Ci eravamo lasciati esattamente un anno fa, a dire il vero trecentosessantasette giorni fa, visto che l’anno scorso abbiamo giocato il venti di maggio e febbraio duemilasedici ha contato un giorno in più. Quanti numeri… Eppure a mente ne teniamo uno soltanto: dieci. La decima. Dieci volte abbiamo vinto la Coppa Italia e proprio quest’ultima l’abbiamo tanto desiderata, sognata, voluta e alla fine sollevata al cielo dell’Olimpico. La società decise di non apporre sulle maglie la famosa stella d’argento celebrativa ma poco è importato a noi tifosi. Vincere era ed è l’unica cosa che conta e così è stato.
Erano trascorsi venti anni dal trofeo numero nove quello con i gol di Porrini in entrambe le finali, e da quel giorno sembrava che avessimo una maledizione in stile Béla Guttman sul groppone. Tre finali su tre perse, di cui l’ultima che sporcò la fantastica stagione conclusasi con lo scudetto numero trenta, vinto da imbattuti. Ci è voluta la tranquillità e la saggezza del mentore toscano, all’anagrafe Massimiliano Allegri da Livorno, per farci riprovare l’ebbrezza di vincere nuovamente il secondo trofeo nazionale per importanza. Addirittura, quel tecnico contestato inizialmente da molti juventini e scaricato superficialmente da quelli rossoneri, non solo riportò la Coppa Italia a Torino ma riuscì anche a far spostare la data della finale. Non ci è riuscito l’attuale commissario tecnico, ci riuscì Massimiliano Allegri. Scherzi del destino.
La finale contro la Lazio non fu una partita facile, come non lo è mai nessuna finale, come non lo è mai nessuna finale giocata dalla Juve. I vecchi fantasmi e brutti presagi tornarono a farsi vivi, in quella partita, già al terzo minuto quando Radu trafisse Storari. Il pareggio immediato di Chiellini ci riportò sulla giusta via ma il destino stava preparandoci un altro scherzo malefico. Minuto novantacinque dei tempi supplementari: ‘palopalo’ di Djorjevic che ammutolì mezza Italia, quella bianconera, ma strappò un incredulo “Nooooooooo” (questa volta senza il “oh” davanti) alla Roma biancoceleste. Sessanta secondi dopo, lancio di Pirlo, Tevez conclude in porta, Marchetti para, Matri segna. C’erano ancora venticinque minuti da giocare ma quel gol significava che stavolta sarebbe toccato a noi, era il nostro anno. Infatti lo è stato. Finalmente.
Eccoci quindi di nuovo in fondo a questa competizione. Leggendo le statistiche si scopre che Trapattoni è ancora oggi l’unico allenatore ad aver vinto due volte la Coppa Italia con la Juve. Se poi andassimo a scartabellare tutto l’archivio storico del mondo pallonaro, scopriremmo forse (perché io non ci sono andato) cose che non si dovrebbero dire o scrivere prima di una finale. Per carità, andatevele a cercare, ma lasciateci nell’ignoranza. Almeno per oggi. Juve e Milan si sono già incontrate tre volte nell’atto conclusivo del torneo e per la seconda volta tornano a contenderselo a Roma in gara secca.
Facendo partire il rewind delle partite disputate in Coppa Italia, si scopre una somiglianza con l’ultima cavalcata trionfale: ovvero l’avvio a razzo con goleada, nonostante, sulla carta, il derby facesse sì prevedere l’ennesimo successo bianconero ma condito da qualche brivido finale ormai abituale. Quattro a zero e Toro matato. La goal line technology, invece, quella che avrebbe penalizzato la Juve dai “soliti” favori arbitrali, ci ha permesso di avere (nuovamente) la meglio sulla Lazio all’Olimpico. Nella semifinale di andata, abbiamo cancellato l’Inter (e un fallo di mani nettissimo di Medel in area) con un sonoro tre a zero a Torino. Un risultato che ci ha fatto fin troppo cullare sugli allori visto che, alla gara di ritorno, la Juve ci è arrivata con 8 gol fatti, nessuno subito e tre vittorie su tre partite. A San Siro, c’era da aspettarsi una partita sottotono visto il bottino messo in cassaforte, ma la prova dei bianconeri è stata veramente orribile, o meglio inesistente. Dagli undici metri siamo stati più bravi e ci siamo fatti perdonare, vanificando una rimonta che aveva fatto credere ai perenni illusi di potercela fare davvero. Troppo bello vederli nuovamente delusi, ma quanti brividi lungo la schiena.
Il cammino del Milan in Coppa Italia è stato sempre (sulla carta) in discesa: Perugia, Crotone, Sampdoria, Carpi ed Alessandria sono stati gli avversari dei rossoneri che ora sono chiamati a una vera e propria prova di carattere e riscatto dopo l’ennesimo campionato concluso lontano dal vertice. La finale dell’Olimpico rappresenta per loro l’ultimo treno per un piazzamento europeo. Proprio quell’Europa di cui i meneghini si fanno portatori sani di mentalità vincente. Chissà se in un trofeo italiano, valevole però per un posto nel continente, questa mentalità avrà corso legale? Il momento del Milan è al quanto delicato ma la partita secca non ha mai tenuto conto di questi fattori, anzi è quasi sempre stata uno stimolo in più a chi aveva voglia di riscattarsi.
La Juve, come in tutte le “migliori” tradizioni delle finali, deve fare a meno di alcuni pezzi pregiati: Marchisio, Khedira e Bonucci non saranno della partita oltre a Caceres lungodegente. Il Principino è alla seconda finale consecutiva saltata dopo la squalifica nella passata edizione.
Solo poche settimane fa, abbiamo completato una rimonta fantastica in campionato andando a vincere uno scudetto davvero inaspettato ai più. L’ultima tappa della stagione ci mette di nuovo di fronte alla Coppa Italia: siamo la Juve, giochiamo da Juve. Mettiamo la ciliegina sulla nostra torta.
Fino alla fine… e anche oltre!
Forza Juve!