicino” all’ex dirigente bianconero. Peccato che detta partita veniva arbitrata da Rodomonti, assolto insieme ai suoi assistenti già nella fase di merito. Si rammenta, in questo caso, che il fischietto romano è stato condannato in via definitiva e per due gare che nemmeno riguardavano la Juventus.
Un ulteriore inciso della motivazione merita attenzione, specie per i riflessi che potrebbe avere sul ricorso che la società bianconera ha depositato presso il TAR del Lazio avente ad oggetto la richiesta danni a carico della Federcalcio (i famosi 444 milioni).
Il “palazzaccio” respingeva la tesi della difesa in virtù della quale, avendo la giustizia sportiva prosciolto Moggi dall’accusa di illecito, lo stesso non poteva, di conseguenza, essere condannato per la corrispondente figura penale, ovvero la frode sportiva.
Sostengono gli ermellini, tuttavia, che, nel processo da poco conclusosi, i giudici di merito avevano potuto valutare un ben “più ampio e diverso materiale probatorio”. Come dire: “se anche i giudici sportivi avessero valutato le carte che abbiamo noi, il risultato sarebbe stato diverso”. Con questo macigno, sarà molto molto difficile che la società di Corso Galfer possa vedere soddisfatte le proprie richieste.
Resta l’amaro in bocca, poteva essere scritta una storia diversa ma così non è stato. Resta la sensazione di un vuoto giuridico ed umano difficilmente colmabile da parte di chi questa vicenda l’ha vissuta e subìta sulla propria pelle.
Un’ultima considerazione per quelli che “l’ha detto la Cassazione”: anni fa la corte assolveva l’imputato dall’accusa di stupro in considerazione del fatto che la vittima indossava i jeans, ritenuti elemento da cui dedurre che quest’ultima dovesse essere per forza di cose consenziente.