Tra i tanti slogan che, ormai, accompagnano questa Juve cannibale in Italia, ce n’è uno entrato di diritto nel gotha delle frasi preferite di noi gobbi, e l’autore è l’altrettanto grande radiocronista RAI Francesco Repice. Alla fine della famigerata Inter-Juve della passata stagione, la partita che portò lo scudetto da un albergo di Firenze in quel di Torino, Repice coniò il bellissimo: “La Juventus non muore letteralmente mai!”
Ieri sera Lazio-Juve è stata una riedizione in miniatura della gara di S. Siro: una Juventus brutta, slegata, incerottata e apparentemente svogliata veniva surclassata per 70 minuti da una Lazio aggressiva e capace di trovare il tanto cercato punto debole della tirannica corazzata bianconera che ha ammazzato il campionato già in inverno.
La Juve sembrava morta, come tante altre volte.
Eppure il grande merito di questa squadra è quello di dare forma al motto che in troppi fanno finta di non comprendere: “Fino alla fine” vuol dire che non è finita fino a che l’arbitro non fischia per tre volte. E allora è importante non uscire dalla partita, come ripete spesso Allegri, perché il calcio è strano. Dopo l’errore di Immobile che si mangia il gol del raddoppio e che poteva indirizzare definitivamente la partita per loro, la Juve esce dal letargo e, grazie ai cambi attuati dal mister e al progressivo calo fisico dei biancocelesti, trova una insperata vittoria.
Dopo l’euforia dell’immediato post partita è giusto, però, analizzare la prestazione per capire cosa è successo e se dobbiamo preoccuparci in vista della Champions quando mancano poco più di 3 settimane all’andata degli ottavi.
Per farlo, come mio solito, vado a riprendere le partite della Juve dell’anno scorso a questo punto della stagione.
Alla ripresa del campionato dopo la pausa invernale – nel 2018 si restò fermi dal 6 al 21 gennaio – i nostri furono impegnati contro il Genoa in casa (22 gennaio) e il Chievo a Verona. Due vittorie risicate, 1-0 la prima e 2-0 contestatissimo la seconda. La partita coi clivensi, in particolare, fu sbloccata solo dopo la seconda espulsione dei gialloblu (Cacciatore in versione Mourinho con le manette – momenti che resteranno, dolcissimi, nella nostra memoria), con i nostri a fornire una prova, come ieri, scialba e arruffona.
Era il 27 gennaio 2018.
Andiamo indietro di un altro anno, stagione 2016/17; la sosta natalizia era ancora quella classica, da Natale all’Epifania, quindi per trovare la partita “parallela” a queste già analizzate dobbiamo andare a metà gennaio. Dopo la vittoria casalinga col Bologna, il 15 gennaio 2017 la Juve perde a Firenze 2-1, ricordate? È la famosa partita della svolta, quella che obbliga Allegri ad abbandonare finalmente il 352 e mettere tutti insieme in campo Cuadrado, Dybala, Mandzukic e Higuain (più Pjanic nel duo di mediana) nello spregiudicato 4231 che ci porterà fino a Cardiff.
Dai, lo avrete capito, il succo del discorso è abbastanza chiaro. In questo periodo dell’anno è inutile fare gli schizzinosi e sperare di vedere una Juve pimpante e schiacciasassi che domina gli avversari come capita in altri periodi della stagione (che in quei momenti non si vincano le partite senza troppi patemi è un altro discorso e lo affronteremo in altri momenti).
In questa stagione, inoltre, ad abbassare ulteriormente il livello di adrenalina della brigata c’è l’abisso venuto a crearsi, in termini di punti, tra la Juve e le inseguitrici, se così si possono ancora definire Napoli e Inter. Mentre l’anno scorso, di questi tempi, Juve e Napoli lottavano punto a punto per la testa della classifica e l’anno prima più o meno era uguale con la Roma e gli stessi partenopei, quest’anno il divario è già in doppia cifra e, in più, ieri giocavamo già sapendo da sabato che il Napoli si era avvicinato solo di un punto.
Le energie vanno dosate nell’arco della stagione, soprattutto ora che in alcuni ruoli gli uomini sono contati e i carichi di lavoro pesanti. Non ha senso, ora come ora e quest’anno a maggior ragione, affannarsi alla ricerca di punti e spettacolo a tutti i costi.
Mi annoio anche solo a scrivere questi concetti così banali e così uguali a se stessi ogni anno, ma a quanto pare molti dei nostri tifosi sono come quei bigotti che annuiscono scrupolosamente durante l’omelia del prete ma non ci stanno capendo un cazzo.
Tocca ripetersi.
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