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Non plus Ultras

Lunedì 22 gennaio la Juve disputerà per la quarta volta da quando gioca nello stadio di proprietà una gara con uno o più settori chiusi al pubblico.
Negli ultimi dieci anni era capitato altre due volte: nel maggio 2009 l’Olimpico rimase a porte chiuse in un pirotecnico Juventus-Atalanta e nel successivo gennaio 2010 la curva Sud fu squalificata per quel Juventus-Roma passato alla storia come primo match in cui Totti riuscì a segnarci in trasferta (su rigore, come l’altro nel 2015); entrambe le sanzioni furono comminate a seguito del coro “Se saltelli…” contro Balotelli, all’epoca golden boy del calcio italiano.
I primi due precedenti allo Juventus Stadium risalgono alle gare del dicembre 2013 con Udinese e Sassuolo, la prima con chiusura di entrambe le curve, la seconda solo della Sud.
Fu una condanna cumulata alla sospensiva della stagione precedente per due casi distinti dei noti cori sul Vesuvio.
In queste partite la società si avvalse della facoltà di riempire i settori con i bambini delle scuole calcio del Piemonte; iniziativa questa che portò dapprima ad elogi unanimi da parte dei media e degli addetti ai lavori e successivamente a due multe dalla Giustizia Sportiva e allo sdegno dell’opinione pubblica, scandalizzata dal fatto che molti under 13 si fossero divertiti a gridare tutti assieme la parola “merda”.
Nel match più recente la curva Sud venne lasciata deserta e fu lo Juventus-Chievo in cui facemmo il primo punto della stagione 2015/16, dopo le due sconfitte iniziali; in questo caso l’episodio incriminato fu il lancio dal settore ospiti di una bomba carta che fece diversi feriti, in quel derby d’aprile che spezzò il tabù ventennale di una vittoria granata.

Il club ha sempre presentato ricorso nei confronti delle decisioni del giudice sportivo tranne che in una occasione, nel 2009; alcune volte la Corte di Giustizia sportiva ha pure accolto le memorie difensive della società revocando le sanzioni. Per quanto riguarda il derby 2015 ci si è spinti fino al Collegio di Garanzia dello Sport del CONI, forti della convinzione che il reato commesso da un soggetto non abbonato, non legato a gruppi ultras e senza biglietto non dovesse essere scontato in nessuna misura da altri tifosi bianconeri.
La recentissima decisione della Corte Federale di appello della FIGC riguardante Juventus-Genoa invece la si è presa e la si è messa in saccoccia senza dire “beh”.
Per l’ennesima volta quindi più o meno diecimila persone hanno perso il diritto di assistere live a una partita della Juve senza avere nessuna colpa specifica e questo, in linea di principio, lo trovo davvero ingiusto.
Io sono dell’idea che tendenzialmente vada punita solo la responsabilità individuale, che tra l’altro è più accertabile rispetto ai decenni scorsi grazie alla tecnologia presente in buona parte degli stadi moderni.
Ciò nonostante mi rendo conto che la responsabilità oggettiva è difficilmente eliminabile e risulta utile, se non altro come deterrente, almeno in una fattispecie: il coro razzista chiaramente percepibile nei confronti di un giocatore o di una tifoseria avversaria, discriminazione che offende la sensibilità storica ampiamente condivisa soprattutto nei confronti delle persone di colore e degli ebrei.

Qui aggiungo un personalissimo distinguo: gli insulti che si riservano da sempre atalantini e bresciani, livornesi e pisani, fiorentini e bolognesi, milanesi e napoletani non sono assolutamente paragonabili agli improperi razzisti; Milano in fiamme vale un coro su Nerone e pesa come un incitamento al Vesuvio, è campanile, becero finché si vuole e perfino il C.G.S. ci è arrivato, considerando che l’assurda equiparazione delle sanzioni con la discriminazione razziale sono durate poco più di un anno.
La norma sulla discriminazione territoriale, modificata da Tavecchio al suo insediamento, è comunque ancora vigente e prevede multe per responsabilità oggettiva ai club (la Juve ne ha prese due nell’ultimo mese e mezzo); essa ha la particolarità di rivolgersi quasi esclusivamente a tutela dell’onorabilità della città di Napoli o, meglio, dei tifosi del SSC Napoli considerando che, com’è noto, nelle curve di Juve, Milan e Inter per stare sui club con più tifosi in Italia, sono presenti napoletani di residenza e di origine, così come romani, toscani, i “famosi” calabresi ecc.
Tra l’altro ricordo che gli ultras partenopei esposero, ai tempi della chiusura delle curve “rivali”, un mega striscione”Napoli colera. E ora chiudeteci la curva!” e intonarono al contempo i cori “Senti che puzza” e “Vesuvio lavaci col fuoco” dimostrando autoironia e tipica mentalità.

Queste mie considerazioni potrebbero essere tacciate di benaltrismo da chi auspica un modello di tifo all’inglese (contemporaneo), con tutti posti a sedere, tifo organizzato quasi assente e tre cori random che si ripetono; o addirittura c’è chi sogna un fair play di stile rugbistico, come nello sport americano, poco tifo contro e magari si urla “defense” a ritmo di organo.
Sono gli stessi che poi forse vogliono ci sia sempre un gran tifo allo stadio, organizzato, ma non da loro; che gli ultras cantino per 90 minuti ma solo i cori pro.
Realisticamente io a questo mondo di mini pony, in Italia, non credo; sinceramente poi sono anche un po’ affezionato a una sana bolgia in casa, agli striscioni ironici e agli sfottò ma capisco che qualcuno la possa pensare diversamente, sono gusti.
Gli ultras esistono in questo Paese da 50 anni e il fenomeno si è evoluto così come è cambiata la società: negli anni ’70 era un ambiente pervaso di ideali, gli anni ’80 sono stati caratterizzati da libertà e violenze, gruppi chiusi e coesi in un’Italia ancora più divisa culturalmente di quanto lo è oggi; negli anni ’90 è iniziata una degenerazione importante nell’ambito degli interessi economici in molte di queste realtà e nel nuovo millennio la repressione rispecchia ciò che è l’attuale società del controllo.
Naturalmente ho banalizzato e generalizzato molto ma avendo fatto parte di quel mondo mi va di raccontare che, oltre ai tanti aspetti negativi da sempre evidenziati dai media, ci sono cose belle; i rapporti sani e duraturi che si creano tra delle persone che condividono tutto, l’orgoglio di essere rappresentati dal proprio striscione, il sentirsi dodicesimo uomo, la passione di voler esserci sempre, e insieme anche fuori dallo stadio a preparare striscioni e coreografie (niente Treccani, allo stadio si chiamano così).
Come tutti i comparti complessi della collettività che presentano aspetti buoni e meno buoni non va svilito, e cito solo il recente e assurdo esempio del divieto di ingresso negli stadi del bandierone di Aldovrandi, ma va gestito e bene.
Che tanto l’idea di Beppe Rossi, storico capo ultrà bianconero dagli anni ’70, ormai mostra un po’ i segni del tempo: “Io li vorrei vedere tutti con le sciarpe, giovani, vecchi, in curva dobbiamo essere tutti amici, tifare tutti assieme per la squadra, che giochi bene o giochi male. Però io prima di entrare in curva dico sempre ai ragazzi ‘Non deve essere la Juve che vince ma dobbiamo farla vincere noi… dobbiamo mettere paura ai giocatori avversari con il tifo che facciamo noi… 90 minuti su 90…’. Devi avere una curva tutta bianconera, tutta piena di sciarpe, gli striscioni che fanno paura, paura non nel senso maligno, paura nel senso che sono belli, che sono grossi… noi per me abbiamo gli striscioni più belli… e le cose che abbiamo fatto le hanno fatte i ragazzi…”.
(tratto dal film “Ragazzi di stadio di Daniele Segre, 1980)

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