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Perché sempre noi

La storia del calcio si scrive tutti i giorni sul campo, quindi diventa continuamente soggetta a evoluzioni e aggiornamenti, peraltro è innegabile che vi si possano individuare delle costanti, degli andamenti sistematici.

Prendendo a esempio i club italiani, il Milan fu il primo ad aggiudicarsi un trofeo continentale e durante l’epopea berlusconiana ha consolidato il proprio profilo internazionale in modo impressionante; parimenti eccezionale è la serie di pregiudicati che ne hanno detenuto (ops) la Presidenza, il club tuttora più titolato al mondo, in quel senso.

L’Inter ha avuto due cicli in cui è stata definita “Grande” ed ere geologiche in cui è stata apprezzata quale Circo; passano proprietà, dirigenti, decenni ma l’arte della Clownerie ad Appiano s’è fatta accademia, spettacolo di malinconica tristezza che diverte da sempre grandi e piccini.

L’A.S. Roma è l’ambiente romano: aspettative sempre al di sopra della propria reale dimensione, mamma RAI e il G.R.A. come acquario dei pesci (giallo) rossi, entusiasmo e disperazione in saldo, i quattordici secondi posti.

Passando alle nazionali, come non citare Lineker dopo la semifinale persa nel mondiale 1990: “Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince”.

Proprio l’Inghilterra quale patria natia del gioco, durante la prima metà del XX° secolo, non si poneva in competizione con le altre nazionali; alla prova dei fatti successiva l’ha sfangata solo una volta, in casa, con un gol fantasma.

Gli azzurri invece hanno legato i trionfi del dopoguerra a momenti storici particolari, contesti difficili: nel mundial ’82 gli attacchi dei media e il conseguente primo silenzio stampa della storia, a Germania 2006 addirittura si chiedevano le dimissioni di Lippi e la cacciata di Cannavaro a seguito di farsopoli.

Questa capacità, il tirare fuori il meglio quando non si ha nulla da perdere, è caratteristica peculiare pure del club dal DNA italiano per eccellenza, guarda caso, soprattutto in ambito internazionale; vengono subito in mente le recenti partite di Monaco di Baviera e del Bernabeu, estendendo il concetto all’intera Champions 2014/15 giocata da outsider e il doppio turno col Barcellona del 2017, affrontato da sfavoriti.

Sovviene pure la frase di Allegri nella conferenza stampa prima di Bologna, in cui spiegava che il 2-0 del Wanda faciliterà l’impostazione del  ritorno; che non si capiva se stesse scherzando o si è talmente gobbizzato da credere veramente in quella assurdità di concetto.

Si tratta della classica arma a doppio taglio e anzi, a conti fatti, di un attributo con maggiori connotazioni negative che altro; ripercorrendo la storia della Juventus appare chiaro come numerose finali di Coppa dei Campioni, giocate con la pressione di avere il favore dei pronostici, abbiano preso una pessima piega fin dal 1° tempo.

Non è solo una questione di approccio mentale sbagliato, pare quasi ci sia una sorta di male oscuro pervasivo dell’ambiente; come se, sul più bello, quando non c’è un domani, alibi o scuse e in pratica resta solo da sbranare l’avversario sulla carta più debole o di pari livello, ci tremino un po’ le gambe.

Mente leggera e voglia di riscatto sono per noi fondamentali ma è capitato che non siano stati sufficienti; certamente perché talvolta la montagna è troppo ardua da scalare ma pure a causa dell’assenza a Torino, negli ultimi anni, di ciò che mi piace definire “la carogna”.

Riallacciandomi alla scuola italiana, ricorderei i tempi in cui la Nazionale si pregiava di avere tra le proprie fila i vari Benetti, Gentile e, più di recente, Cannavaro e Camoranesi; tutta gente che abbinava ad una buona tecnica (ottima quella dell’oriundo) una certa scaltrezza feroce, atta a innervosire gli avversari e a irretire i direttori di gara.

Morini, Furino, Davids, Conte, Iuliano, Montero, lo stesso Nedved,  sono altri esempi di juventinità piena, hanno completato a modo loro il significato del “vincere è l’unica cosa che conta”; non rivedo sinceramente negli attuali calciatori bianconeri gli atteggiamenti dei predecessori, idonei a tenere la barca a galla anche in partite “sporche”.

Intendiamoci, in una squadra vincente sono indispensabili i Modric e i CR7; con un Ramos però, che in finale ti abbatte stella e portiere avversario, le cose diventano più semplici.

Senza arrivare all’elogio dell’antisportività, mi piacerebbe almeno vedere una via di mezzo tra una squadra di pirati matricolati e una di abbracciatori di avversari; monumenti viventi di agonismo e fair play, salvo poi fare il gesto dei soldi quando la frittata è già in tavola.

Le spagnole, in questo decennio abbondante di dominio assoluto, hanno dimostrato quanto la sapienza tecnica e il talento si possano sposare con la fame e la succitata “carogna”; la partita di mercoledì scorso ne è un fulgido esempio e l’Atletico Madrid è l’Università di questo modello di calcio.

Nel menare, simulare, accerchiare l’arbitro ci vuole perizia, esperienza, i tempi giusti, dettagli ma sono quelli che possono incidere in un momento di svolta della partita; a mente fredda, Bonucci non può che suscitare pena nel suo patetico tentativo di emulazione dei colleghi dell’Atleti, di fronte a un arbitro che aveva già concesso un rigore inesistente e un gol irregolare agli avversari.

La cosa più sconcertante relativa a queste recenti e antiche ricorrenze è dover ancora sentire o leggere dichiarazioni improntate alla “lezione che tornerà utile”; dopo qualche decina tra lauree e dottorati dovremmo finalmente poter abbandonare gli studi e dedicarci alla pratica.

Magari provando a mettere in campo le stesse qualità dei migliori interpreti del calcio contemporaneo, i club spagnoli come detto, e tra loro anche i colchoneros; il ranking canta perché, mentre noi parliamo di “coppa maledetta”, la realtà degli ultimi anni dice che chi è veramente arrivato a un soffio dal vincerla sono loro.

Nelle prossime due settimane il mondo bianconero rimarrà sospeso tra voglia di miracolo e rassegnazione, in ogni caso il pianeta calcio non finirà il 12; è auspicabile pertanto provarci e riprovarci con sempre maggiore convinzione, per scrivere una nuova storia e nuove costanti nello sport con più variabili al mondo.

“Forza Juve, vinci dai, lotta e non mollare mai”

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