Partiamo subito da un dato inconfutabile: non c’era bisogno di imbastire un processo (mediatico, of course) per accertare che l’ex direttore generale della Juventus, Luciano Moggi, giammai diffamò Giacinto Facchetti allorquando, partecipando alla trasmissione televisiva “Notti Magiche” in onda su Sportitalia nell’ottobre del 2010, rivolgendosi a Javier Zanetti, gli riferì che il suo presidente dell’epoca “brigava” con i designatori arbitrali al fine di ottenere trattamenti di riguardo, per così dire.
In seguito a quelle dichiarazioni, Gianfelice Facchetti querelò l’ex dirigente bianconero, sostenendo che le stesse non fossero veritiere, avendo come unico fine quello di “sporcare” l’immagine del defunto genitore e farlo apparire agli occhi della collettività alla stregua di un truffatore.
Se vivessimo in un paese normale, una vicenda simile sarebbe stata immediatamente archiviata, in quanto alla Procura sarebbe bastato richiedere copia degli atti processuali al Tribunale di Napoli – segnatamente, le trascrizioni delle conversazioni ritrovate dalla difesa – e verificare che, quanto asserito da Big Luciano, era assolutamente oggettivo e documentato.
In Italia, tuttavia, la giustizia di “normale” non ha assolutamente nulla e così, pur in assenza di elementi in grado di sostenere l’accusa in dibattimento, il Pubblico Ministero otteneva il rinvio a giudizio al termine del quale, in sede di discussione, chiedeva la condanna perché “il sistema Moggi ha tradito e minato alle fondamenta l’essenza del calcio e non è possibile attribuire a persone terze la realizzazione di questo sistema”.
Figurarsi poi se, pur di trovare un appiglio al nulla cosmico, non si travisavano i fatti: oggetto del procedimento, infatti, non era la teoria del “così facevan tutti”, come inteso dalla Procura, ma accertare unicamente se quelle frasi avessero un contenuto ingiurioso.
Il Tribunale, dopo una breve camera di consiglio, statuiva che questo processo “non s’aveva da fare” perché il “fatto non costituisce reato”. Moggi non diffamava Facchetti quella sera; Moggi diceva soltanto la verità. E che stava dicendo la verità, lo acclarava indiscutibilmente, ironia della sorte, il procuratore federale Palazzi nella sua relazione del luglio 2011 allorché, sia pure a prescrizione ormai decorsa, contestava agli onesti per eccellenza ipotesi di illecito sportivo.
Chiaro che, come al solito, occorre attendere il deposito della motivazione per capire quale sia stato il percorso logico – giuridico che ha guidato il Giudice nell’emissione del verdetto assolutorio, ma è pacifico come quest’ultimo possa avere una portata devastante sulle (ormai fragili) posizioni preconcette che ancora numerosi media si ostinano a presidiare. Basti considerare, al riguardo, come diverse testate (e testoni) si siano affrettate a precisare – cercando di sviare, al solito, l’opinione pubblica – che Moggi avesse, in realtà, vinto la causa per diffamazione di Gianfelice!!
In linea teorica, la sentenza odierna aprirebbe al direttore la strada della querela per calunnia nei confronti di Facchetti jr anche se, crediamo, non verrà percorsa perché gli obiettivi – molto più importanti – sono altri, ovvero ottenere l’annullamento della radiazione sportiva; certamente la sentenza milanese è un punto favorevole importante in questo percorso, così come lo può essere per la società in vista dell’eventuale procedimento di revisione della farsa (sempre più smascherata) celebrata nel 2006.