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L’uomo più furbo

Mi perdonerà Max Gazzé se prendo in prestito il titolo di una sua canzone per introdurre un discorso su una certa categoria di persone che svolge un certo lavoro, partendo da un signore che possiede due delle tre maggiori testate giornalistiche sportive italiane. Roberto Amodei, di cui ignoro faccia e aspetto, è l’editore che porta in edicola e sui nostri dispositivi elettronici il lavoro dei giornalisti del Corriere dello Sport e di Tuttosport e si presta benissimo all’appellativo di “uomo più furbo”. L’editore, infatti, utilizza a mo’ di jolly un suo uomo di fiducia, o così mi pare di intenderlo, spostandolo da una delle sue creature all’altra in base al momento. Paolo De Paola, infatti, ha da poco lasciato la direzione del giornale romano per tornare a sedere sulla poltrona principale della redazione torinese e si è portato, in valigetta, la smania di dirigere il giornale assecondando l’umore della piazza. In questi anni di rivalità tra la Juventus e due delle società che portano maggiori lettori al Corriere dello Sport (Napoli e Roma) il Masaniello della carta stampata ha condotto quella testata nell’unico modo che sembra conoscere: aizzando i tifosi. Inutile stare a ricordare, chi se li scorda più, tutti i titoli e gli editoriali in cui chiedeva maggior “rispetto” per quelle tifoserie auto-proclamatesi “Martiri dello strapotere settentrionale” fingendo di ignorare pagine e pagine di scandali che avrebbero dovuto sancire delle calciopoli molto più sostanzione e corpose di quella poi realmente imbastita sul nulla o poco più. Ricusazioni di arbitri, moviole parziali, fuorigioco dalla gravità a targhe alterne, titoli opposti per le edizioni regionali e chi più ne ha più ne metta, il campionario degli anni depaoliani al giornale romano è un coacervo di tutto quello che un grande direttore non dovrebbe mai fare.

Per dei motivi che a me cominciano a sembrare sempre più chiari “l’uomo più furbo” mette in tasca a De Paola il biglietto di ritorno sulla tratta Torino-Roma. Da subito si delinea la nuova linea editoriale di Tuttosport, ben precisa: dagli all’allenatore. De Paola deve aver annusato il profumo della nostalgia che buona parte della tifoseria juventina nutre nei confronti di Antonio Conte o, più semplicemente, l’amore mai sbocciato tra questi tifosi e Max Allegri. Non so se questa strategia pagherà in termini di tiratura e visualizzazioni e sinceramente non mi interessa. Quello che mi sta più a cuore è lo stato di salute del giornalismo sportivo, del perché questo mestiere così affascinante si sia ridotto a semplice cassa di risonanza di tutto il carrozzone. L’unico obiettivo che il giornalista sportivo di oggi sembra perseguire è quello di stuzzicare la parte morbosa del tifo e non più informare i propri lettori.

Lasciamo la carta stampata e passiamo a quegli altri furbacchioni della televisione, quelli che fanno pagare una retta mensile per vedere le partite (un paio d’ore di sport vero) e, nel resto del tempo, fornire le più disparate amenità, spacciandole per notizie, dalle principali sedi di allenamento: gli afflati di Berlusconi e le visite a Milanello in elicottero, le peripezie amorose di Icardi, le trattative di Sabatini, gli spifferi dallo spogliatorio di Vinovo sempre più unito nel chiedere la testa di Allegri eccetera eccetera. Tutti aspetti marginali, superflui, finanche stupidi, quando non inventati, di un mondo sportivo che sta vivendo, invece, uno dei momenti più traumatici della sua storia e che chiederebbe ai giornalisti di focalizzare l’attenzione su questi problemi essenziali piuttosto che le frivolezze.  Il calcio, infatti, è al centro del mirino degli inquirenti praticamente in tutto il mondo. Andiamo con ordine, citando solo le questioni principali:

  • La Fifa ha messo al bando, già da un anno, i Fondi di investimento e le proprietà terze sui cartellini dei calciatori. Il calciomercato, infatti, vive una vera e propria rivoluzione (o restaurazione, fate voi) con dirigenti alla ricerca di un sistema che aggiri questi divieti.
  • La stessa organizzazione mondiale del calcio è stata decapitata del suo gerontologico management con un’operazione dell’FBI dopo aver quest’ultima scoperchiato un sistema di corruzione che, a quanto pare, avrebbe truccato l’assegnazione dei prossimi due campionati del mondo e forse qualcuno precedente, per non parlare delle tangenti e dei giochi di potere messi in atto per mantenere i posti di comando.
  • Il movimento calcistico italiano ha visto la costante espansione di Infront, la multinazionale oggi in mano cinese la cui filiale italiana tiene a galla diverse società.
  • Gli stadi italiani, salvo pochissime eccezioni, sono sempre più desolatamente vuoti e continuano ad essere svuotati da una classe dirigente preoccupata solo e soltanto di mantenere alti gli introiti dai broadcaster televisivi (ops…) fregandosene del resto.
  • Sul calcio-scommesse è calato il silenzio e così sarà fino alla prossima estate.
  • Sulla riforma dei campionati e sul futuro della Lega Pro nulla si sa e tutto va ben, madama la marchesa…

In questo mondezzaio in cui è finita una delle industrie principali al mondo, quella del divertimento da football, i giornalisti nostrani di cosa si occupano? Dell’acconciatura di Balotelli, dei malumori di Mertens e fidanzata, dei viaggi infrasettimanali di Pogba e dei disegni dorati sulla testa, il più coraggioso muove delle critiche alla campagna acquisti di Galliani, i più preparati parlano di tattica, i più vecchi raccontano, magnificamente ci mancherebbe altro, belle storie del passato. Il giornalismo ha praticamente abdicato a quel compito che da sempre ne costituiva la ragion d’essere: il lavoro di inchiesta.

Ci sono delle eccezioni, ovviamente. Oliviero Beha raccoglie e racconta con onestà, da quarant’anni, le porcherie del pallone. Pippo Russo tiene una rubrica fissa e ci aggiorna costantemente sui movimenti sotterranei del “nuovo” mercato di uomini, Fulvio Paglialunga non lesina particolari nel diagnosticare lo stato comatoso del calcio italiano. Potrei citarne altri ma la lista completa non sarebbe comunque molto più lunga. L’aspetto curioso, ma non più di tanto, è la caratteristica comune a tutti questi giornalisti: nessuno di loro lavora per uno dei tre maggiori quotidiani sportivi né per una delle due pay-tv né, figuriamoci, per la televisione di Stato. L’uomo più furbo, allora, non è solo Amodei. C’è un problema di fondo che andrebbe affrontato e risolto, dai diretti interessati prima di tutto.

Se spostiamo il nostro punto di osservazione di questo quadretto familiare, allontanandoci per ottenerne uno sguardo d’insieme, notiamo facilmente la circolarità viziosa di tutto il contesto. I personaggi della storia e le varie componenti istituzionali si foraggiano a vicenda e diventa sempre più difficile, per chi vuol restare all’interno del meccanismo, rompere il silenzio sul mega conflitto di interessi venutosi a creare tra sponsor, istituzioni, società sportive, federazioni e, appunto, giornalisti. Il business nel calcio ha cancellato ogni parvenza di sport, l’obiettivo principale di molte società non è più rimpinguare il palmarès ma assicurarsi l’ingresso in Champions League, costi quel che costi. I proventi dei diritti televisivi, principale entrata di moltissime squadre europee (punto percentuale più, punto percentuale meno) hanno raggiunto cifre tali da essere una voce imprescindibile del bilancio. Questo significa, lo capisce anche uno stupido, dare un potere molto significativo a chi, quei soldi, li investe. E non parlo solo del potere di decidere data e orario delle partite, problema in realtà minore, ma soprattutto della crescente disparità creatasi tra squadre di primo livello e le altre in uno sport in cui le gare partono da 0-0 solo sulla carta.

Il caso italiano, inoltre, pone l’attenzione su un altro aspetto, davvero incredibile. Abbiamo la società procacciatrice di introiti (detta “advisor” perché a dirla in italiano è più difficile nascondere la magagna) per conto della Lega calcio, la tanto discussa Infront, finita anch’essa sotto la lente di ingrandimento della Procura milanese per turbativa d’asta e altri presunti reati. E già questo avrebbe dovuto scatenare i segugi dell’informazione e spingerli ad andare a fondo alla questione, ma non è tutto qui. La faccenda si fa ancora più complicata quando si viene a sapere che la suddetta Infront ha contribuito a sanare i bilanci di alcune squadre professionistiche (Bari e Genoa, per ora) che rischiavano di non potersi iscrivere ai campionati immettendo nelle esangui casse societarie molto denaro, giustificando l’operazione come “anticipo di future sponsorizzazioni.” La puzza di bruciato di cui sopra diventa un rogo degno della “focara” di S. Antonio a Novoli quando guardiamo al C.V. dei dirigenti di Infront Italy, la loro provenienza lavorativa e la loro vicinanza al Presidente Ombra di Lega Calcio, nonché Amministratore Delegato del Milan, nonché braccio armato in campo calcistico del proprietario di Mediaset. Una matassa, di cui ho elencato solo i nodi principali, che darebbe lavoro ad una redazione per almeno un paio d’anni, e invece… tutto tace.

Molti di quei denari di cui sopra, inoltre, passano attraverso il magico mondo della pubblicità e molte sponsorizzazioni tengono in vita giornali e canali televisivi ovvero pagano lo stipendio ai giornalisti. Per non parlare di quelle testate che sponsorizzano direttamente una competizione (il Giro d’Italia) o sono legate da accordi commerciali ad una squadra (Gazzetta dello Sport e Inter) o una intera Federazione (Figc e Corriere dello Sport/Tuttosport o FIGC e Fiat), o appartengono in maniera diretta alle proprietà (la succitata Mediaset ma non possiamo certo dimenticare le pesanti influenze di Exor in Sky, La Stampa, RCS).

In tutto questo turbinio di legami, intrallazzi, interessi comuni e pericolose vicinanze a cosa verrebbe ridotta la libertà di movimento di un (molto ipotetico) giornalista che volesse occuparsene? Non è affatto un caso che, allo scoppio dei bubboni (e cominciano ad essere davvero tanti), molte redazioni si siano limitate alla lettura di scarni comunicati o alla pubblicazione di resoconti parziali che, al confronto, un bollettino meteo è un’indagine approfondita e corposa. Non è umanamente pensabile, ad oggi, che un qualsiasi direttore sguinzagli un cronista su fatti che avrebbero come conseguenza quella di chiudere i pochi rubinetti che garantiscono allo stipendio di affluire sul conto in banca.

E qui arriviamo al punto finale, quello che tocca direttamente noi tifosi e lettori, ultimo anello della catena alimentare dell’uomo più furbo. Fin quando fruitori più o meno consapevoli faranno finta di girarsi dall’altra parte pur di non rompere il giocattolo con cui preferiscono trastullarsi, sarà ingenuo aspettare un filantropo che, per amore di purezza sportiva, investa i propri soldi per dare vita ad una redazione che indaghi sul monumentale, gigantesco, immane giro di soldi che muove il circo del calcio, sia al suo interno che da un asset all’altro di tutta la multinazionale del pallone.

Dato che “l’uomo più furbo” sembra invece cavalcare la tendenza opposta di noi tifosi e consumatori, quella di inventare un nemico da combattere o un capro espiatorio da accusare e che, soprattutto, distragga dal problema reale, forse sarebbe il caso di cominciare a cercare e alimentare quel barlume di vero giornalismo che ancora brilla, di una luce molto fioca, nello sconfinato mondo del giornalismo sportivo.

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