

Sembrava un film già visto milioni di altre volte negli ultimi anni e sapevamo già quale sarebbe stato il finale.
Così nessuno di noi, in quella calda sera di metà giugno, è rimasto sorpreso quando Chiellini ha chiesto il cambio dopo soli 24 minuti di gioco per una fitta al polpaccio.
Ventiquattro minuti dove aveva dato il massimo, segnato il gol del vantaggio poi annullato, minuti che seguivano i 90 giocati solo 5 giorni prima: anche troppo dai, era andata sin troppo bene, l’infortunio al polpaccio era questione di minuti.
E infatti… taaaac.
Il copione dei giorni successivi, anche quello, lo conoscevamo già.
Si aspettano i risultati degli esami strumentali, Mancini trattiene il respiro, ansia Chiellini, esperti sui social che lo danno per morto, insomma il solito refrain: per non sbagliare meglio dare nel mezzo tra la morte e non è niente e alla fine saltano fuori le canoniche tre settimane di stop, quindi europeo finito.
E invece, dopo lo stop contro l’inutile Galles del disutile Ramsey (trovato ieri in offerta alla Coop al 40% di sconto, ma lui preferisce giocarsi le sue sciòns alla Juventus) e quello successivo contro l’Austria, eccolo bello pimpante contro il Belgio del temibilissimo Lukaku: 90 minuti al massimo, dove fa vedere una volta ancora al mondo intero l’importanza di essere Chiellini e ridimensiona il centravanti osannato durante l’ultima stagione da quelli là (va detto, comunque, che io uno come Lukaku lo prenderei non subito, anche ieri).
Poi la Spagna, anche lì fino alla fine dei supplementari, la scelta della curva per i rigori, la supercazzola a Jordi Alba con tanto di “mentiroso” finale e via.
Infine l’ultimo match, domenica scorsa: l’ennesima prova monumentale da Chiellini, una vera e propria enciclopedia della fase difensiva, coronata dalla vittoria del torneo europeo, che alla nazionale italiana mancava da soli 53 anni (altro che la Champions per la Juve).
Morale della favola: in un mese di 30 giorni ha giocato 5 partite su 7, di cui 2 terminate ai rigori e 1 ai tempi supplementari, per un totale di 444 minuti senza contare i vari recuperi, quindi andiamo tranquillamente a 470 minuti. Al di là dei numeri, sapere che ha giocato una partita ogni 5 giorni a ritmi elevati, visto che si trattava di una fase finale di un europeo, conoscendo la sua storia, dà molto da pensare.
Eh già, perché provate per un attimo a pensare di concentrare la fase a eliminazione della Champions League in un mese, ovviamente a scontro diretto senza andata/ritorno, e poi pensate a Chiellini e alla Juventus.
A parte che sarebbero state 4 finali di Champions e quindi alla prima saremmo andati subito fuori, ma facciamoci del male e riguardiamo indietro, al nostro approccio sereno, spensierato e distaccato alla massima competizione europea per club: fino all’arrivo di Allegri, come disse lui stesso, la squadra sbiancava al pensiero di affrontare il Malmoe, dopo è andata meglio ma lo stress che quelle partite creano nell’ambiente bianconero è qualcosa di patologico. Pensiamo a Chiellini nella conferenza stampa di sabato scorso e nella partita contro l’Inghilterra e poi andiamo a ritroso fino ai primi di Giugno del 2017, a Cardiff: la faccia di Buffon in conferenza stampa, l’approccio alla partita, l’intervallo stile film di Bud Spencer e Terence Hill, il crollo nel secondo tempo, le facce da funerale alla fine della partita. Evidentemente non avevano seguito il consiglio del giullare, secondo il quale per battere quel Real non serviva un casso, e in effetti quella sera lui non fece proprio un casso.
Eppure domenica scorsa alla fine del primo tempo stava andando anche peggio di Cardiff: sotto di un gol dopo due minuti, incapaci di reagire, l’unico bravo in attacco ignorato dai due fenomeni parastatali chiamati Immobile e Insigne. L’unica speranza era rappresentata dal fatto che eravamo sotto di un gol, non di tre o quattro, per il resto era il niente assoluto, ma tutto questo non impediva a Chiellini, Bonucci e al resto della ciurma di rimanere sereni, ottimisti e concentrati, con i risultati che si sono visti.
Allora, cos’è successo domenica?
Perché alla fine tutti cantavano a squarciagola “Un’estate italiana” al grido di notti magicheeeee (con soli 31 anni di ritardo, ma tant’è), al posto delle troppe notti tragiche della nostra Champions?
E perché Chiellini e Bonucci sembravano sempre due bambini il giorno di Natale e mai due in fila per entrare all’Agenzia delle Entrate?
Certo, sono due contesti completamente diversi; ne parlavano giusto l’altro giorno nella chat di Juveatrestelle (ve la consijio come diceva il buon Totò Schillaci). Innanzitutto il livello qualitativo l’altra sera era nettamente più basso: magari ci fossimo trovati una squadra come l’Inghilterra al posto di quelle due compagini aliene chiamate Barcellona o Real Madrid.
C’è da dire però che anche la Juve era nettamente superiore all’Italia dell’altra sera, e neanche di poco.
Mettendo da parte la qualità, cosa rimane? Le motivazioni e l’approccio alle partite, e qui forse arriviamo al punto: si, perché ciò che per la nazionale può andare bene, ad esempio un secondo, terzo o quarto posto, alla Juve viene digerito a fatica.
La ricordate la nazionale di Vicini? È stata una delle più amate di sempre: giovane, allegra, spensierata, anche spettacolare. I gol di Schillaci nel mondiale italiano, lo slalom di Baggio alla Cecoslovacchia, il gol di Vialli alla Spagna all’europeo in Germania, ricordi indelebili di una nazionale… che non ha vinto un’emerita cippa: eliminata dalla Russia all’Europeo nel 1988, dall’Argentina al Mondiale 1990, dove tra l’altro era favorita, non qualificata all’Europeo del 1992.
Oppure proviamo a ricordare alcuni insuccessi: l’Europeo del 2000, perso con il pareggio della Francia all’ultimo secondo, oppure il secondo posto nel 2012 o ancora il mondiale americano perso ai rigori. Fallimento?
Macché, tutti eroi e tanti applausi!
Solo la nazionale del 1970 venne contestata dopo il 4-1 preso dal Brasile, tra l’altro in modo ingiusto e incomprensibile.
Alla Juventus invece non funziona così: la vittoria è la normalità, la sconfitta un fallimento, vie di mezzo non ce ne sono.
Da sempre.
Va tutto bene, ogni squadra ha le sue caratteristiche e le grandi devono avere una mentalità del genere se tali vogliono essere; il lato oscuro è la pesantezza, quel fardello che un giocatore si porta addosso ogni volta che indossa una maglia bianconera e che non gli fa vivere in serenità e leggerezza certi momenti. Per questo tanti giocatori si perdono quando arrivano alla Juve, si sa: sembrano forti e magari lo sono, vogliono la Juve, sono anche determinati e decisi, poi arrivano al dunque e non reggono il peso.
Si sa, le grandi squadre non sono per tutti.
Il destino però, e lo chiamo destino per non fare nomi e cognomi che mi inimicherebbero 3/4 di tifoseria bianconera, ha riservato uno strano scherzetto alla Juve da circa 30 anni a questa parte: vincenti in Italia, incompiuti in Europa.
Ecco quindi la Champions League assente in bacheca da 25 anni, ecco 5 finali consecutive perse, ecco l’Europa League snobbata per raggiungere il record (inutile) di 102 punti, ecco che un trofeo europeo è diventato una vera e propria ossessione, per la società e per i tifosi.
Pensate quindi allo spirito dei giocatori bianconeri ogni volta che sentono quella musichetta (a proposito, ve l’ho mai detto che la odio?).
Pensate alla loro serenità, a quella voglia di divertirsi, di godersi la manifestazione da Febbraio in poi, di ridere e scherzare con il Jordi Alba di turno dandogli di “mentiroso”.
Pensate a Bonucci che consola Dybala negli spogliatoi di Cardiff, pensate a un Chiellini spensierato nel secondo tempo, con la testa sgombra da pensieri e preoccupazioni che blocca CR7.
Ma soprattutto, pensate a Chiellini in bianconero che gioca tre partite a eliminazione diretta di fila, di cui 2 oltre il novantesimo, senza avvertire il minimo fastidio.
Ecco, ora svegliatevi e tornate alla realtà, l’Europeo è finito.
O forse no.
Nel frattempo godiamoci gli ultimi giorni di tregua, tra poco i nostri torneranno a essere i soliti rubentini di sempre e Chiellini il solito macellaio impunito.
A noi tra l’altro va bene così.