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Non vi meritate Andrea Agnelli

Andrea Agnelli è intervenuto, assieme a Giovanni Malagò, Presidente del Coni e a Francesco Boccia, Presidente Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, al convegno “L’impatto economico dello sport. Verso il bilancio consolidato” svoltosi a Palazzo Montecitorio. Il discorso non poteva che ricadere su quanto accaduto in Brasile e le conseguenze della débacle azzurra in seno alla FIGC. Di seguito alcuni importanti passaggi di quanto espresso dal Presidente juventino.

Sulle dimissioni di Cesare Prandelli e Giancarlo Abete: “Prandelli e Abete hanno fatto un bel gesto a dimettersi ma si sono smarcati nel momento del bisogno. E vedo che Prandelli ha subito trovato un’alternativa”.

Sulle dimissioni di Giancarlo Abete da Presidente FIGC: “dimissioni parziali perché invece ha tenuto le cariche alla Uefa e al Coni. Per coerenza, a questo punto, dovrebbe dimettersi anche dalle altre posizioni”.

Su fisco e competitività a livello internazionale: “E’ importante raggiungere un livello di armonizzazione fiscale con i maggiori competitor internazionali  ma non è il momento di discutere di sgravi. Piuttosto ci si deve chiedere come far crescere il sistema calcio. Il valore complessivo della serie A è circa 1.700.000 Euro di fatturato, ma con il sostegno delle istituzioni politiche e i vertici dello sport, dovremo cercare di portarlo a 3.400.000”.

Sulla governance e gli investimenti: Servono nuovi impianti sportivi e l’auspicio è che con una facilitazione dell’iter amministrativo, ci sia un fiorire di queste strutture. Abbiamo poi una valanga di norme e forse, vista l’importanza dello sport nel sistema economico italiano, un testo unico dello sport potrebbe aiutare. Una governance diversa sarebbe essenziale […] La Juventus ha costruito uno stadio per realizzare il quale ha dovuto aspettare dal ’94 al 2011 e questo è uno scandalo. Dopo averlo inaugurato ci siamo chiesti cos’altro avremmo potuto fare e abbiamo creato il Museo. Non ci siamo fermati, realizzando il J-College a Vinovo che permette agli atleti delle nostre Giovanili di conseguire la maturità, perché lo sport dev’essere accompagnato dai libri. Infine, accanto allo stadio, nell’Area della Continassa, trasferiremo la sede sociale, i campi di allenamento della Prima Squadra, ma anche hotel, un concept store, un cinema multisala e residenze private, che completeranno il percorso di riqualificazione urbana della zona, creando nuovi posti di lavoro. Tutto questo rappresenta un investimento importante di circa 340 milioni di Euro, ma la Juventus non è una Onlus. Siamo impegnati in attività sociali, come “Un calcio al razzismo” e “Gioca con me” delle quali andiamo orgogliosi e che abbiamo presentato a Parigi nella sede dell’Unesco, ma il nostro fine ultimo è mettere la squadra nelle migliori condizioni possibili per esprimersi. Questo però è possibile fissando degli obiettivi chiari, concreti e sforzandosi di raggiungerli, uno per volta”.

Sulla successione di Abete e l’ipotesi Tavecchio: “siedo nel Competitions Committee dell’Uefa e nell’Execitve Board dell’Eca, dove abbiamo la direzione di due grandi ex calciatori, Platini e Rumenigge. Quando uno di loro entra in una stanza in cui si parla di calcio, la gente si alza in piedi perché ne riconosce l’autorevolezza […] Può succedere con Tavecchio? Penso di no. Serve un uomo autorevole e in grado di fare riforme. Da noi c’è Nedved che tra otto anni potrebbe essere presidente Uefa […] Albertini presidente? Questo non lo dico io, ma corrisponde senz’altro all’identikit, così come può essere Cannavaro, Vialli e Costacurta. Guardiamo alla generazione di giocatori che hanno giocato a cavallo degli anni 2000 […] auspico che ci sia quanto più consenso possibile verso una persona di grande spinta riformista, perché il calcio ha bisogno di un rinnovamento radicale e profondo […]”.

I concetti espressi sono chiari e ribadiscono una linea di pensiero netta, rimarcata più volte in altre occasioni dallo stesso Agnelli. Ma le sensazioni che filtrano sono di segno opposto. Si andrà probabilmente verso l’elezione di Tavecchio, simbolo della vecchia guardia conservatrice, quella che per intenderci ha portato il calcio italiano alla quarta posizione nel ranking Uefa, superato dal calcio portoghese, con alle spalle federazioni emergenti quali quella francese e quella russa, alimentate da petroldollari e gasrubli. Un calcio italiano che sotto la guida di questi illuminati personaggi non vede nessuna delle sue squadre tra le prime dieci d’Europa, la prima al 14° posto con prospettive di discesa, il Milan, e la Juventus stessa al 22° seguita dall’Inter. L’onda lunga di calciopoli, vista da questa classe dirigente come occasione per ripulire il calcio, è semplicemente devastante, un bagno di sangue con perdite incalcolabili una delle quali abbastanza evidente: il calcio, in Italia, si è fermato, non ad Eboli come il Cristo di Carlo Levi, ma a Berlino, otto anni fa.

Le parole di Agnelli, si badi bene, non costituiscono uno schermo di populismo dietro il quale si celano mire personali. Agnelli punta in primis alla tutela dei propri interessi e quelli degli azionisti e tifosi, questo è chiaro (“la Juventus non è una onlus”), ma è inevitabile che la crescita della Juventus debba passare per la crescita di tutto il movimento calcistico italiano, che possiamo definire un po’ retoricamente lo specchio del Paese. Un Paese governato e diretto in maniera approssimativa, senza regole certe, in cui si preferisce il raccomandato a quello davvero bravo e preparato. La “logica dell’orticello” prevale a visioni di sviluppo ad ampio respiro, per cui è meglio l’uovo oggi, lo prendo e chi vivrà vedrà.

Cosa può fare un solo dirigente, seppur bravo e competente come Andrea Agnelli, per favorire la crescita di un intero movimento come quello calcistico italiano? Ben poco a mio parere. Una volta portate a termine le iniziative e gli investimenti in corso la Juventus sarà come una Ferrari, lanciata a 250 km orari su una mulattiera. Una buca, un Abete (non l’albero, quello che mantiene comunque altri incarichi, mica scemo), un Carobbio qualsiasi potrebbero mandare in fumo o comunque compromettere i faticosi e impegnativi obbiettivi raggiunti.

Raggiungere i livelli dei “competitors” internazionali per potenza economica e politica è un’impresa titanica, nonostante il brillante piano industriale quinquennale che impone una tabella di marcia a tappe forzate, fin qui brillantemente rispettata. Senza cambiamenti netti all’interno della governance italiana ai quali conseguano profonde riforme legate ai contratti dei tesserati, allo snellimento delle procedure burocratiche che consentono di realizzare infrastrutture ed impianti all’avanguardia, senza favoritismi, premiando invece i virtuosi, senza tutto ciò, non si va da nessuna parte. Non esiste una reale valorizzazione dei settori giovanili magari attraverso la creazione di centri federali così come accaduto in Germania negli scorsi anni; certo, viene da chiedersi, con questi dirigenti come verrebbero gestiti questi centri, probabilmente diverrebbero la solta macchina mangiasoldi italica. La valorizzazione dei marchi attraverso l’introduzione di normative rigide nei confronti della contraffazione è un altro aspetto di cui si è sempre parlato ma per il quale sono state adottate misure insufficienti se non addirittura risibili.

Il destino a cui andremo incontro sembra scritto, a meno di improbabili colpi di coda di una macchina burocratica e politica oramai fossilizzata su posizioni anacronistiche in cui è il solo Agnelli a predicare nel deserto. Chissà che non sia lui, come suo padre prima di lui, a farsi promotore di quei cambiamenti che potrebbero risollevare il calcio italiano agonizzante con una nazionale ai minimi storici. Da alcune reazioni a queste considerazioni del numero uno bianconero sembrerebbe proprio di no, Andrea è solo un Agnelli, quelli che con la FIAT hanno rovinato il sistema industriale italiano e con la Juve hanno corrotto il calcio. Un giovin signore. Non verrà mai visto semplicemente per quello che è: un bravissimo e competente manager, purtroppo gobbo. Non vi meritate Andrea Agnelli.

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