La partita della nazionale a Napoli è stata un evento con una cassa di risonanza mediatica ben maggiore rispetto ad una normale gara di qualificazione ai campionati mondiali di calcio. Questo perchè media & affini hanno strumentalizzato (non necessariamente nell’accezione negativa del termine) la partita stessa per lanciare un s.o.s. dal capoluogo campano sui suoi perenni ed irrisolti problemi. La gravità della situazione è ormai sotto gli occhi di tutti, in particolare da quando Roberto Saviano ha denunciato le atrocità compiute dalla camorra in Campania, nel resto dell’Italia e nel mondo. La tematica è quantomai delicata, di difficile trattazione e comprensione per chi, come chi scrive, non la vive sulla propria pelle. Non è compito mio esprimere giudizi o cercare soluzioni, ma questo sito parla di calcio e in questi giorni in molti hanno indicato il calcio e lo sport come possibile ancora di salvezza per molti giovani senza la prospettiva di una vita normale.
E’ giusto attribuire al calcio ed allo sport in generale, una parte di responsabilità nel ruolo che dovrebbe spettare allo Stato? I problemi di Napoli, della Campania e più in generale del meridione, derivano dalla profonda crisi dell’occupazione dovuta alla carenza di risorse e infrastrutture, e sono profondamente radicati nel tempo. Sarebbe inesatto o quanto meno semplicistico affermare che questi problemi derivano solo da arretratezza culturale e delinquenza. La criminalità, specie quella organizzata, si nutre dell’ignoranza, trova terreno fertile nel disagio e si sostituisce allo Stato quando questo manca di adempiere ai propri doveri. E’ più facile che un giovane di Scampìa vada a chiedere un lavoro al piccolo o grande boss di turno, piuttosto che si rechi all’ufficio di collocamento o provi a guadagnarsi il pane lavorando onestamente. L’assenza di legalità e la mancanza di prospettive costituiscono il clima ideale per il proliferare di associazioni criminali come la camorra e le mafie: le armi per combattere contro questi cancri della società a disposizione delle forze dell’ordine e magistratura non hanno efficacia, poichè la criminalità dispone di capitali enormi derivati da attività illecite nei campi più disparati, non ultimo quello dello smaltimento illegale dei rifiuti di tutta Europa.
Mettiamoci in testa che, prima o poi, il problema arriverà a toccare chiunque di noi in un modo o nell’altro (quando non vi sia già arrivato) e che la ricerca di una soluzione condivisa e la partecipazione di tutti al superamento delle difficoltà incontrate dalle popolazioni coinvolte è l’unica via percorribile. Il calcio può essere l’esempio, ma non deve costituire l’ossessione del ragazzino di oggi. Spesso, dicono, accada che le uniche due strade siano sfondare nello sport (in particolare nel calcio) o scegliere la via dell’illegalità. A questo “bivio” andrebbe aggiunta la strada della normalità, del lavoro o dello studio finalizzati a costruire con le proprie mani un futuro differente.
Ma la partita della Nazionale italiana di calcio, a quanto pare, non è servita poi a tanto. La polemica legata a Balotelli è in tal senso emblematica, a mio avviso. Sbagliato cercare di appioppargli il ruolo di simbolo nella lotta alla camorra, sbagliati (come sempre) gli atteggiamenti del ragazzo, sbagliata la reazione dei media, passati in un millisecondo dall’esaltazione del soggetto in questione alla crocefissione in pubblica piazza (anche qui come sempre). Allo stadio San Paolo qualcuno ha fischiato l’inno e sono stati intonati cori come “noi non siamo italiani” in risposta al “noi non siamo napoletani” intonato ovunque negli impianti sportivi dell’ex Bel Paese. La mancanza di cultura sportiva ha assunto i toni del paradosso, con giocatori di altre squadre che non fossero il Napoli fischiati nonostante indossassero per l’occasione la maglia dell’Italia. Nelle nostre curve si annidano sacche di violenza e criminalità che vanno combattute, ma si perdono tempo ed energie a cercare di aggiustare regole e regoline per non cadere ostaggio degli ultras. Tra questi ultimi ci sono dei soggetti che nulla hanno a che fare con il calcio, è bene metterlo in chiaro, e devono essere isolati da coloro che vanno allo stadio per tifare. Lo devono fare loro, si devono dissociare dalla violenza e dall’illegalità, se ne sono capaci. Stato, istituzioni e Federazioni devono avere un ruolo primario nell’educazione e nell’inculcare a giovani ed atleti quella cultura sportiva la cui mancanza si trasferisce, amplificata, sugli spalti.
Il calcio, in definitiva, può aiutare, non risolvere, solo se si propone come modello culturale generale, trasmettendo valori come spirito di sacrificio, umiltà, gioco di squadra, fair play e non vane illusioni come il guadagno facile. Ma il calcio di oggi, i suoi interpreti chi lo governa non sembrano essere pronti a gravarsi di questo peso. La partita dell’Italia è stata solo l’ennesima occasione persa per dimostrare il contrario. Non parliamo di beneficenza, ma di insegnare, di trasformarsi in modello per giovani che oggi hanno ben poco per cui sorridere. I giovani di Napoli e di tutta Italia. Perchè anche loro sono italiani.